Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine489-508

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@TRIBUNALE PENALE DI SALERNO 28 marzo 2000, n. 1019. Pres. Carrato - Est. Imp. Manzo

Patente - Marca di concessione governativa contraffatta - Ricezione e utilizzo - Reati di cui all'art. 464 c.p. e 648 c.p. - Configurabilità.

Integra i reati di cui agli artt. 464 c.p. (Uso di valori di bollo contraffatti o alterati) e 648 c.p. (Ricettazione), con annesso vincolo di continuazione fra loro, l'ipotesi della ricezione e successiva apposizione sulla patente di guida di una marca di concessione governativa contraffatta. (C.p., art. 648; c.p., art. 464) (1).

    (1) Per utili ragguagli, con riferimento ad analoga fattispecie, v. Cass. pen., sez. V, 20 aprile 1983, Tallon, in Riv. pen. 1983, 912.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - A seguito di indagini preliminari esperite dal P.M. presso la preesistente pretura circondariale, veniva emesso in data 3 ottobre 1997 decreto di citazione a giudizio nei riguardi di Manzo Ferdinando in ordine ai reati ascrittigli in rubrica.

All'udienza del 12 gennaio 2000 (da ritenersi fissata dinanzi a quell'ufficio del tribunale, in composizione monocratica, alla stregua del disposto di cui all'art. 219 D.L.vo n. 51/98, non essendosi proceduto, nelle pregresse udienze alla verifica della costituzione delle parti, essendo stati operati appositi differimenti in via preliminare per astensione della classe forense e, da ultimo, all'udienza del 30 settembre 1999, con la rimessione al sottoscritto giudicante per intervenuta modifica tabellare), nella contumacia dell'imputato, il P.M. formulava le proprie richieste probatorie indirizzate all'esame del teste di lista comparso e all'acquisizione del verbale di sequestro della marca da bollo contraffatta, e così anche il difensore avanzata istanza di abilitazione al controesame del teste di accusa, non opponendosi alla rinuncia dell'altro teste dell'accusa citato e non comparso.

Disposta l'acquisizione dell'idonea documentazione allegata, si procedeva all'esame incrociato del teste Cappello Martino.

Quindi, all'esito dell'esperita istruttoria dibattimentale, rilevatane l'indispensabilità, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., veniva disposto d'ufficio l'esame dei testi mar. Della Rocca Matteo e mar. Mendicino Raffaele in ordine agli accertamenti esperiti a carico del Manzo Ferdinando a seguito del sequestro operato nei suoi confronti, nonché l'acquisizione del verbale relativo al risultato degli accertamenti eseguiti per la verifica della falsità della marca in sequestro.

Alla successiva udienza del 16 marzo 2000 si procedeva all'esame del verbalizzante Mendicino Raffaele e, rilevata la sufficienza delle acquisizioni probatorie intervenute, si disponeva la revoca parziale dell'ordinanza ammissiva di prove d'ufficio adottata alla precedente udienza del 12 gennaio 2000 e, perciò, previa attestazione di utilizzabilità degli atti acclusi al fascicolo per il dibattimento, veniva dichiarata chiusa la pubblica istruttoria. Pertanto P.M. e difensore rassegnavano le rispettive conclusioni in sede di discussione nei sensi innanzi riportati, con successiva deliberazione della sentenza, del cui dispositivo in atti era data pubblica lettura, con riserva del deposito della relativa motivazione nel termine ordinario di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Ritiene il giudicante che sussistono obiettivamente ed univocamente, nella fattispecie, i presupposti per pervenire ad una pronuncia di condanna dell'imputato in ordine ad entrambi i delitti ascrittigli in rubrica, pur potendosi ritenere configurata, con riguardo alla fattispecie del reato di ricettazione contestata, l'ipotesi prevista dall'art. 648 cpv. c.p., alla stregua della particolare tenuità del fatto rimasto accertato.

Dalle risultanze dell'istruttoria dibattimentale è emerso che il Manzo Ferdinando, nel corso di un ordinario servizio di controllo, in data 15 luglio 1996, era stato fermato da una pattuglia dei carabinieri e, durante la verifica dei documenti di circolazione e della patente di guida, era emerso che, su quest'ultima, si trovava apposta la marca di concessione governativa per l'anno 1996, risultata contraffatta, in relazione soprattutto alle caratteristiche della vivacità del colore e del tipo di carta che la connotavano.

Il verbalizzante Cappello Martino ha riferito che, in quella circostanza, il Manzo riferì che la marca l'aveva acquistata in una tabaccheria, anche se non era in grado di indicare quale; sennonché - come ha specificato il medesimo verbalizzante - l'imputato fece pervenire una nota al comando di appartenenza dei militi con la quale ebbe a cambiare versione sulla provenienza della marca, asserendo che la stessa era stata rinvenuta per terra.

Le stesse emergenze sono state confermate anche dall'altro verbalizzante escusso Mendicino Raffaele, il quale ha ribadito che, nel corso dell'effettuato controllo, la marca presentava degli elementi caratteristici (come anche la dentellatura, oltre a quelle individuate dall'altro teste) che non combaciavano con quelli originali e che la contraffazione era stata valutata anche procedendo alla comparazione della marca sequestrata in danno del Manzo con quelle autentiche, in tal modo rimanendo confermato il risultato della falsità della marca in questione. Lo stesso Mendicino ha, peraltro, precisato che, in dipendenza della conformazione della marca assoggettata a sequetro, la stessa era comunque confondibile - prendendo in considerazione i criteri di valutazione dell'uomo medio - con quella originale e che, quindi, soltanto l'osservazione di personale abituato a tale tipo di controllo poteva far conseguire l'accertamento della falsità della marca con certezza, tanto è vero che, nell'ipotesi in discorso, non si rese necessaria - e non fu quindi esperita - alcun'altra verifica presso l'Istituto della Zecca dello Stato.

Il Mendicino ha, inoltre, chiarito ulteriormente che, in effetti, il Manzo, in un primo momento, aveva offerto una versione con riferimento alla provenienza della marca (che assumeva di aver comprato presso una tabaccheria di Vietri sul Mare) e, poi, nel corso delle indagini, aveva rettificato ciò, assumendo, con apposita informativa inviata agli agen-Page 490ti accertatori, che, invece, la marca era stata casualmente trovata per terra.

Orbene - alla luce delle inequivoche emergenze scaturite dalla pubblica istruttoria e senza che la difesa dell'imputato (oltretutto rimasto contumace) sia stata in grado di addurre elementi di segno contrario - non si prospetta discutibile che, nella fattispecie, siano rimaste concretate le condizioni idonee per la configurazione di entrambi i reati addebitati al Manzo.

Invero, alla stregua delle concordi risultanze desuntesi dall'esame dei due verbalizzanti, è stato, innanzitutto, possibile evincere che la marca da bollo risultata apposta sulla patente detenuta dal Manzo e a lui intestata era sicuramente falsa in dipendenza delle specifiche caratteristiche innanzi individuate, con la puntualizzazione, peraltro, che la conformazione della marca medesima era comunque indonea ad ingannare come tale, avuto riguardo alle generalità delle persone, escludendosi, pertanto, la configurazione di un falso grossolano, il quale ricorre solo quando la falsità sia così evidente da escludere la possibilità e non solo la probabilità dell'inganno.

Inoltre - proprio in virtù dell'accertata apposizione della marca sulla patente (verificata all'atto del controllo dei militi) e non essendo rimasto, in ogni caso, provato che il Manzo avesse compartecipato all'attività di contraffazione e di messa in circolazione del valore bollato - è emerso che l'imputato ha fatto uso della marca stessa al fine di trarne un vantaggio, essendosi tale uso esplicato in conformità alla normale destinazione del valore di bollo. In altri termini dall'esperito accertamento è rimasta indiscutibilmente riscontrata un'utilizzazione conforme all'ordinaria destinazione che essa avrebbe avuto se fosse stata genuina, nel che consiste l'elemento oggettivo del contestato reato di cui all'art. 464 c.p. E non può ritenersi che il valore sia stato ricevuto in buona fede, sia perché la difesa del Manzo non ha offerto in dibattimento alcun idoneo riscontro oggettivo al riguardo, sia perché - alla stregua delle complessive dichiarazioni rese in sede di esame dai verbalizzanti - è emerso che il prevenuto aveva adottato - con riferimento all'indicazione della provenienza della marca - un comportamento univocamente indiziante (unitamente alla circostanza dell'accertata falsità del valore al momento del controllo), siccome in un primo momento aveva riferito che la medesima era stata acquistata presso un tabacchino e, poi, successivamente - resosi conto della inadeguatezza di tale versione - aveva assunto di averla rinvenuta per terra, in tal modo apportando una ricostruzione della complessiva vicenda non plausibile e, in ogni caso, non supportata da convincenti elementi probatori difensivi (non essendone, anzi, stato apportato alcuno).

Del resto la giurisprudenza ha ritenuto che il reato di cui all'art. 464 comma primo, c.p., è punito a titolo di dolo meramente generico che consiste nella sola consapevolezza della falsità del valore di bollo di cui si fa uso.

Da quanto innanzi discende che il Manzo risponde anche del delitto di ricettazione, poiché l'uso della marca contraffatta è stato preceduto dalla sua ricezione, finalizzata appunto al perseguimento di uno scopo di profitto consistito nell'utilizzazione della stessa in relazione all'anno 1996, con la consapevolezza della sua illecita provenienza, siccome frutto della realizzazione di attività criminosa, avuto, in particolare, riferimento alla consumazione a monte del reato di cui all'art. 459 c.p., procedibile d'ufficio.

L'accertata detenzione della marca da bollo falsa comprova, oggettivamente, la sua pregressa ricezione e la mancata giustificazione credibile e plausibile del difetto di consapevolezza circa la sua illegittima provenienza (in virtù delle circostante precedentemente...

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