Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@TRIBUNALE DI FERMO 17 luglio 2002. Pres. ed Est. Fanuli - Imp. Merra.

Prova penale - Indizi - Previsione di cui all'art. 192, comma 2, c.p.p. - Divieto probatorio - Configurazione.

Prova penale - Indizi - Efficacia probatoria - Condizioni - Concordanza - Nozione.

Prova penale - Indizi - Efficacia probatoria - Impronta digitale - Rilevata su una busta all'interno di un'auto utilizzata da rapinatori - Attribuzione di responsabilitàInsufficienza.

La disposizione di cui al secondo comma dell'art. 192, comma 2, c.p.p. stabilisce un vero e proprio divieto probatorio laddove, come principio generale, nega che l'esistenza di un fatto possa essere desunta da indizi, e dà poi ingresso ai medesimi solo in via di eccezione, quando essi siano gravi, precisi e concordanti. Detta regola non pone limiti al "libero convincimento" ma ha inteso circoscrivere la fonte cui può attingere il giudice nella formazione del suo libero convincimento. Invero è libero non il modo di formazione, ma l'"an" del convincimento, nel senso che il convincimento del giudice si forma dopo che una valutazione delle prove vi sia stata, in ordine agli elementi probatori rispetto ai quali esso può formarsi. (C.p.p., art. 192) (1).

Il requisito della "concordanza" presuppone, l'esistenza di una pluralità di (gravi) indizi che tra loro convergono verso un unico risultato. La disposizione di cui al 2º comma dell'art. 192 c.p.p. richiede che la concordanza risulti tra "indizi", escludendo così la concordanza con altri elementi di diversa natura. (C.p.p., art. 192) (2).

L'impronta digitale rilevata su una busta di nylon rinvenuta all'interno di un'autovettura usata dai rapinatori per darsi alla fuga integra un grave indizio a carico del soggetto a cui detta impronta è riferibile, che, da solo, non può essere utilizzato come prova a carico dell'imputato. Né, ad integrare il requisito della concordanza, può essere sufficiente il fatto che l'imputato si sia avvalso della facoltà di non rispondere, o il fatto che lo stesso abbia commesso reati dello stesso tipo con le stesse modalità, o sia stato visto, giorni prima, in prossimità del luogo dei fatti, trattandosi di elementi che non si elevano alla soglia dell'indizio, ma rappresentano meri sospetti o "elementi di riscontro". (C.p.p., art. 192) (3).

    (1) Per utili riferimenti, si veda Cass. pen., sez. un., 4 giugno 1992, Musumeci, in questa Rivista 1993, 659, nonché Trib. pen. Salerno, 16 giugno 2000, Ferrova ed altri, in Riv. pen. 2001, 476.


    (2) Sulla necessità della convergenza di più indizi, si veda, per tutte, Cass. pen., sez. I, 14 giugno 2000, Di Tella, in questa Rivista 2000, 721.


    Sulla seconda parte della massima, si veda, in senso conforme, Cass. pen., sez. I, 8 ottobre 1992, Re, in Riv. pen. 1993, 579.


    (3) Sulla valenza probatoria attribuita all'impronta digitale, si veda Cass. pen., sez. IV, 22 marzo 1989, Pastore, in Riv. pen. 1990, 89.


    In ordine alla impossibilità di valorizzare il silenzio dell'imputato a fini confessori, si veda, in senso conforme, Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 1989, Pavoni, ivi 1989, 1238.


FATTO E DIRITTO. - Con decreto in data 4 giugno 2002 il G.U.P. in sede disponeva il rinvio al giudizio di questo Tribunale di Merra Giacomo, per rispondere dei reati segnati in rubrica. La posizione dei coimputati Fatepietro Giuseppe e Raffaeli Pietro veniva stralciata, avendo chiesto gli stessi di essere giudicati con rito abbreviato.

Nel corso dell'istruttoria dibattimentale veniva acquisita la documentazione prodotta dalla Pubblica Accusa, escussi i testi Neri Fabrizio, Savini Fabrizio, Di Felice Giuseppina, Abbruzzese Agostino, Vagnoni Pietro, Vesprini Raffaele, Di Saverio Pasquale, Gennari Roberto e acquisita ex art. 501 c.p.p. la relazione tecnica redatta da quest'ultimo.

All'esito della discussione P.M. e Difesa formulavano le rispettive conclusioni, come sopra riportate.

L'impostazione accusatoria e la ritenuta "esuberanza" del materiale probatorio a carico dell'imputato rispetto all'invocata affermazione della penale responsabilità dello stesso sembrano sottendere una non precisa "delimitazione dei confini" tra concetti giuridici affatto diversi, quali quello di prova critica, (singolo) indizio, elemento di riscontro, sospetto. Ciò comporta, inevitabilmente, il rischio di un uso indifferenziato degli stessi, una ritenuta fungibilità di elementi probatori di valenza molto diversa, sì da poter indurre, nella sostanza, a ritenere coincidenti lo standard probatorio richiesto per le misure cautelari (273 c.p.p.), la soglia probatoria richiesta per il rinvio a giudizio (arg. ex art. 425 c.p.p.) e la prova necessaria ai fini dell'affermazione della penale responsabilità (art. 192 c.p.p.).

Nel caso di specie, se non vi è dubbio in merito al detto standard (e, del resto, la misura cautelare disposta nei confronti del Merra ha retto al vaglio delle impugnazioni) e al superamento della citata soglia, è, per converso, del pari certo che non è stata raggiunta la prova sufficiente ai fini della condanna dell'imputato.

Proprio per evitare le confusioni concettuali di cui si è detto, con riferimento ad un processo esclusivamente indiziario quale quello a carico dell'odierno imputato (ben diverso è il coagulo probatorio nei confronti dei ricordati coimputati, nei cui confronti si procede separatamente) appare necessario premettere alcune considerazioni di carattere generale, in merito alla c.d. prova indiziaria. Considerazioni giuridiche che saranno utili, poi, in sede di valutazione del materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione.

La prova indiziaria, in sé, presenta delle peculiarità suscettibili di valutazioni diverse quanto alla sua struttura e al rilievo processuale che le sono propri alla stregua del dato normativo che la prevede.

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Orbene, il dato normativo applicabile in fase dibattimentale, ai fini della valutazione della prova è quello di cui all'art. 192, comma 2, c.p.p.

L'anzidetta disposizione è formulata come vero e proprio divieto probatorio (che, secondo autorevole interpretazione, rende applicabile l'art. 191 c.p.p.) laddove, come principio generale, nega che l'esistenza di un fatto possa essere desunta da indizi e dà poi ingresso ai medesimi solo in via di eccezione, quando essi siano gravi, precisi e concordanti.

Così facendo il legislatore al tempo stesso in cui ha inteso circoscrivere la fonte cui può attingere il giudice nella formazione del suo libero convincimento, ha nettamente differenziato gli indizi da ogni altro elemento non controllabile, e conferito ai medesimi una valenza probatoria che giustifica la loro collocazione nell'art. 192 c.p.p. che riguarda appunto la valutazione della prova.

È qui da osservare che la aggettivazione che deve connotare l'indizio perché il medesimo possa costituire elemento di quel processo inferenziale che porta dal fatto noto a quello non noto proprio del thema probandum, trova giustificazione nella particolare struttura dell'indizio, di un fatto cioè che per non essere direttamente rappresentativo del fatto da provare e, quindi, di per sé, sul piano fenomenologico, neutro, ripete la sua valenza probatoria dalla sua idoneità a porsi in quella relazione con il thema probandum che sola può derivargli dal possesso dei requisiti che il ricordato art. 192, comma 2, c.p.p. prescrive debba avere. Tale esigenza non sussiste per la prova c.d. diretta che, a differenza dell'indizio, una tale idoneità possiede di per sé, a prescindere dal rilievo probatorio che in concreto potrà poi esserle attribuito; per cui è evidente che la sua valutazione richieda soltanto che il giudice dia conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, principio generale questo che investe ogni tipo di prova.

Ma che con riferimento alla struttura di quella indiziaria deve specificarsi con la aggettivazione prevista dalla norma. In un certo senso tali requisiti svolgono la stessa funzione svolta in negativo dai "falsificatori potenziali" della teoria falsificazionista di K. Popper secondo cui se si vuole che un determinato metodo scientifico possa essere controllato dall'esperienza è necessario conoscere i fattori che potrebbero falsificarlo: una teoria sarà quindi valida quanto più resisterà alle prove di falsificazione cui è esposta o può essere sottoposta. Tali fattori di rischio ne corroboreranno la scientificità nella misura in cui sono evitati. E i requisiti che gli indizi devono avere sono speculari al loro contrario: la non gravità, la imprecisione, la mancanza di concordanza che potrebbero accompagnarsi agli indizi sono i fattori di rischio che renderebbero inaffidabile il metodo seguito aperto così a ogni illazione, per cui proprio al fine di assicurare che l'inferenza logica, che da un fatto certo consente di pervenire alla dimostrazione di un fatto ignorato, resista a tali fattori di rischio, il legislatore li ha tradotti nella necessaria presenza positiva del loro contrario, a salvaguardia della attendibilità del percorso logico che contrassegna l'indizio.

Si badi, l'art. 192, comma 2, non pone limiti al libero convincimento del giudice - correttamente inteso - ma intende evitare che esso possa formarsi sulla base di elementi di valutazione tali da inficiare il processo logico inferenziale che conduce al fatto ignorato. È opportuno anche evidenziare che a rigore è libero non il modo di formazione, ma l'an del convincimento nel senso che il convincimento del giudice si forma dopo che una valutazione delle prove vi sia stata in ordine agli elementi probatori rispetto ai quali esso può formarsi: i requisiti che l'indizio deve avere attengono alle regole che disciplinano l'ammissibilità e l'utilizzabilità processuale delle prove e che hanno lo scopo di impedire che il convincimento del giudice possa fondarsi solo sulla sua intima convinzione, nella sua coscienza, che in sede di decisione possono, nel foro interno del giudice, avere un rilievo soltanto se...

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