Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine131-148

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@TRIBUNALE CIVILE DI NOCERA INFERIORE 27 novembre 1998, n. 338. Pres. Pignataro - Est. Spena - Soc. Autostrade Meridionali (avv. Casaula) c. Mastroberti (avv. Coppola)

Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Opere pubbliche - Strade - Presenza di un cerchione sulla sede stradale - Responsabilità della società autostradale ex art. 2043 c.c. - Onere probatorio gravante sul danneggiato.

La mera circostanza della presenza sul tracciato autostradale di un cerchione perduto da un automezzo in transito, non determina l'insorgenza della responsabilità ex art. 2043 c.c. della società autostrade per i danni conseguenti subiti da un automobilista, essendo quest'ultimo tenuto a dimostrare la conoscenza in capo all'ente gestore della presenza dell'ostacolo sulla sede stradale o, quantomeno, la sua permanenza sul tracciato per un lasso di tempo tale da potersi addebitare alla società il carente monitoraggio del percorso gestito. (C.c., art. 2043; c.c., art. 2697) (1).

    (1) Sul tema, oltre alle pronunce citate in motivazione, cfr. la rassegna di giurisprudenza in tema di pericolo occulto in questa Rivista 1997, 829.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto notificato il 24 ottobre 1991 la società autostrade, in persona del legale rappresentante pro tempore, proponeva appello nei confronti della sentenza n. 403/91 emessa dal Pretore di Nocera Inferiore, con la quale la appellante veniva condannata al risarcimento dei danni in favore di Mastroberti Giuseppe. I danni, stimati in sentenza in lire 2.608.348, oltre rivalutazione ed interessi, derivavano da un sinistro che aveva coinvolto l'autovettura del Mastroberti, avvenuto in data 7 marzo 1990, sulla autostrada A/3 - Salerno Napoli - in tenimento del Comune di Nocera Superiore e cagionato dalla presenza lungo il tracciato di marcia di un cerchio di grosse dimensioni, appartenente alla ruota di un automezzo. Deduceva l'appellante la erroneità della decisione impugnata, in quanto nessun difetto di vigilanza o manutenzione era addebitabile alla società stessa, salvo a volersi pretendere il monitoraggio continuo dell'intero percorso autostradale ovvero una prestazione impossibile. Per tali motivi l'appellante chiedeva che il Tribunale di Salerno riformasse la sentenza impugnata, condannando l'appellato alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio.

Alla prima udienza si costituiva l'appellato, contestando le avverse deduzioni ed aderendo alla motivazione del pretore, che aveva ricondotto la fattispecie al generale obbligo del neminem laedere e ritenuto che nel caso concreto la presenza di una «insidia» sul percorso di marcia del veicolo attoreo fosse attribuibile alla società convenuta per omessa rimozione all'ostacolo.

Sulle contrapposte conclusioni delle parti, così fissate, la causa veniva rimessa a questo collegio per la decisione, essendosi nelle more verificato il trasferimento di competenza disposto dalla legge istitutiva del Tribunale di Nocera Inferiore.

Alla udienza del 3 novembre 1998 la causa veniva assegnata in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - L'appello è fondato e va accolto per quanto di ragione.

Preliminarmente in diritto si osserva che la norma sostanziale riconducibile alla fattispecie va individuata nella previsione generale di rispetto degli altrui diritti di cui all'art. 2043 c.c. Non è invece pertinente la diversa previsione di cui all'art. 2051 c.c., che pone al custode della cosa un obbligo di contenuto specifico e positivo consistente nell'adottare tutte le misure idonee ad evitare che dalla cosa derivino danni a terzi. Da tale obbligo discende, in caso di verificazione del danno, una inversione dell'onere probatorio, essendo tenuto il custode a dimostrare il fortuito per esimersi da responsabilità. Invero tale disposizione, per il rigore delle sue previsioni, presuppone che l'obbligato abbia un potere di controllo effettivo sulla cosa in custodia, risolvendosi altrimenti in un addebito di responsabilità oggettivo e privo di titolo. La giurisprudenza sul punto è univoca: «la presunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici ogniqualvolta il bene, sia esso demaniale o patrimonile, per le sue caratteristiche (estensione o modalità d'uso) è oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, che limita in concreto la possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa» (Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1996, n. 265) e, più specificamente: «Con riguardo a danni subiti da utenti di autostrade non trova applicazione la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c. nei confronti della P.A. proprietaria dell'autostrada ovvero del concessionario della medesima, trattandosi di beni la cui estensione non consente una vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo. Di conseguenza il danneggiato può agire per il risarcimento soltanto in base al diverso principio del neminem laedere ex art. 203 c.c., alla cui stregua l'ente proprietario della strada aperta al pubblico transito è tenuto a far sì che essa non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto) caratterizzata congiuntamente dall'elemento obiettivo della non visibilità e da quello subiettivo della non prevedibilità dell'evento (Cass. civ., sez. III, sent. n. 921 dell'1 febbraio 1998).

Il pretore, muovendo da queste premesse, ha ritenuto che la presenza del cerchione di un automezzo sul tracciato autostradale costituisce insidia e che, per ciò stesso, «la società convenuta fosse gravata dell'obbligo di impedire l'insorgere di una situazione di oggettivo pericolo per il trasporto veicolare e, comunque, da quello di provvedere alla immediata rimozione della stessa».

Il tribunale non ritiene di condividere la deduzione assiomatica del pretore, secondo cui la mera circostanza della presenza di un pericolo occulto determina la insorgenza della responsabilità della società autostrade per i danni conseguenti.

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Tale proposizione appare invero corretta in tutti i casi in cui il pericolo occulto sia effettivamente riconducibile alla sfera di controllo della società concessionaria, perché derivi dalle carenti condizioni di manutenzione della strada (come nel caso di buche ed altre insidie del fondo stradale) ovvero del difetto nella segnalazione di situazioni oggettive di pericolo (quali possono derivare da fatti contingenti - si pensi alla ipotesi di lavori in corso - o dalla condizione dei luoghi, come nel caso della curva, del dosso, della probabilità di fenomeni atmosferici avversi).

Diversa è l'ipotesi in cui la fonte di pericolo non sia riconducibile in via diretta all'ente-gestore della strada; mentre, infatti, nel primo caso è immediata la individuazione di un comportamento colposo dell'ente, in tale ipotesi occorrerà in concreto verificare se il danno prodotto sia attribuibile all'ente, che non può essere tenuto a risponderne in assenza di colpa (posto che la colpa è uno degli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana). È tale il caso in cui l'insidia derivi dal fatto di un terzo, come nell'eventualità che giacciano lungo la strada detriti scaricati da privati, macchie d'olio od oggetti caduti da veicoli in transito. In tali situazioni la imputabilità dell'evento di danno presuppone il concorso di due condizioni: 1) che l'ente sia o possa essere a conoscenza del pericolo prodotto dal terzo ovvero che abbia sul terzo uno specifico dovere di vigilanza (quale sussiste, ad esempio, quando il terzo è l'appaltatore di opere stradali); 2) che l'ente, inoltre, non si sia attivato per rimuovere od almeno per segnalare il pericolo insorto.

Diversamente non può ravvisarsi un illecito del gestore della strada, non ricorrendo una omissione colposa che possa addursi a fondamento della condanna al risarcimento.

Nel caso in esame il pericolo è attribuibile in via diretta ad un terzo, utente della autostrada ed in particolare al difetto di manutenzione del suo automezzo, a seguito del quale si verificava la perdita del cerchione sul tracciato di marcia. La insorgenza della invocata responsabilità presuppone allora la prova che la società-autostrade, che non ha uno specifico dovere di vigilanza su tutti gli utenti, né sulla efficienza dei loro automezzi (né esso sarebbe in concreto esigibile), fosse a conoscenza della presenza dell'ostacolo sulla sede stradale. Trattandosi, poi, di attribuzione colposa sarebbe in via alternativa sufficiente dimostrare che l'ostacolo permaneva sul tracciato autostradale da un periodo di tempo tale da potersi addebitare alla società il carente monitoraggio del percorso gestito (conoscibilità del pericolo).

Ciò dimostrato sarebbe per tabulas provato che l'ente sia tenuto a risarcire i danni al Mastroberti, non avendo provveduto alla rimozione del cerchione.

In corso di causa nessuna prova è stata offerta sul punto, in quanto l'unico teste sentito, Alfano Alfonso, viaggiava a bordo del veicolo del Mastroberti e riferiva, pertanto, soltanto in merito alla dinamica del sinistro. Nessuna indicazione si trae neppure dalla acquisizione della relazione di P.S. di Angri, intervenuta sul luogo soltanto dopo circa tre ore dall'incidente, che si era limitata a rilevare i danni ed ad assumere informazioni dalla parte. La prova di un comportamento colposo della società convenuta non può raggiungersi neppure presuntivamente, poiché il dato fattuale della presenza di un ostacolo su strada non è di per sè indicativo della negligenza del servizio predisposto dall'ente-gestore, essendo ben concepibile l'ipotesi alternativa che l'ingombro abbia investito la sede stradale in circostanze di tempo molto prossime o comunque insufficienti a pretendere, secondo un criterio di diligenza media, la conoscenza del pericolo creatosi.

La soluzione della lite discende allora in via immediata dalla regola di attribuzione dell'onere probatorio sul punto, che va...

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