Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@TRIBUNALE DI BRINDISI 12 aprile 2001, n. 582. Est. Maritati - Imp. Di Maio.

Sicurezza pubblica - Stranieri - Attività diretta a favorire la permanenza sul territorio dello Stato ai cittadini stranieri - Configurabilità - Tassista che trasporti immigrati clandestini dietro regolare corrispettivo - Esclusione.

Il reato previsto dall'art. 12, comma 5, D.L.vo n. 286/98 di attività diretta a favorire la permanenza nel territorio nazionale di immigrati clandestini richiede, quale elemento costitutivo, che il reo si prefigga di trarre e/o tragga, dalla condotta un ingiusto profitto. (Nella fattispecie, non si configura tale ipotesi di reato nella condotta di un tassista che trasporti all'interno del territorio nazionale persone risultate (in seguito a controlli) sprovviste del regolare permesso di soggiorno, avendo legittimamente contrattato con le stesse il corrispettivo per il trasporto). (D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 12) (1).

    (1) In senso conforme, v. Cass. pen., sez. I, 25 ottobre 2000, P.M. in proc. Mao, in questa Rivista 2001, 318. Per ulteriori riferimenti in materia v., inoltre, Il codice repertorio delle leggi penali speciali commentato con la giurisprudenza a cura di P. DUBOLINO e C. DUBOLINO, Ed. La Tribuna, Piacenza 2001, pp. 916 e ss.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con decreto di citazione emesso l'1 giugno 2000 dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Brindisi e ritualmente notificato, Di Maio Antonio Aldo veniva tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Brindisi, I sezione penale, in composizione monocratica, per rispondere del reato ascrittogli nei termini riportati in epigrafe.

Più precisamente, con il decreto di citazione era stato contestato al Di Maio di aver compiuto, in concorso con altra persona rimasta ignota, attività diretta a favorire la permanenza sul territorio dello Stato di alcuni cittadini stranieri e di avere, al fine di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, prodigandosi dietro compenso a trasportarli a bordo della sua autovettura a Roma. In Brindisi il 21 settembre 1998.

Alla presenza dell'imputato veniva richiesta la definizione del procedimento con il rito abbreviato e, acquisito il fascicolo del P.M., la pubblica accusa e il difensore dell'imputato formulavano le conclusioni come riportate in epigrafe.

Dagli atti di indagine contenuti nel fascicolo del P.M. e, segnatamente, dal verbale di arresto e da quelli di perquisizione e sequestro, dalla comunicazione di notizia di reato, oltre che dai documenti allegati alla memoria difensiva in atti, ed, infine, dai verbali della fase di convalida dell'arresto, è risultato impossibile dimostrare la sussistenza dei fatti di cui all'imputazione ascritta all'odierno imputato.

In particolare, dai verbali di arresto, perquisizione e sequestro si evince unicamente che, in data 21 settembre 1998, l'autovettura adibita a taxi (risultata di proprietà di tale D'Aprile) condotta dall'odierno imputato, veniva controllata all'interno di un'area di servizio nei pressi di Cerignola da una pattuglia della Guardia di Finanza, dai controlli esperiti emergeva che i quattro trasportati erano extracomunitari sprovvisti di documenti e di permesso di soggiorno o altro titolo valido all'ingresso ed alla permanenza in Italia. Si accertava, poi, che il Di Maio aveva preso a bordo le quattro persone presso la Stazione Ferroviaria di Brindisi e che aveva ricevuto del danaro (lire 160.000, 120 dollari USA e 2.200 dracme greche) dagli extracomunitari per accompagnarli a Roma. Ciò che indusse la Guardia di Finanza a sospettare circa la illiceità della condotta del Di Maio fu la constatazione che il taxi viaggiava con l 'insegna luminosa spenta e con tassametro spento.

Gli elementi d'accusa terminano qui.

La difesa dell'imputato, invece, ha dimostrato una serie di circostanze che pongono nel nulla i, peraltro pochi, sospetti che potevano derivare a carico dell'imputato dalla scarsissima attività di indagine svolta.

È stato documentalmente dimostrato, infatti, che il Di Maio è titolare di valida licenza per condurre i taxi e che l'auto condotta gli era stata altrettanto lecitamente affidata dal suo proprietario (il D'Aprile), titolare, peraltro, di valida licenza per l'esercizio della professione.

Il Di Maio, dunque, allorquando è stato fermato e, soprattutto allorquando ha accettato di trasportare i quattro cittadini extracomunitari, era perfettamente nell'esercizio lecito di una legittima attività professionale.

Da nessun elemento, neppure di natura indiziaria, emerge che il Di Maio avesse «la consapevolezza che i cittadini extracomunitari risultavano sprovvisti sia dei documenti che del permesso di soggiorno». Tale affermazione, contenuta nel decreto che dispone il giudizio (evidentemente al fine di supportare l'esistenza dell'elemento psicologico del reato), è rimasta dunque, del tutto sfornita di dimostrazione.

Nulla, quindi, autorizza, in mancanza di prova idonea, a ritenere che il Di Maio abbia consapevolmente favorito i quattro clandestini a permanere sul territorio dello Stato.

Ma v'è di più. Il fatto contestato al Di Maio non solo, certamente, non costituisce reato (per l'assenza, come detto, della prova circa l'esistenza del dolo), ma altrettanto evidentemente non sussiste neppure.

La fattispecie incriminatrice contestata, infatti, richiede, quale elemento costitutivo, che il reo si prefigga di trarre e/o tragga dalla condotta di favoreggiamento un «ingiusto profitto».

La difesa ha dimostrato (mediante la produzione della delibera del Consiglio Comunale di Brindisi che regola la materia) che la libera contrattazione è uno dei metodi previsti (oltre, evidentemente, all'uso ordinario del tassametro) per stabilire il compenso dei trasporti extraurbani di persone, quale era il trasporto a Roma dei clandestini.

Anche in questo caso gli inquirenti nulla hanno fatto per dimostrare che il Di Maio abbia effettivamente inteso di profittare dello stato di clandestinità al fine di trarre l'ingiusto profitto.

Deve, dunque, farsi esclusivo riferimento ai dati fattuali sopra evidenziati.

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Il compenso di meno di lire 800.000 pattuite per il trasporto di quattro persone da Brindisi a Roma dovrebbe, quindi, essere qualificato come ingiusto (ossia esoso o sproporzionato) per giustificare in qualche maniera l 'imputazione ascritta al Di Maio.

È di tutta evidenza, invece, che la cifra di meno di lire 200.000 a persona (che, detratte le spese, si riduce a poco più di lire 100.000), da dividersi al 50% con il proprietario del veicolo, sia una cifra oltre che assolutamente ragionevole, anche lontana dal suscitare il benché minino sospetto circa un deliberato approfittarsi della condizione di illegalità per trarre ingiusto profitto.

Deve, poi, essere sciolto l'unico dubbio di fatto che aveva portato la Guardia di Finanza ad interessarsi della vettura condotta dal Di Maio: perché l'insegna luminosa del taxi era spenta? Perché il trasporto esulava dal normale esercizio dell'attività lecita, come sostiene l'accusa, o per altra ragione?

Ancora una volta è la difesa a dare la prova documentale della ragione lecita di tale fatto: la Tax Onics, ditta fornitrice dei tassametri, in apposito documento afferma, infatti, che il mancato uso del tassametro esclude automaticamente il funzionamento del dispositivo luminoso. Deve, dunque, affermarsi la piena liceità di tale circostanza, avendo già chiarito che il Di Maio aveva legittimamente optato per la contrattazione privata senza uso del tassametro per quel viaggio.

Assolutamente sfornita di supporto probatorio è, inoltre, risultata l'ipotesi di un concorso con altra persona rimasta ignota: da quale elemento si sia dedotta questa apodittica certezza, non è dato sapere (posto che deve escludersi il riferimento al proprietario dell'auto, non incriminato ed a vantaggio del quale è stata immediatamente disposta la restituzione della vettura sequestrata).

Deve, in ultimo, osservarsi che la norma incriminatrice in questione non impone alcun obbligo in capo al vettore terrestre, che svolga il suo lecito compito all'interno del territorio nazionale, di accertarsi del possesso di documenti e di titolo di permanenza sul territorio dello Stato: tale obbligo incombe solo ed unicamente a carico del vettore che trasporta persone attraversando frontiere.

In assenza, infine, del benché minimo elemento anche solo indiziario (quale sarebbe potuto essere, l'aver caricato a bordo i clandestini prelevandoli dalla scogliera, o l'essere in contatto con associazioni o singoli che operano nel settore del traffico di clandestini) le accuse rivolte al Di Maio sono risultate assolutamente senza supporto probatorio e, dunque, l'imputato deve essere mandato assolto perché il fatto a lui ascritto non sussiste.

Il danaro ed il telefono cellulare in sequestro, essendone stato dimostrato il possesso e la proprietà perfettamente lecita, devono essere restituiti al Di Maio previo dissequestro. (Omissis).

@TRIBUNALE DI PIACENZA 11 dicembre 2000. Pres. D'Onofrio - Est. Bersani - Imp.ti Cocchi e Ranieri.

Riciclaggio - Estremi - Condotta delittuosa - Individuazione - Fattispecie in tema di veicoli e motori di provenienza delittuosa.

Ricettazione - Elemento oggettivo - Provenienza illecita della cosa - Necessità - Rapporto con il reato di riciclaggio - Fattispecie complessa - Configurabilità.

Ci si trova in presenza di un'operazione di riciclaggio, ai sensi dell'art. 648 bis c.p., tutte le volte in cui il riconoscimento del bene, per effetto di operazioni su di esso compiute, non possa avvenire agevolmente, ma richieda un'indagine necessaria a superare l'ostacolo, sia pure lieve, costituito dalle operazioni di occultamento. (Nella fattispecie gli imputati avevano ostacolato le operazioni di identificazione della provenienza delittuosa di veicoli e motori intervenendo sui telai e sui numeri di matricola). (C.p., art. 648 bis) (1).

Il rapporto tra...

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