Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI NAPOLI Sez. III, 10 aprile 2001, n. 1080. Pres. Nastro - Est. Vitiello - Dinacci (avv. Fiorito) c. Fiorino (avv.ti Pagano e Zefelippo).

Contratti in genere - Scioglimento del contratto - Clausola risolutiva espressa - Contratto di locazione - Configurabilità - Inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate - Necessità.

Con riferimento ad un contratto di locazione, per la configurabilità della clausola risolutiva espressa è necessario che la risoluzione sia prevista dai contraenti per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, dovendosi considerare clausola di stile e quindi non produttiva della risoluzione di diritto quella che sia stata prevista con riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto. (C.c., art. 1453; c.c., art. 1455; c.c., art. 1456) (1).

    (1) In senso conforme, v. Cass. 2 giugno 1990, n. 5169, in Arch. civ. 1991, 473; Cass. 16 novembre 1983, n. 6827, ivi 1984, 158 e Trib. Foggia 22 gennaio 1988, n. 71, in questa Rivista 1990, 106.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto ritualmente notificato Dinacci Angela, premesso di essere proprietaria di un immobile sito in Napoli alla via Riviera di Chiaia n. 10, piano quarto, int. 15, condotto in locazione per uso diverso da abitazione dalla ditta Fiorino Eduardo per un canone bimestrale di lire 3.119.332; che il predetto conduttore non aveva corrisposto il canone locativo relativo al bimestre novembre-dicembre 1999; ciò premesso, intimava a Fiorino Eduardo sfratto per morosità e contestualmente lo conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, per sentir convalidare la predetta intimazione.

Costituitosi in giudizio, il Fiorino offriva banco iudicis la somma di lire 3.003.020, opponendosi alla convalida della intimazione e chiedendo in via riconvenzionale la condanna della locatrice al pagamento dei lavori sostenuti per rendere abitabile l'immobile, al quale aveva apportato miglioramenti con il consenso della locatrice. Denegata la ordinanza di rilascio e disposta la trasformazione del rito, il tribunale rigettava la domanda di risoluzione del contratto di locazione, nonché la riconvenzionale del convenuto. Avverso la sentenza proponeva appello la Dinacci, censurando la sentenza nella parte in cui aveva affermato la non gravità dell'inadempimento e nella parte in cui non aveva tratto le debite conseguenze dalla clausola risolutiva espressa, contenuta all'art. 14 del contratto di locazione sottoscritto dalle parti. Costituitosi ritualmente, l'appellato chiedeva il rigetto dell'appello e spiegava a sua volta appello incidentale, con il quale deduceva che il tribunale non avrebbe dovuto ritenere infondata la riconvenzionale e rigettarla, ma avrebbe dovuto riconoscere il suo diritto ad ottenere l'indennità per i miglioramenti apportati ex art. 1592 c.c. alla fine della locazione. All'udienza del 5 aprile 2001 il collegio, sulle conclusioni di cui in epigrafe, decideva la controversia come da dispositivo del quale dava lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Entrambi gli appelli sono infondati.

La Dinacci con il primo motivo di gravame lamenta che il giudice di primo grado non ha ritenuto che l'inadempimento del conduttore fosse di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto di locazione e sostiene la erroneità di tale convincimento, perché in contrasto con il disposto dell'art. 5 L. 392/78 che non lascerebbe spazio al giudice nella valutazione della gravità dell'inadempimento, essendo essa predeterminata dal legislatore. Tale censura non è condivisibile: va osservato che tale valutazione legale riguarda solamente le locazioni ad uso abitativo, perché per le locazioni non abitative spetta al giudice valutare la gravità della mora ai fini della risoluzione del contratto in base ai criteri dell'art. 1455 c.c., non potendosi ritenere applicabile a tali locazioni la norma dell'art. 5 della legge n. 392/78 prevista esclusivamente per le locazioni ad uso abitativo. Ne consegue che tale valutazione va fatta alla stregua delle particolarità del caso concreto, che a giudizio di questo collegio non sono tali da far considerare l'inadempimento de quo come causa di risoluzione del contratto. Devesi, infatti, rilevare che la c.d. morosità del Fiorino è stata di brevissima durata, atteso che il conduttore in sede di convalida ha offerto banco iudicis in data 10 gennaio 2000 la somma corrispondente al canone per il bimestre novembre-dicembre 1999, che l'intimante aveva dedotto come non pagato. Va poi osservato che questo brevissimo ritardo nel pagamento del canone, che già di per sè obiettivamente lascia trasparire che mai vi sia stata l'intenzione del conduttore di sottrarsi all'adempimento della sua principale obbligazione, fu anche in qualche misura determinato dal comportamento della Dinacci, che, avendo riscosso il canone del bimestre precedente con modalità diverse da quelle fino a quel momento praticate per essersi recata a riscuoterlo personalmente presso l'ufficio del conduttore, ingenerò in quest'ultimo il dubbio che anche per le successive riscossioni la locatrice si sarebbe così comportata con conseguente esitazione dello stesso nella puntuale spedizione del canone al domicilio della Dinacci, come in precedenza era sempre avvenuto.

Pertanto, tenuto presente sia l'elemento obiettivo che quello soggettivo, inerente alla colpa del conduttore, appare corretta la decisione del primo giudice nella parte in cui ha ritenuto di scarsa importanza l'inadempimento del Fiorino, rigettando la domanda di risoluzione. Anche il secondo motivo, afferente la non applicazione della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di locazione, è destituita di fondamento. Devesi, infatti, rilevare che giustamente il giudice di primo grado non ha ritenuto che il contratto si sia risolto di diritto per effetto di detta clausola, in quanto - come è stato costantemente ritenuto dalla Cassazione - per la configurabilità della clausola risolutiva espressa è necessario che la risoluzione sia prevista dai contraenti per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, dovendosi considerare clausola di sti- Page 686 le e quindi non produttiva della risoluzione di diritto quella - com'è quella contenuta nel contratto de quo - che sia stata prevista con riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto. Devesi, peraltro, anche rilevare che in ogni caso mai avrebbe potuto derivare da detta clausola l'effetto risolutivo di diritto del contratto, non essendovi agli atti la dichiarazione della parte interessata di volersi avvalere della clausola risolutiva, così come espressamente previsto dal secondo comma dell'art. 1456 c.c. Ed infine va ancora rilevato che nell'atto introduttivo del giudizio la locatrice ha esperito una azione di risoluzione per inadempimento del conduttore, che è azione costitutiva, sicché inammissibile è l'azione diretta ad ottenere la dichiarazione nel giudizio di appello della risoluzione di diritto del contratto per effetto della suddetta clausola, trattandosi di domanda nuova in quanto fondata su presupposti, caratteri e natura diversi: con l'una si chiede la pronuncia giudiziale costitutiva dello scioglimento del vincolo contrattuale per inadempimento colpevole del conduttore, con l'altra una pronuncia dichiarativa di un vincolo già sciolto in conseguenza dell'esplicita dichiarazione di volersi avvalere della clausola.

Parimenti infondato è l'appello incidentale proposto dal Fiorino.

Va, invero, osservato che giustamente il primo giudice ha rigettato la domanda riconvenzionale tesa ad ottenere la condanna della locatrice al pagamento di una somma corrispondente al valore dei miglioramenti apportati all'immobile, in quanto il diritto del conduttore ai miglioramenti se realmente sussistenti, in tanto è configurabile, in quanto sia venuto a cessare la locazione de qua.

Ma nel caso di specie non si è verificato tale presupposto e di ciò si è reso conto lo stesso appellante, che, modificando la originaria domanda, si è doluto del fatto che il primo giudice non abbia dichiarato tale diritto: ma - come è agevole rilevare - trattasi di domanda nuova, che, in quanto non proposta nel giudizio di primo grado sotto questa nuova configurazione e non essendosi quindi su essa realizzato un contraddittorio, non è a maggior ragione proponibile nel presente giudizio, derivando la sua inammissibilità dal divieto di domande nuove in appello, sancito dall'art.345 c.p.c.

Ricorrono giusti motivi per disporre ex art. 92 c.p.c. la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio, in considerazione della natura della controversia e del fatto che entrambi gli appelli non sono stati accolti. (Omissis).

@TRIBUNALE DI VENEZIA Ord. 18 luglio 2001. Est. Marinai - Toso (avv. Marsoni) c. Rioda (avv. Monticelli).

Sfratto - Esecuzione - Assistenza della forza pubblica - Discrezionalità tecnica della P.A. - Diniego - Provvedimento prefettizio carente di motivazione - Illegittimità.

In tema di esecuzione degli sfratti, esorbita dalla sfera della c.d. discrezionalità tecnica riconosciuta all'autorità amministrativa, il provvedimento prefettizio che rifiuti la concessione della forza pubblica, senza minimamente dar conto delle motivazioni tecniche che rendono impossibile fornire l'assistenza richiesta. (L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 14; L. 21 febbraio 1989, n. 61, art. 3) (1).

    (1) La sentenza citata in parte motiva Cass., sez. un., 26 maggio 1998, n. 5233, è integralmente pubblicata in questa Rivista 1998, 536. Si segnala anche Trib. Bologna 22 maggio 1986, n. 922, ivi 1986, 281, secondo cui il diritto del privato ad usufruire della forza pubblica per far valere un titolo esecutivo non costituisce mero diritto civico dello stesso, essendo principio giurisprudenziale consolidato che l'azione esecutiva conseguente a sentenza che pronunci lo...

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