Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine707-715

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@TRIBUNALE DI LA SPEZIA 26 marzo 2009, n. 300. Est. De Bellis - Imp. C.M

Produzione, commercio e consumo - Immissione sul mercato di prodotti pericolosi - Materiale elettrico - Mancata apposizione di marchio CE - Presunzione di pericolosità del prodotto - Esclusione.

In tema di immissione sul mercato di beni «verosimilmente» pericolosifattispecie di reato prevista e punita dall’art. 112, D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206 –, l’inosservanza da parte del produttore dell’obbligo di apposizione del marchio CE sul materiale elettrico) imposto dalla legge 18 ottobre 1977 n. 791, sebbene si sostanzi in una omessa certificazione della sicurezza de prodotto, non può tuttavia ritenersi equivalente ad una ammissione implicita di mancata sicurezza ergo pericolosità del prodotto stesso. (D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206, art. 107; D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206, art. 112; L. 18 ottobre 1977, n. 791) (1).

    (1) Nulla in termini.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. – Con decreto di citazione in data 10 aprile 2008 il pubblico ministero disponeva la citazione a giudizio di C.M. quale imputata del reato descritto in epigrafe (reato di cui all’art. 112 comma 2 legge 206/2005).

All’udienza, previa verifica della regolarità della notifica del decreto di citazione, veniva dichiarata la contumacia dell’imputata, non comparsa senza addurre alcun legittimo impedimento, ed il difensore, munito di procura speciale, avanzava istanza di rito abbreviato.

Il tribunale ammetteva tale rito ed invitava le parti alla discussione.

Il pubblico ministero ed il difensore concludevano come da verbale.

All’esito questo giudice assolveva l’imputata, in ordine al reato ascritto, alla stregua delle risultanze processuali.

Dall’esame degli atti sono infatti emerse le seguenti circostanze.

All’imputata, quale titolare di ditta individuale, viene contestato di avere importato 155 biciclette elettriche munite di caricabatterie pericolosi in quanto: privi di messa terra effettivamente funzionante; privi di marchio CE; recanti istruzioni non in lingua italiana.

Tali caratteristiche dei caricabatterie venivano evidenziate sottoponendo un campione di tali caricabatterie ad esame (meramente visivo) di un tecnico dell’ente di certificazione IMQ (Istituto del Marchio di Qualità, ente di certificazione accreditato a livello europeo quale preposto a verifiche di qualità e conformità dei prodotti industriali alle direttive comunitarie).

Si deve osservare che all’imputata è contestato il reato di cui al secondo comma dell’art. 112 D.L.vo 6 settembre 2005 n. 206, norma che sanziona la produzione ed immissione sul mercato di beni «verosimilmente» pericolosi, laddove invece in caso di acclarata pericolosità si applica il primo comma della stessa norma; tale verosimile pericolosità deve essere intrinseca e desumibile da concreti elementi di fatto (così, Cass., sez. III, 8 novembre 2007 n. 26656).

Nel merito si deve osservare quanto segue. Quanto al fatto che i caricabatterie non siano dotati di messa a terra funzionante, giova ricordare il dato di comune esperienza che i caricabatterie comunemente in uso in Italia (si pensi a quelli dei cellulari) sono privi di messa a terra, e non per questo vengono ritenuti pericolosi.

Quanto al fatto che mancavano le istruzioni in Italiano dei caricabatterie, si deve osservare che l’operazione di collegamento del caricabatteria da un lato alla rete elettrica dall’altro lato alla bicicletta elettrica è talmente intuitiva per un individuo dotato di media esperienza che non richiede specifiche spiegazioni, ed inoltre si tratta di operazioni nella quale non paiono ravvisarsi rischi particolari.

Quanto all’omessa applicazione del marchio CE, si deve osservare che l’obbligatoria apposizione sul materiale elettrico del marchio CE è prevista dalla legge 18 ottobre 1977 n. 791, come modificata dal D.L.vo 25 novembre 1996 n. 626.

Tale normativa prevede tra l’altro che la mancata apposizione del marchio CE costituisca illecito amministrativo, salvo che il fatto costituisca reato.

L’apposizione su un prodotto del marchio CE è in sostanza significativa di una certificazione da parte del produttore che il prodotto è conforme alla normativa di sicurezza comunitaria.

Il fatto che il produttore – non apponendo il marchio CE – non abbia certificato la sicurezza del prodotto non può tuttavia ritenersi equivalente ad una ammissione implicita di mancata sicurezza ergo pericolosità del prodotto stesso.

D’altronde i caricabatterie non sono stati sottoposti ad esami di laboratorio, per cui non vi è alcuna prova della loro pericolosità effettiva (anzi della lettura di sentenza di assoluzione pronunciata nei confrontiPage 708 della stessa imputata per fatto del tutto identico prodotta dalla difesa emerge la notizia che l’I.M.Q. avrebbe dichiarato espressamente in data 29 ottobre 2007 la mancanza di pericolosità del prodotto).

L’imputata va conseguentemente mandata assolta perché il fatto non sussiste.

Essendo ancora in sequestro i caricabatterie, gli stessi devono essere restituiti all’imputata, quale avente diritto alla restituzione. (Omissis).

@TRIBUNALE DI MATERA 17 marzo 2009 (ud. 25 febbraio 2009). Pres. ed est. Vetrone - Imp. T.G

Misure di sicurezza - Personali - Libertà vigilata - Di infermo totale di mente - Ammissibilità a seguito della dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’art. 222 c.p. - Condizioni - Fattispecie.

A seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 222 c.p. (nella parte in cui non consente al giudice di applicare anche all’infermo totale di mente una misura di sicurezza diversa dal ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario), anche nei confronti del soggetto affetto da vizio totale di mente sono applicabili misure graduate rispetto all’OPG nel quadro delle misure di sicurezza codificatee, tra queste, la misura della libertà vigilata ove in concreto adeguata a garantire le cure dell’infermo totale di mente e al contempo il controllo di sicurezza sociale. (Nel caso di specie il giudice ha ritenuto idonea a far fronte alla pericolosità sociale del soggetto imputato, infermo di mente per una forma di psicosi schizofrenica cronica in fase di parziale compenso oltre che tossicodipendente, l’adozione della libertà vigilata con adeguate prescrizioni, da attuarsi in concreto nella fase esecutiva, che impongano specificamente all’imputato di seguire il programma terapeutico psichiatrico coordinato fra servizio di salute mentale ed il Ser.T.). (C.p., art. 205; c.p., art. 222; c.p., art. 228) (1).

    (1) Conformi Cass. pen., sez. I, 22 dicembre 2004, Chessa, in questa Rivista 2005, 1258; Trib. pen. Milano 31 magghio 2004, X, in Foro ambrosiano 2004, 291 e Trib. pen. Modena 15 maggio 2004, O., in Corriere del merito 2005, 63.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con decreto in data 9 ottobre 2001 il Gup in sede ordinava il rinvio a giudizio di T.G. perché rispondesse – dinanzi al Tribunale di Matera, sezione distaccata di Pisticci – dei reati decritti in epigrafe. Tanto faceva (giusta art. 425.4 c.p.p.) dopo che, avendo disposto perizia, aveva preso atto delle argomentazioni e conclusioni espresse dal dott. Giuseppe Troccoli (medico specialista in psichiatria, nonché in criminologia e psichiatria forense), da lui nominato in data 5 giugno 2001, nella relazione scritta, depositata il 31 agosto detto.

Nello scritto – rispondendo ai quesiti postigli – il professionista aveva infatti concluso, asserendo:

– che l’imputato era «... allo stato attuale... affetto da una psicosi schizofrenica cronica in fase di parziale compenso, in soggetto con annesso abuso di sostanze stupefacenti...»;

– che lo stesso «... a causa della suddetta infermità aveva, al momento del fatto per cui si procede, esclusa la capacità di intendere e volere...»;

– che lo stesso «... allo stato attuale...» era da «... ritenersi persona socialmente pericolosa ed in grado di partecipare coscientemente al processo...».

Alla data del 7 dicembre 2001, fissata in quel decreto di rinvio a giudizio, il giudice dibattimentale monocratico di Pisticci dichiarava la contumacia del prevenuto e, stante l’assenza dei testi, sempre quel giudice, rilevava che:

– al capo a) era contestata la tentata rapina aggravata ex articoli 56, 628, commi 1 e 3, n. 1 c.p., ma, alla luce dell’effettiva contestazione fattuale, era da ritenersi che – solo per errore materiale – fosse stato indicato il comma 2, invece che il comma 3 dell’art. 628 c.p.;

– la fattispecie rientrava, ai sensi dell’articolo 33 bis, ultimo comma, c.p.p., nella cognizione del tribunale in composizione collegiale;

– ai sensi dell’art. 33 quater c.p.p., anche gli altri capi contestati all’imputato erano attribuiti a titolo di connessione alla competenza del tribunale in composizione collegiale.

Quindi, il giudice monocratico, ai sensi dell’art. 33 septies, comma 1 c.p.p. dichiarava che il procedimento rientrava nelle attribuzioni del collegio e disponeva trasmettersi gli atti al presidente della sezione penale «per quanto di propria competenza». Veniva quindi, con altro decreto datato 17 febbraio 2002, nuovamente disposta la citazione a giudizio dell’imputato: era fissata l’udienza dibattimentale collegiale del 13 gennaio 2003.

In tale occasione, era dichiarata la contumacia del T.; quindi, il processo subiva vari rinvii in via preliminare, dovuti alla necessità di trattare con priorità altri incarti pendenti da più tempo, ovvero relativi a fatti più remoti, ovvero all’assenza di tutti i testi, ovvero ancora all’adesione del difensore all’astensione collettiva decisa dagli organi associativi di categoria (v. verbale udienza del 4 luglio 2007).

Quindi, all’udienza del 27 febbraio 2008, dichiarato – in assenza di questioni preliminari – aperto il dibattimento, le parti davano il loro consenso all’acquisizione e all’utilizzabilità degli atti relativi all’accertamento dei fatti in sede di indagini preliminari (comunicazione della notizia di reato, denuncia sporta dalla p.o...

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