Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA Sez. II, 7 febbraio 2000, n. 115. Pres. De Robertis - Est. Poggi - Cuccoli (avv. Bianchi) c. Mazzoni (avv. Recchioni).

Recesso del conduttore - Gravi motivi - Onere di comunicazione - Esplicita indicazione - Necessità - Sussistenza.

Posto che il recesso del conduttore ex art. 27, ultimo comma, L. n. 392/78 integra un recesso titolato, cioè legittimo ed efficace soltanto per la ricorrenza di «gravi motivi», la comunicazione della volontà di recedere non può prescindere dal concreto riferimento alla sua causa. (L. 27 luglio 1978, n 392, art. 27) (1).

    (1) Con la sentenza in oggetto, peraltro passata in giudicato, la Corte di Bologna ha completamente riformato la pronuncia di primo grado resa da Trib. Bologna 24 giugno 1997, n. 1494, in questa Rivista 2000, 626. Quest'ultima, aderendo alla tesi espressa da App. Roma 24 dicembre 1998 (ivi 2000, 96 e in Giust. civ. 1999, 2499 con nota di E. GABRIELLI) aveva infatti affermato che «Per la validità dell'esercizio del diritto di recesso previsto dall'art. 27, ultimo comma, L. 392/78 è sufficiente la sussistenza dei gravi motivi e non occorre la loro immediata contestuale esplicitazione nella raccomandata di comunicazione». Sul fronte della giurisprudenza di legittimità, a quanto consta la questione de qua è stata affrontata ex professo e risolta in senso favorevole alla massima in epigrafe) solo con sentenza 14 maggio 1997, n. 4238, ivi 1998, 225, secondo cui l'art. 27, comma ottavo legge 27 luglio 1978 n. 392, deve interpretarsi nel senso che tanto l'intenzione del conduttore di recedere dal contratto, quanto l'indicazione dei motivi di recesso devono essere comunicati al locatore con lettera raccomandata (o con altra modalità equipollente).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con decreto del 2 febbraio 1994 notificato il 22 seguente il Presidente del Tribunale di Bologna, su richiesta di Cuccoli Antonio, ingiungeva a Mazzoni Gianni il pagamento della somma di lire 16.133.475, oltre rivalutazione monetaria e interessi composti convenzionalmente pattuita pari al tasso ufficiale di sconto maggiorato di quattro punti, e di lire 776.000 per spese processuali. Ciò in dipendenza del mancato pagamento del canone locatizio riguardante un immobile ad uso ufficio con annessa area cortiliva per il parcheggio di quattro automobili per i mesi di dicembre 1993, gennaio e febbraio 1994. Con atto di citazione notificato il 10 marzo 1994 il Mazzoni proponeva rituale opposizione sostenendo di nulla dovere in conseguenza del legittimo recesso da parte sua, giustificato dalla ricorrenza di gravi motivi ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 27 della legge n. 392/78, motivi consistiti nella forte diminuzione, per cause oggettive, del suo reddito professionale, tale da rendergli impossibile di sostenere il costo stabilito da quel contratto, così come comunicato al locatore con lettera del 19 maggio e dell'8 giugno 1993. L'ingiungente si costituiva e chiedeva il rigetto dell'opposizione; in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell'opponente alla corresponsione della rivalutazione monetaria dalle singole scadenze, oltre agli interessi convenzionali. In sintesi negava che la lettera del 19 maggio, espressamente indicativa della volontà di disdetta, potesse valere come esercizio della facoltà di recesso, mancando, in ogni caso, l'indicazione del termine di preavviso e quella dei gravi motivi che l'avrebbero reso possibile. Inoltre riteneva inammissibile e non provata la causa di recesso adottata. Dopo il diniego della provvisoria esecuzione la causa veniva posta in decisione sulla base dei soli documenti. Con sentenza del 6 maggio 1997 il tribunale accoglieva l'opposizione argomentando sulla non necessità dell'indicazione dei motivi del recesso e sulla riconosciuta ricorrenza di quelli indicati dall'opponente, cui venivano riconosciute lire 3.920.000 per le spese processuali.

Il soccombente ha impugnato onde ottenere quanto già richiesto in primo grado, proponendo attività istruttoria e, in subordine, la compensazione delle spese. I motivi censurano entrambe le premesse della pronuncia, richiamando il principio affermato dalla Cassazione con sentenze n. 10980/96 e 4238/97 circa la necessità di indicazione dei gravi motivi del recesso, indi negando la ricorrenza di una provata causa giustificatrice del recesso. L'appellato si è costituito e ha chiesto il rigetto del gravame.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - L'appello è fondato sotto ogni profilo. La necessità della comunicazione dei gravi motivi di recesso si deve dedurre dalla stessa previsione dell'art. 27 della legge, essendo evidente che la comunicazione formale ivi prescritta non riguarda tanto il termine di preavviso, comunque fissato dalla legge in almeno sei mesi, quanto piuttosto la volontà di recedere per gravi motivi. Trattandosi di recesso titolato, cioè legittimo ed efficace soltanto per la ricorrenza di quei gravi motivi, la comunicazione della volontà di recedere non può prescindere dal concreto riferimento alla sua causa. E ciò non importa alcun aggravamento della posizione del conduttore che in qualsiasi momento, e non soltanto in vista della scadenza del contratto può esercitare quella facoltà e quindi porre rimedio a una comunicazione insufficiente per carenza dei requisiti. Già tale sostanziale differenza dall'ipotesi considerata dall'art. 29, che il tribunale, con considerazioni che qui si contrastano, ritenne (p. 9) perfettamente «sovrapponibile», spiega perché il legislatore non si sia espressamente pronunciato in ordine alla decadenza, conseguente al mancato rispetto di un termine che nel caso non esiste. Quanto alla mancata previsione di nullità per l'omessa specificamente del motivo del recesso, che ai sensi dell'art. 1325 n. 4, trattandosi di un difetto di forma della comunicazione relativa agli effetti del contratto, non potrebbe inficiare quell'atto, è ugualmente spiegabile con la diversità dell'istituto. Posto che il recesso avrà effetto non prima di sei mesi dalla comunicazione della relativa intenzione basata su giusti motivi, non è in questione la nullità della comunicazione stessa, bensì la sua idoneità a determinare la decorrenza del termine, previsto a favore del locatore per le compenetrate esigenze di tale parte di poter riscontrare l'effettività dei motivi addotti e di provvedere, in caso positivo, ad un diverso impiego dell'immobile. Per altro Page 110 verso si deve sottolineare che l'art. 29 consente il diniego di rinnovazione in vista non di situazioni obiettive già esistenti e verificabili, bensì di intenti del locatore che, in assenza di un espresso dovere di specificazione, ben potrebbero non venir manifestati. In quel caso la comunicazione non tutela l'esigenza di poter accertare la sussistenza di uno stato di fatto, ma quella di garantire la futura riscontrabilità e l'eventuale sanzione di comportamenti non conformi all'intento dichiarato.

La comunicazione generica perciò non violerebbe l'esigenza di assicurare alla controparte il tempo necessario per verificare la ricorrenza del motivo del diniego; la specificazione del motivo è stata quindi voluta dal legislatore per motivi propri della fattispecie. Per conseguenza non convince «l'argomento a contrario a livello sistematico» ampiamente sviluppato dal tribunale. In linea di fatto è censurabile l'affermazione secondo cui «il dies a quo della disdetta... può farsi risalire alla data della prima lettera spedita dal Mazzoni».

Tale lettera non esprime neppure volontà di recesso, ma soprattutto non indica a quale data dovrebbe cessare il rapporto. Non solo la legge ma anche il contratto (sub 19) parla di un termine minimo di sei mesi, e non di un termine fisso decorrente dalla comunicazione, onde sarebbe occorso precisarne la scadenza, come poi fu fatto con la lettera dell'8 giugno che, fra l'altro, si riferisce alla data di spedizione (e non di ricevimento) della raccomandata precedente. È fondata anche la censura riguardante la ritenuta sussistenza della causa del recesso. L'obiettività e l'imprevedibilità del calo dei proventi da attività professionale non sono stati dimostrati dall'opponente. La postilla apposta al contratto prevedeva espressamente l'autorizzazione a sublocare parte dell'immobile a due società (Bieffe Studio e costituendo T&T Srl) di cui il conduttore era socio. Già questo potrebbe bastare a far dubitare dell'effettiva contrazione dei proventi del professionista il quale ha presentato copia del quadro E (lavoro autonomo) ma non di quello riguardante i redditi di partecipazione e gli eventuali utili da capitale. In ogni caso anche la bozza del conto economico per il 1993 espone ricavi per oltre 190 milioni e conteggia in deduzione oltre 70 milioni «per godimento di beni di terzi» cioè, per la maggior parte, il canone di locazione dello studio. Non vi compaiono invece i proventi della sublocazione. Tutto ciò appare in contrasto la pretesa dimostrazione di un fatto obiettivo e imprevedibile. A ciò si aggiunge il comportamento precedente e successivo all'invio delle raccomandate, consistito nel tentativo di indurre il locatore a ridurre il canone e poi nel promettere la ricerca di un nuovo inquilino, di per sè contraddittorio con la rivendicazione del diritto al recesso per gravi motivi e tale da far ritenere l'allegazione di essi come espediente giustificativo di un mutamento d'intenzioni basato su valutazioni soggettive o su fatti prevedibili. Se, ad esempio, si fosse dimostrato irrealizzabile il progetto di sublocare parte dello studio alle due società, si tratterebbe sicuramente di circostanza preventivabile sin dalla conclusione del contratto di locazione. Dal rigetto dei motivi d'opposizione dipende la conferma del decreto ingiuntivo. La domanda riconvenzionale appare accoglibile in forza della clausola n. 8 del contratto di locazione che prevede l'obbligo di pagamento dei canoni ritardati in moneta rivalutata e di corresponsione degli interessi composti in ragione di quattro punti...

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