Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI ROMA 22 dicembre 1999, n. 3777. Pres. Verzillo - Est. Vangelista - Valentini (avv. Cataldo) c. Di Russo (avv. Magurno).

Danni per ritardata restituzione della cosa locata - Risarcimento - Liquidazione - Criteri - Canone corrente di mercato.

Il ritardo del conduttore nella riconsegna dell'immobile è sempre potenzialmente lesivo del patrimonio del locatore ed il giudice può liquidarne il danno in via equitativa utilizzando quale parametro quello del canone corrente di mercato. (C.c., art. 1591) (1).

    (1) Da ultimo nell'argomento v. Trib. Piacenza 11 febbraio 2000, n. 1017, con nota di P. CASTELLAZZI, Il risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c.: nuovo orientamento, in questa Rivista 2000, 761, chiarificatrice dei contrapposti orientamenti giurisprudenziali in argomento.

(Omissis). L'eccezione pregiudiziale sollevata dall'appellato circa l'inammissibilità dell'appello per tardività è da respingere, risultando l'atto di citazione notificato il 30 giugno 1994, data da ritenere quale ultimo giorno utile, computando, secondo la giurisprudenza, sul punto consolidata, un anno e quarantasei giorni dalla pubblicazione della sentenza non notificata, avvenuta il 15 maggio 1993.

Passando, ora, al merito della controversia, con il primo motivo di gravame, l'appellante muove censura alla sentenza perché il tribunale non avrebbe fatto ricorso al notorio per ritenere provata la circostanza relativa al maggior danno, consistente nel fatto che egli avrebbe potuto locare o fare altro uso dell'immobile traendone maggior vantaggio, consideratane soprattutto la favorevole ubicazione in una zona centrale della città, in vicinanza del Tribunale di Roma. Chiedeva, quindi, ammissione di prova testimoniale (secondo motivo di appello) al fine di dare dimostrazione delle concrete proposte d'affitto ricevute.

Con il terzo motivo di gravame, poi, il Valentini deduce che, almeno dopo l'entrata in vigore della legge sui patti in deroga (L. 8 agosto 1992, n. 359), si doveva riconoscere al locatore la possibilità di realizzare il canone corrente di mercato a prescindere dalla destinazione d'uso dell'immobile, quindi, anche per l'uso abitativo.

Con il quarto motivo, infine, l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza, laddove il primo giudice aveva ritenuto che l'appellato avesse corrisposto un canone superiore a quello equo, non avendo il conduttore, invece, applicato per intero, al canone-base, gli aggiornamenti dovuti per legge.

Tutti e quattro i motivi vanno trattati congiuntamente, attesi gli evidenti motivi di connessione.

Orbene, correttamente il tribunale ha statuito che, nell'ipotesi di ritardata restituzione della cosa locata, il corrispettivo che il conduttore deve al locatore fino alla riconsegna ex art. 1591 c.c. - trattandosi, nella specie di uso abitativo primario - non può che consentire nel canone equo disciplinato dalla legge n. 392/78.

Quanto all'ammontare del canone, poi, questo non può consistere in quello, maggiorato e difforme, eventualmente stabilito per convenzione fra le parti - come nel caso di specie è avvenuto - essendo un tale canone, contrariamente all'assunto dell'appellante, espressamente vietato dalla richiamata legge (cfr. art. 79 legge n. 392/78), la quale, nel fissare tutti gli elementi per il calcolo di quello equo, ne stabilisce la misura quale importo massimo, al di sopra del quale non è, perciò, consentito andare. Il Valentini, poi, al riguardo, non ha provato che il Di Russo non lo abbia interamente corrisposto - per non aver provveduto a calcolare gli aggiornamenti sul canone base - affermando, ma non dimostrando, che l'importo del canone era, per tale ragione, inferiore al dovuto.

Il richiamato art. 1591 c.c. pone, inoltre, al conduttore, in mora nella riconsegna, l'obbligo di risarcire il maggior danno che il locatore può aver subito, danno che può consistere, secondo l'elaborazione della giurisprudenza, nel non aver potuto dare in locazione il bene ad un canone più elevato o per non averlo potuto utilizzare direttamente e tempestivamente o anche per non averlo potuto alienare, come immobile libero, ad un prezzo vantaggioso.

Ora, premesso che il diritto del locatore al danno da ritardata consegna non può essere intaccato dalla contingente legislazione che sospende l'esecuzione degli sfratti e che al locatore incombe l'onere della prova sul punto del danno, va rilevato che tale dimostrazione, in fattispecie, è mancata non essendo stata espletata la relativa prova orale, pur ritenuta ammissibile dalla corte: ciò, verosimilmente, perché erano intercorsi fra le parti serie trattative di bonario componimento della vertenza (cfr., al riguardo, i verbali dell'udienza del 10 giugno 1998).

Ciò precisato, ritiene tuttavia la corte di procedere ad una liquidazione equitativa del danno, conformemente ad una consolidata giurisprudenza (Cass. 2193/78; Cass. 4608/78), secondo cui il ritardo nella riconsegna è sempre potenzialmente lesivo del patrimonio del locatore.

Passando, ora, alla determinazione del danno, va precisato che deve essere preso come parametro il canone corrente di mercato. Calcolato, come il Ctu, ha fatto, per appartamenti del tipo in esame e, cioè, tenuto conto dell'accatastamento dell'immobile in questione nella categoria A/4, dal momento che la categoria è attribuita non solo per distinguere i diversi tipi di immobili, ma anche per individuarne la rendita al fine dell'imposizione fiscale. Ciò significa che non è possibile disattendere la classificazione catastale per locare ad uso di studio professionale, come sostenuto dall'appellante, un immobile accatastato, invece, come abitazione.

Tutto ciò premesso, tenuto conto che il maggior danno spetta soltanto per il periodo di libero mercato e, cioè, successivamente all'entrata in vigore della legge sui patti in deroga (L. 8 agosto 1992, n. 359) per finire all'epoca di esecuzione dello sfratto (1° dicembre 1995), per un totale di quaranta mesi, stima la corte di liquidare all'appellante in via Page 926 equitativa, come già detto, la somma complessiva di lire 35.000.000 all'attualità, tenuto conto: delle risultanze della Ctu, che ha calcolato il canone di libero mercato, all'agosto 1992, in L. 1.748.370 mensili, risultanze che la corte non ha motivo di disattendere; del canone all'epoca versato dal conduttore, ammontante a lire 200.000, come si può dedurre dal ricorso introdotto dall'appellato stesso, innanzi al pretore per la determinazione del canone legale; dalla circostanza che il Valentini ebbe a dedurre, in sede di esecuzione dello sfratto, motivi di necessità, dovendo adibire l'immobile ad abitazione degli anziani suoceri, sprovvisti di alloggio e bisognosi di cure; della prevalenza della urgenza sopra rappresentata sulla dedotta ipotesi di mancato maggior reddito che sarebbe conseguito ad una locazione dell'immobile a condizioni più vantaggiose.

Sulla somma, come sopra determinata, spettano gli interessi al tasso legale dalla pubblicazione della sentenza.

Per gli esposti motivi, pertanto, l'appello principale va accolto per quanto di ragione; dal Di Russo interposto per il risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., avendo egli dato prova, secondo l'assunto, di corrispondere al locatore somme ben superiori all'equo canone ed essendo la domanda del Valentini in contraddizione con quanto da lui stessi dichiarato, per ottenere l'esecuzione dello sfratto, di avere, cioè necessità di adibire l'immobile ad uso abitativo dei suoceri.

L'appello è infondato: l'accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 96, primo comma, c.p.c. per avere la controparte processuale agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, infatti, presuppone l'accertamento sia dell'elemento soggettivo dell'illecito (malafede o colpa grave), sia dell'elemento oggettivo (entità del danno sofferto). Ne consegue che, ove, come nella fattispecie, dagli atti del processo non risultino elementi obiettivi dei quali desumere la concreta esistenza del danno, nulla può essere liquidato a tale titolo, neppure ricorrendo a criteri equitativi (Cass. 12422/95).

L'accoglimento parziale dell'appello principale e la natura della lite sono giusti motivi per compensare per la metà le spese del doppio grado, liquidate come in dispositivo, rimanendo la restante metà a carico dell'appellato il quale dovrà interamente rifondare le spese del Ctu come liquidate dal tribunale, attesa la soccombenza principale (Omissis).

@TRIBUNALE DI TORINO Sez. III, ord. 11 novembre 2000. Est. Semini - Ric. Soc. Immobiliare Pomavic.

Esecuzione forzata - Consegna o rilascio - Provvedimento di rilascio - Emesso ex art. 6 L. n. 431/1998 - Esecuzione Comuni alluvionati - Sospensione sino al 31 marzo 2001 - Ambito di applicazione - Uso abitativo e finita locazione - Esclusività.

In considerazione del richiamo operato dall'ordinanza 3090/2000 all'art. 6 L. n. 431/98, richiamo reso ancora più esplicito dall'art. 4 dell'ordinanza 3093/2000, la sospensione degli sfratti deve ritenersi riferita soltanto agli usi abitativi e alle finite locazioni, con esclusione quindi dei provvedimenti di rilascio di immobili adibiti ad uso diverso e dei provvedimenti di rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo per morosità. (L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6) (1).

    (1) Le ordinanze del Ministero dell'Interno delegato per il coordinamento della protezione civile n. 3090 del 18 ottobre 2000 e n. 3093 dell'8 novembre 2000 possono leggersi nella rubrica Legislazione di questo stesso fascicolo.

Il giudice dell'esecuzione letto il ricorso ex art. 610 c.p.c. depositata in data 6 novembre 2000 della Immobiliare Pomavic Soc. Semplice, con cui si lamenta «l'indiscriminata sospensione di tutte le procedure esecutive di sfratto, anche per morosità, sia per gli usi abitativi, sia per gli usi diversi» a seguito dell'ordinanza 3090/2000 del Ministero dell'interno; rilevato:

- che l'art. 5 comma 7 dell'ordinanza ministeriale 3090/2000 ha disposto...

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