Giurisprudenza di merito

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@TRIBUNALE DI PIACENZA 1 febbraio 1999. Pres. ed est. D'Onofrio - Imp. Testa.

Falsità in atti - In atti pubblici - Falsità ideologica - Omissione di informazioni anche in un'atto pubblico - Configurabilità del reato - Esclusione.

Qualora in un atto pubblico vi sia un'omissione di informazioni, anche rilevanti, non vi è un falso ideologico in quanto manca un'attestazione. (C.p., art. 479) (1).

    (1) Le citate sentenze Cass. pen., Sez. un., 24 febbraio 1995, Proietti e Cass. pen., sez. VI, 20 maggio 1992, Francia, sono pubblicate rispettivamente in questa Rivista 1995, 900 ed ivi 1993, 338.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con decreto emesso in data 21 gennaio 1997, il Gup disponeva il giudizio nei confronti di Testa Giorgio per il delitto di cui in epigrafe.

All'odierno dibattimento, svoltosi alla presenza dell'imputato, assunte le porve richieste e dichiarata l'utilizzabilità degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, le parti concludevano come sopra ed il tribunale si ritirava per la decisione.

L'imputato deve essere assolto dal delitto ascrittogli per ché il fatto non sussiste.

Invero, l'accusa che viene mossa al Testa è quella di aver redatto - nella sua qualità di progettista e direttore dei lavori di ristrutturazione della Casa colonica del podere di S. Bernardino di Fiorenzuola d'Arda - un progetto esecutivo in cui aveva indicato falsamente una spesa complessiva per l'esecuzione completa dell'opera pari a lire 280.000.000, laddove la spesa reale aveva richiesto una somma superiore (base d'asta: lire 235.130.792, con un aumento, a seguito dell'aggiudicazione, del 48,80%).

Ciò sarebbe stato fatto per venire incontro alla volontà dell'Amministrazione comunale di rimanere nei limiti dei 280.000.000, che era la somma indicata nel progetto di massima, in base al quale il Comune di Fiorenzuola aveva chiesto ed ottenuto dalla Regione, in virtù della L.R. n. 2/85, un finanziamento che doveva coprire il 50% delle spese ritenute necessarie per l'intervento de quo.

Così ricostruiti sinteticamente i fatti, non può il Collegio non rilevare che qualora, in un atto pubblico, vi sia una omissione di informazioni, anche rilevanti, non vi è un falso ideologico in quanto manca una attestazione.

Ciò è dimostrabile con due argomenti, uno semantico e l'altro logico: il primo è ricavabile dalla lettura dell'art. 479 c.p., ove si utilizza sempre il verbo «attestare», mentre il secondo è costituito dal rilievo che il termine attestazione significa - come è stato correttamente messo in luce dalla dottrina - fare una affermazione sulla esistenza o inesistenza di una cosa o di un fatto in base ad una propria diretta esperienza.

Questo spiega perché la giurisprudenza ha più volte ritenuto che la falsità ideologica possa riguardare esclusivamente gli atti a contenuto narrativo e non quelli a contenuto dispositivo (per questi ultimi, la falsità ideologica è configurabile solo in relazione alla parte «descrittiva» in essi contenuta e, più precisamente, in relazione all'attestazione, non conforme a verità, dell'esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell'atto: cfr. Cass., Sez. un., 3 febbraio 1995, Proietti e altri).

Principi simili sono rinvenibili nell'affermazione (Cass., sez. VI, 18 marzo 1992, Francia), secondo cui - con riguardo ad atti contenenti manifestazioni non di volontà, ma di giudizio del pubblico ufficiale - anche detti atti non sono annoverabili nell'ambito di quelli tutelati dalla norma in questione, sempre che dette manifestazioni non richiamino (come nel caso di specie) attività che si assumono realizzate dall'autore degli atti medesimi.

Tale opinione non può che essere condivisa: infatti la immutatio veri deve inerire sempre a «fatti» dei quali l'atto è destinato a provare la verità, e «fatto» è tutto quello che rientra nella diretta percezione sensoria del pubblico ufficiale ed è suscettibile di prova storica in senso stretto attraverso la sua attestazione.

Non può, pertanto, ricadere nella nozione di «fatto» un giudizio, sia pure non veritiero, espresso dal pubblico ufficiale.

Alla luce delle suesposte considerazioni, poiché, nel caso in esame, il Testa si è limitato a fare delle mere valutazioni - che, anche se ritenute non conformi al vero, non possono integrare la fattispecie criminosa contestata - lo stesso deve essere assolto con formula ampia. (Omissis).

@PRETURA DI SIRACUSA 8 giugno 1998. Est. Bersani - Imp. Gaiangos.

Edilizia e urbanistica - Licenza e concessione edilizia - Opere non soggette - Pertinenza - Nozione - Individuazione. -Edilizia e urbanistica - Licenza e concessione edilizia - Opere non soggette - Pertinenze - Strumentalità oggettiva - Conseguenze.

Deve ritenersi pertinenza, al fine di assoggettarla a semplice autorizzazione e non a concessione edilizia ex artt. 7 e 8 della legge n. 94/1982, l'opera che sia posta al servizio di edifici già esistenti mediante un nesso funzionale e strumentale, cioè un nesso oggettivo, che non consenta altro che la destinazione della cosa ad uso pertinenziale in modo durevole. (L. 25 marzo 1982, n. 94, art. 7; L. 25 marzo 1982, n. 94, art. 8) (1).

In tema di pertinenza, il concetto di strumentalità oggettiva della medesima fa sì che l'opera, pur avente un'individualità strutturale, deve essere tale da escludersi, in relazione ad essa, ogni utilizzazione logicamente ed economicamente diversa dalla destinazione durevole a servizio dell'immobile principale. (L. 25 marzo 1982, n. 94) (2). Page 296

    (1, 2) In senso conforme v. Cass. pen., sez. III, 13 luglio 1992, Cappello, in questa Rivista 1993, 635. Cfr., inoltre, Cass. pen., sez. III, 5 maggio 1992, Staiano, ivi 1993, 334; Cass. pen., sez. V, 11 settembre 1991, Palma, ivi 1993, 635; Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 1990, Di Palma, ivi 1990, 1066; Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 1990, Cameran, ivi 1990, 975 e Cass. pen., sez. III, 30 gennaio 1988, Gianfaldone, ivi 1988, 1106.

(Omissis). MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con diversi decreti di citazione a giudizio Giorgio Gaiangos veniva citato a giudizio per rispondere dei reati meglio specificati in epigrafe.

All'udienza dibattimentale del 18 maggio 1998 in assenza dell'imputato già dichiarato contumace all'udienza del 28 gennaio 1998, previa riunione dei fascicoli nn. 1208/97 e 1170/97 al n. 1207/97 r.g. pretura, esperite le formalità di apertura, il P.M. esponeva i fatti come al capo di imputazione.

Si procedeva, quindi, all'assunzione delle prove così come richieste dalle parti e ammesse dal pretore.

Il vigile urbano Scarfi Dario unitamente al geom. Vinci riferiva di aver effettuato in data 6 aprile 1995 un sopralluogo in C. da Isola, via Faro Massoliveri n. 25, ove erano in corso dei lavori interessanti uno stabile destinato a civile abitazione di proprietà dell'odierno imputato.

Veniva constatato che tali lavori consistevano in un immobile con copertura ed una veranda antistante sito in prossimità della battigia.

Veniva richiesta al proprietario dell'immobile la prescritta concessione edilizia relativa all'immobile ma lo stesso non era in grado di esibirla.

L'assenza di concessione edilizia risulta dai p.v. di sequestro allegati al fascicolo del dibattimento, oltre che, implicitamente, dalla presentazione della domanda di condono cui ha fatto riferimento nel corso della deposizione il teste Staffile.

A seguito di accertamento del 6 aprile 1995 e del 10 agosto 1995 e conseguente sequestro venivano apposti i sigilli e nominato custode l'odierno imputato (cfr. dep. testi Lonzar e verbali di sequestro in pari data).

Il teste Staffile Carlo ha riferito in aula circa la violazione del vincolo paesaggistico imposto dalla legge 1497/39 e successivamente dalla legge 431/85.

Il teste ha inoltre riferito che a seguito di accertamenti eseguiti sulla scorta delle indicazioni della carta catastale l'immobile si trova nella fascia di rispetto dei 150 metri entro i quali è disposto un vincolo di...

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