Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI FIRENZE 10 gennaio 2001, n. 58. Pres. Santilli - Est. De Simone - Comune di Quarrata (avv. Giovannelli) c. Soc. Immobiliare Poggio Verde (avv.ti Bujani Ermanno e Bujani Elisabetta).

Espropriazione per pubblico interesse (o utilità) - Procedimento - Indennità di espropriazione - Determinazione - Aree destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale - C.d. zona F - Rilevanza.

Le aree, destinate alla realizzazione di quella serie di impianti, servizi ed usi di interesse collettivo che l'art. 2 del D.M. 2 aprile 1968 chiama «zona F», costituiscono non già un corpo separato, nella previsione degli strumenti urbanistici, rispetto alle zone A, B, C, D (alla cui destinazione edificatoria sono funzionali), ma concorrono con tutte le altre aree componenti a determinare l'indice edilizio territoriale della zona di cui si tratta, giacché esse sono corredo necessario ed elemento costitutivo della edificabilità della zona specifica cui - secondo una proporzione necessaria per volontà legislativa - ineriscono, e sono pertanto pienamente partecipi di tutti i parametri edificatori che la caratterizzano. Di esse, pertanto, occorre far conto ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione (e di occupazione) ex art. 5 bis della legge 359/92. (L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis; D.M. 2 aprile 1968, art. 2) (1).

    (1) Principio da condividersi, per il quale non risultano precedenti editi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto di citazione, notificato il 13 novembre 1986, la Srl Immobiliare Poggio Verde conveniva, avanti al Tribunale di Pistoia, il Comune di Quarrata.

Esponeva l'attrice che un proprio terreno, della consistenza di mq. 6.650, posto in territorio di quel comune, era stato occupato d'urgenza, per la realizzazione di un'opera pubblica; tuttavia, la procedura di esproprio non era stata perfezionata nei termini previsti per l'occupazione dagli artt. 20 L. 865/1971 e 5 L. 385/1980, mentre l'opera era stata realizzata (e quindi era stata resa impossibile la retrocessione). Chiedeva quindi l'attrice la condanna del comune al risarcimento del danno, commisurato al valore del bene. Il comune, costituendosi, offriva di pagare la somma che i propri tecnici avevano stimato quale valore venale del terreno. Espletate tre C.T.U., la causa era decisa dal tribunale, che riteneva edificabile l'area occupata (e trasformata), determinava in complessive lire 86.380.000 il relativo valore venale, condannava il comune a pagare detta somma rivalutata dal tempo dell'avvenuta occupazione e maggiorata di interessi legali dalla stessa data. Avverso questa sentenza proponeva tempestivo appello il comune, che, con primo motivo, eccepiva l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno, dovendosi considerare quale termine iniziale quello dell'occupazione d'urgenza. Con secondo motivo, l'appellante sottolineava che l'area occupata da esso comune era inserita in zona F3, cioè non interessata da uno sviluppo edilizio e non avente attitudine edificatoria immediata né futura, onde incongrua si appalesava la valutazione datane dal C.T.U. ing. Lacanà e fatta propria dal tribunale. Con terzo motivo, l'appellante si doleva per il fatto che il tribunale avesse maggiorato la somma dovuta alla società attrice non soltanto di rivalutazione ma anche di interessi legali, dovendosi invece ritenere la rivalutazione assorbente del danno da interessi, mentre invece cumulando le due componenti si perverrebbe ad una duplicazione del risarcimento per la stessa voce di danno. Chiedeva infine il comune che la Corte pronunziasse sull'acquisto, pacifico, del diritto di proprietà in capo alla P.A. pronunzia omessa dal tribunale. Si costituiva l'appellata società, deducendo che dies a quo dell'eccepita prescrizione, dovesse considerarsi la scadenza del termine dell'occupazione legittima; tuttavia, anche ponendo l'inizio al momento dell'irreversibile trasformazione del bene (l'opera era stata realizzata negli anni 1983-1984 e l'atto di citazione era stato notificato nel novembre 1986), la prescrizione non sarebbe comunque maturata. Infine, ricordava che erano stati compiuti atti interruttivi, inviando le lettere raccomandate A.R. rispettivamente in data 32 luglio 1984, 26 aprile 1985, 10 luglio 1985, il cui contenuto, per ottenere l'invocata efficacia, doveva essere messo in relazione con la delibera della giunta regionale del6 novembre 1980 n. 8798 e con la comunicazione sindacale del 7 dicembre 1980 prot. 14689. Per ciò che atteneva alla valutazione del bene, l'appellata difendeva le valutazioni del C.T.U., osservando che l'area era stata ritenuta fabbricabile, in quanto destinata dal P.R.G. a zona sportiva attrezzata con vocazione edificatoria. Contestava infine il fondamento della doglianza sul disposto cumulo di interessi e rivalutazione.

La causa, espletata ulteriore C.T.U., veniva rimessa all'udienza collegiale del 16 giugno 2000.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Risulta dagli atti di causa (in particolare, vedi la documentazione fotografica allegata alla relazione del C.T.U. ing. Lacanà depositata in data 5 gennaio 1990 e la relazione ing. Forleo del 28 aprile 1999) che l'opera pubblica, una piscina, non è stata realizzata compiutamente: in data 4 dicembre 1980, l'opera era stata dichiarata ultimata dall'amministrazione comunale, che aveva deciso di limitare l'impegno alla realizzazione del cosiddetto rustico, che è appunto quello che si vede nelle fotografie. La struttura, così come realizzata, costituisce certamente una trasformazione irreversibile del suolo, tale da non consentirne la retrocessione alla società che ne era proprietaria; la data della realizzazione, in mancanza di una differente dimostrazione (che incombeva alla parte che dall'eccezione di prescrizione intendeva trarre vantaggio) deve essere considerata quella dell'atto con cui la stessa amministrazione dichiarava ultimata l'opera, cioè appunto il 4 dicembre 1980. Ma ciò che rileva, ai fini del primo motivo di gravame, è che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento decorre dalla cessazione del periodo di occupazione legittima che, pacificamente, è quello del 31 marzo Page 434 1983 (cfr. Corte cost. 23 maggio 1995, n. 188: «Non è incostituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost. l'art. 2043 c.c., nella parte in cui - in presenza di un'opera pubblica eseguita su terreno semplicemente occupato e acquisita alla mano pubblica attraverso un'accessione invertita da fatto illecito per impossibilità di restituzione - implica l'applicazione alla fattispecie della prescrizione quinquennale del risarcimento dei danni, essendo chiaro per un soggetto di ordinaria diligenza il dies a quo della prescrizione; essa decorre, ove la trasformazione irreversibile del suolo sia avvenuta nel corso del periodo di occupazione legittima, dallo scadere di tale periodo, mentre, se la manipolazione a quella data non sia ancora ultimata o neppure intrapresa, nessuna ragione di indugio ha il proprietario di procrastinare l'azione giudiziaria»).

La prescrizione quinquennale si sarebbe compiuta dunque al 31 dicembre 1988, ben dopo cioè la notifica della citazione davanti al Tribunale di Pistoia (avvenuta il 13 dicembre 1986).

Per ciò che attiene al secondo motivo d'appello, il comune lo illustra deducendo (ed all'uopo richiamando quanto affermato da Cass. civ., sez. I, 20 marzo 1998, n. 2929 e 16 maggio 1998, n. 4921) che, dopo l'intervento della Corte costituzionale, con la sentenza n. 261/1997, non può più predicarsi «l'esistenza nell'ordinamento di un tertium genus, oltre quello delle aree edificabili e delle aree agricole, alle quali ultime devono pertanto ritenersi parificate... tutti i suoli che pur presentando caratteristiche o attitudini diverse a quelle agricole, non risultano strictu sensu edificatori», fra i quali sono espressamente compresi quelli con destinazione a verde pubblico, impiantistica sportiva ecc.».

Lo stesso appellante completa l'esposizione della propria tesi affermando che la norma del comma 7 bis dell'art. 5 bis della legge 359/1992 è applicabile soltanto alle aree edificabili (ed in proposito cita Cass. civ., sez. I, 3 marzo 1998, n. 2336), dovendo invece avvenire la valutazione dei suoli non edificatori secondo il valore venale dei terreni agricoli.

Non sfugge al collegio che un orientamento, quale quello su cui l'appellante fonda la propria ragione, si sia formato in sede di legittimità: anche recentemente (Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1999, n. 2272) si è affermato che il carattere di inedificabilità, ad opera dei privati, delle aree in questione (ove soltanto alla P.A. sarebbe consentito di svolgere l'attività in parola) «è dimostrato dalle prescrizioni dei limiti inderogabili di densità edilizia, contenuti nell'art. 7 D.M. 2 aprile 1968 (cui rinvia l'art. 41 quinquies, ottavo comma, L. 17 agosto 1942 n. 1150, come introdotto dall'art. 17 L. 6 agosto 1967 n. 765), che non contempla la zona F, definita dall'art. 1 (n.d.r.: così nel testo) come "parte del territorio destinata ad attrezzature ed impianti di interesse generale"». Ma, se questo è l'elemento di discrimine, giova osservare che lo stesso art. 7 del D.M. contempla invece i limiti inderogabili di densità edilizia anche per le zone agricole [«4) Zone E: è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc. 0,03 per mq.»], rendendo così impossibile di utilizzare questo requisito per distinguere le aree edificabili dalle aree non edificabili ex art. 5 bis della legge n. 359/92.

Ritiene così il collegio di dover seguire il diverso insegnamento che proviene da una serie di altre decisioni che meritano di essere prese in esame.

V'è in primo luogo da osservare che la Corte cost. (sent. 20 maggio 1999, n. 179), ricordato come vi siano viceversa vincoli che «importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata» e che pertanto, non comportano inedificabilità e...

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