Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine621-631

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@TRIBUNALE CIVILE DI ROMA Sez. VI, 26 novembre 1997. Est. Rossetti - Soc. La Capitale (avv. Del Sette) c. De Marinis (avv. Ferrante)

Veicoli - Furto - Autoveicolo rinvenuto e affidato dalla polizia ad un terzo depositario - Pagamento del corrispettivo del deposito - Soggetto obbligato.

Nel caso di rinvenimento di un veicolo oggetto di furto affidato dagli organi di polizia ad un terzo depositario, obbligata al pagamento degli oneri relativi è l'amministrazione affidataria, la quale solamente è parte della convenzione stipulata con il privato. Tuttavia il proprietario avvisato del rinvenimento, il quale, omettendo colposamente di ritirare il veicolo entro un tempo ragionevolmente necessario, obblighi il depositario a sostenere oneri aggiuntivi, è tenuto ex art. 2043 c.c. al risarcimento del danno. (C.c., art. 2043) (1).

    (1) Non constano editi precedenti negli esatti termini. Per soli riferimenti, cfr. Cass. civ. 17 maggio 1983, n. 3409, in Rep. La Tribuna 1984, 562.

(Omissis). 1. - Nel nostro ordinamento giuridico l'obbligazione può derivare o da contratto, o da atto illecito, o dalle variae causarum figurae espressamente e tassativamente previste dalla legge (art. 1173 c.c.). La Capitale srl ha allegato di vantare un credito nei confronti del convenuto: è necessario pertanto effettuare preliminarmente una ricognizione della fonte dell'obbligo del convenuto.

  1. - Deve innanzitutto escludersi che l'obbligazione ascritta a Mario De Marinis possa derivare da un illecito aquiliano (art. 2043 c.c.) consistente nel solo fatto del ritrovamento del veicolo rubato (per altri profili, si veda oltre il capo). Inoltre, nel caso di specie, sarebbe problematico individuare sia l'illiceità della condotta, sia l'elemento soggettivo (dolo o colpa).

  2. - Chiarito ciò, occorre stabilire se l'allegato obbligo del convenuto nei confronti della Capitale trovi la propria fonte in un contratto.

    Anche questa eventualità deve escludersi. Il veicolo del quale è causa è stato affidato alla Capitale dai carabinieri, i quali l'avevano rinvenuto dopo che ne era stato denunciato il furto. Non è quindi configurabile la stipula di un contratto di deposito tra Mario De Marinis e la Capitale, in quanto il deposito è un contratto reale, e non vi è mai stata traditio del bene da Mario De Marinis alla Capitale (art. 1766 c.c.).

    Neppure può ritenersi che l'amministrazione militare e la Capitale abbiano, al momento della consegna del veicolo ritrovato, stipulato un contratto di deposito a favore del terzo (art. 1411 c.c.). Perché sia configurabile un contratto a favore del terzo è necessario che lo stipulante vi abbia interesse, e tale interesse non si ravvisa in capo alla amministrazione.

  3. - Esclusa la fonte contrattuale o aquiliana dell'obbligazione di Mario De Marinis, occorre esaminare se l'allegata obbligazione tragga origine direttamente dalla legge.

    Deve al riguardo innanzitutto escludersi l'applicabilità al caso di specie degli articoli 253, 259, 263, 354 c.p.p., e 84 att. c.p.p. Tali norme infatti trovano applicazione unicamente ove l'autorità giudiziaria abbia disposto con provvedimento motivato il sequestro del corpo di reato o delle cose pertinenti il reato. Nel caso di specie, invece, il veicolo dei quali è causa non risulta essere stato posto sotto sequestro ai sensi dell'articolo 253 c.p.p. (agli atti non vi è nemmeno un decreto di sequestro), ma è stato semplicemente rimosso dalla pubblica via, ove era stato abbandonato con le portiere aperte, dieci giorni dopo il furto (cfr. verbale di ritrovamento in atti).

  4. - Deve poi escludersi che il deposito dei veicoli in esame possa essere disciplinato dagli articoli 213 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 (codice della strada) e 394 D.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495 (regolamento del codice della strada). Nessuna di tali norme era infatti entrata in vigore al momento in cui il veicolo venne ritrovato ed affidato alla Capitale.

    L'antecedente storico dell'articolo 213 c.s., vale a dire l'articolo 115 D.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 (vecchio codice della strada), è del pari inapplicabile al caso di specie. Infatti l'articolo 115 vecchio c.s. stabiliva (come l'attuale art. 213 c.s.), che «nei centri abitati, qualora un veicolo sia lasciato in sosta nelle zone (. . .) in cui la sosta è vietata e costituisca grave intralcio o pericolo per la circolazione, gli organi di polizia possono rimuoverlo e portarlo alla depositeria comunale. Il veicolo è restituito previo rimborso delle spese di trasporto e di custodia». Evidente è la ratio della norma nello stabilire un collegamento relazionale tra abbandono del veicolo in sosta vietata e responsabilità del proprietario per le spese di custodia e rimozione. Il proprietario infatti, violando il divieto di sosta, dà colposamente corso alla necessità di rimuovere il veicolo. Logico è pertanto che, negli intenti del legislatore, alla responsabilità per la violazione della norma del c.s. si accompagni la responsabilità per le spese.

    Nel caso di specie, invece, il veicolo rinvenuto era stato rubato, e quindi sottratto alla disponibilità del proprietario: impossibile sarebbe dunque ascrivere a questi (o all'assicuratore, suo successore a titolo particolare nel diritto di proprietà) la responsabilità per avere reso necessaria la rimozione del veicolo.

  5. - La fattispecie astratta di riferimento deve pertanto essere così ricostruita: a) il potere di rimuovere e custodire veicoli abbandonati sulla pubblica via è attività esclusiva della pubblica amministrazione, conferita dalla legge unicamente agli organi preposti alla vigilanza delle strade (art. 115 vecchio c.s.; art. 213 attuale c.s.); b) la pubblica amministrazione può ovviamente delegare a terzi il compimento delle operazioni materiali di rimozione e custodia dei veicoli, mediante apposite convenzioni che, di volta in volta, possono integrare gli estremi della concessione amministrativa o dell'appalto di servizi; c) il privato al quale viene affidata dall'amministrazione la custodia del veicolo non conclude per ciò solo un contratto di deposito col proprietario del veicolo stesso (contratto, come già detto, da escludere perPage 622 la mancanza del consenso, per la mancanza dell'incontro delle volontà, per la mancanza della traditio), ma svolge un'attività materiale per conto della pubblica amministrazione, attività soggettivamente imputabile all'amministrazione e non al privato concessionario (così Cass. civ. n. 7415 del 1992).

    Queste conclusioni sono ovviamente valide non solo per l'ipotesi di affidamento di veicoli rimossi dalla sosta d'intralcio (come nella fattispecie decisa dalla sentenza di legittimità da ultimo indicata), ma a fortiori per i veicoli rubati e rinvenuti abbandonati. Con una rilevantissima differenza: la pubblica amministrazione, la quale istituzionalmente deve perseguire l'interesse pubblico, è obbligata a prelevare e custodire il veicolo rubato e poi rinvenuto, ma il relativo onere di custodia non può ovviamente incombere sul proprietario vittima del furto. Ne consegue che il terzo depositario deve pretendere il compenso per la propria attività di custodia non dal privato incolpevole proprietario, ma dalla amministrazione: quest'ultima infatti, la quale in teoria potrebbe provvedere direttamente alla custodia dei veicoli, ha deciso autonomamente di affidarli ad un terzo, e dunque gli oneri relativi incombono sulla pubblica amministrazione (salva, ovviamente, l'ipotesi in cui l'affidamento in custodia sia stato reso necessario proprio dalla condotta del proprietario, come appunto nell'ipotesi di cui all'art. 213 c.s.).

  6. - Dunque l'eventuale obbligo del convenuto non può trovare fonte nell'atto illecito, che nella specie è inesistente; non può trovare fonte in un contratto, che nella specie non è stato mai concluso; non può trovare fonte nell'articolo 115 c.s. vigente all'epoca dei fatti, in quanto il proprietario non può essere chiamato a rispondere di spese sostenute dalla amministrazione (o dal suo incaricato) per rimuovere il veicolo da luoghi nei quali il veicolo stesso era stato lasciato non dal proprietario, ma da persona che si era delittuosamente impossessata del mezzo.

    Obbligata alla rifusione delle spese di custodia, nel caso di rinvenimento di un veicolo oggetto di furto, è l'amministrazione affidataria, la quale solamente è parte della convenzione stipulata col privato.

    Chiarito ciò in relazione agli obblighi scaturenti dal mero fatto del ritrovamento, si osserva tuttavia che un obbligo del proprietario può sorgere quando, avvisato dell'avvenuto deposito, lasci egli trascorrere il tempo ragionevolmente necessario per provvedere al ritiro del veicolo. Tale obbligo tuttavia non trova la propria fonte in un contratto, in quanto il silenzio rileva, ai fini della stipula del contratto, solo quando è circostanziato, ossia quando può oggettivamente valutarsi come una manifestazione univoca di volontà. Invece il silenzio del proprietario dinanzi all'invito a ritirare il veicolo non può essere considerato una manifestazione univoca della volontà di stipulare un contratto di deposito: perché tale silenzio può essere ugualmente ascritto al disinteresse, all'incuria, alla indisponibilità di tempo, ecc.

    Pertanto l'obbligo di pagare il compenso della custodia, successivamente all'avviso, sorge dalla generale fattispecie di cui all'articolo 2043 c.c.: infatti il proprietario avvisato del rinvenimento, il quale ometta colposamente di ritirare il veicolo entro un tempo ragionevolmente necessario, obbliga il depositario a sostenere oneri aggiuntivi ai quali non sarebbe in astratto tenuto. Se infatti l'amministrazione ha l'obbligo di custodire o far custodire i beni altrui compendio di furto, i privati hanno del pari l'obbligo di ritirarli una volta rinvenuti (in termini, Trib. Roma 2 agosto 1997, Assitalia c. Cracchiolo).

    Dunque l'eventuale credito della Capitale, in virtù di quanto sin qui esposto, non può avere che ad oggetto un credito risarcitorio...

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