Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI VENEZIA Sez. I, ord. 18 marzo 2003. Pres. ed est. Dodero - Imp. Calzavara ed altri.

Giudice penale - Ricusazione - Rigetto della richiesta di patteggiamento - Giudizio di merito sulla congruità della pena - Sussistenza - Mancata acquisizione degli atti del fascicolo del P.M. - Irrilevanza. Applicazione della pena su richiesta delle parti - Richiesta- Parere negativo del P.M. - Poteri del giudice - Decisione sul patteggiamento - Decisione all'esito del dibattimento. - Giudice penale - Ricusazione - Dichiarazione - Atti del giudice ricusato - Atti istruttori - Validità.

Il giudice del dibattimento, il quale, investito della richiesta di applicazione della pena presentatagli prima dell'apertura del dibattimento, nelle forme e nei contenuti di cui all'art. 448 comma 1, secondo periodo, c.p.p., la rigetti, opera una valutazione di merito (nella specie sull'entità e congruità della pena richiesta dall'imputato) sulla causa, diventando incompatibile a svolgere il giudizio. In particolare, tale valutazione di merito, che ha generato l'incompatibilità, cui è seguita l'istanza di ricusazione poi accolta, prescinde dall'acquisizione (obbligatoria ex art. 136 att. c.p.p.) degli atti del fascicolo del P.M. che nella specie era mancata. (C.p.p., art. 37; c.p.p., art. 448; att. c.p.p., art. 136).

In tema di patteggiamento, qualora sull'istanza di applicazione della pena proposta in limine litis, ai sensi dell'art. 448 comma 1, secondo periodo, c.p.p., il P.M. esprima parere negativo, al giudice di primo grado sarebbe impedita l'immediata decisione sul patteggiamento richiesto, che potrà eventualmente essere applicato solo all'esito del dibattimento. (C.p.p., art. 448).

Ai sensi dell'art. 42 c.p.p., restano validi gli atti istruttori compiuti dal giudice ricusato sino all'accoglimento della ricusazione ad opera del giudice competente (nella specie la corte d'appello). (C.p.p., art. 42).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECI-SIONE. - Il dato di base da cui occorre partire per esaminare la fondatezza delle proposte ricusazioni è la pacifica incompatibilità ai sensi dell'art. 34 c.p.p. a decidere del processo nel merito da parte del giudice che si sia pronunciato sulla richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

Tale incompatibilità costituisce ormai un dato acquisito dopo la sentenza della Corte costituzionale 186/92 e, per quello che qui interessa, si verifica nei confronti del giudice che abbia rigettato la pena proposta dall'imputato.

Ciò perché per pervenire a tale rigetto il giudice deve operare un giudizio di merito sul fatto oggetto dell'imputazione sia nel senso di valutare se non sussistano le condizioni per una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. sia nel senso di valutare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, l'applicabilità delle attenuanti prospettate, la fondatezza del giudizio di comparazione con le eventuali aggravanti contestate e l'adeguatezza della pena indicata rispetto al reato contestato.

Ha, peraltro, sostenuto la prima sezione del Tribunale di Venezia, nel rigettare la richiesta del difensore di Calzavara Antonio di astensione del collegio a causa della prospettata situazione di incompatibilità, che il contenuto dell'ordinanza reiettiva della proposta di applicazione della pena prescindeva da ogni valutazione di merito sulla res iudicanda e si era limitata ad una mera valutazione della legittimità del dissenso espresso dal P.M.

Valutazione necessaria posto che nell'ipotesi in cui tale dissenso fosse stato ritenuto ingiustificato lo stesso tribunale avrebbe immediatamente dovuto pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

In realtà il Tribunale di Venezia è caduto in un evidente equivoco confondendo il controllo di legittimità che il giudice deve sempre effettuare di fronte ad una proposta di «patteggiamento» ed all'eventuale dissenso del P.M. con la successiva valutazione di merito che esso deve effettuare.

Il controllo di legittimità ha, infatti, carattere meramente formale e non può avere altro oggetto che la verifica che la richiesta della pena ed il consenso o dissenso del P.M. siano proposti nel termine e nella forma prescritta dal codice rimanendo del tutto estranea a tale fase, perché assolutamente irrilevante ai fini di tale controllo, ogni questione relativa alla condivisibilità della richiesta e del dissenso del P.M.

Ora basta leggere l'ordinanza con cui la prima sezione del Tribunale di Venezia ha rigettato la richiesta di patteggiamento proposta da Calzavara Antonio per constatare che il contenuto della stessa non è stato affatto un mero giudizio di ammissibilità ma una valutazione che ha inciso sul merito dell'imputazione se è vero com'è vero che la pena proposta è stata ritenuta «incongrua ed inadeguata in considerazione dell'entità del danno, della reiterazione delle condotte e della pluralità delle parti offese».

Né il fatto che il tribunale non abbia esaminato il fascicolo del P.M. e che, nella parte finale dell'ordinanza, si faccia salva la possibilità di una successiva diversa valutazione circa la giustificatezza del dissenso del P.M. può valere a qualificare come valutazione di legittimità quella che è un'incontestabile valutazione di merito che, si badi, è né più né meno quella che il tribunale avrebbe adottato al termine dell'istruttoria dibattimentale qualora avesse ritenuto di rigettare la proposta dell'imputato giudicando fondato il dissenso del P.M. Invero non solo è stata ritenuta implicitamente insussistente l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p. ma, e soprattutto, si è valutato il fatto oggetto dell'imputazione grave in relazione al danno cagionato alle pareti lese, al numero rilevante delle stesse ed alla pluralità delle condotte con un giudizio. E se questa non è una valutazione che anticipa il giudizio sull'oggetto della imputazione, non si capisce quando una valutazione di merito si dovrebbe riconoscere. Page 632

Si deve, pertanto, affermare che con l'ordinanza di cui si tratta i componenti del collegio si sono resi incompatibili a proseguire il giudizio nelle forme ordinarie nei confronti di Calzavara Antonio, come del resto affermato dal P.G. nel suo parere.

Il quale, peraltro, ha prospettato una questione di illegittimità costituzionale degli artt. 34 e 448 c.p.p. che deve, perciò, essere esaminata.

Sostiene, infatti, il P.G. che il meccanismo previsto dall'art. 448 c.p.p., non segue le regole dettate dall'art. 444 c.p.p. ma costituisce una sorta di riesame di quanto avvenuto all'udienza preliminare, attivato su richiesta del solo imputato e senza che sia richiesta una pronuncia da parte del P.M. d'udienza. In tal caso, infatti, il giudice è chiamato a compiere una valutazione preliminare sia sulla fondatezza di tale dissenso sia sull'accoglibilità della proposta di patteggiamento, pronunciando immediatamente sentenza qualora ritenga allo stato il precedente dissenso infondato e la proposta accoglibile e soprassedendo invece da ogni decisione fino all'esito del giudizio dibattimentale in caso contrario. Anche questa seconda scelta, peraltro, presuppone e comporta una valutazione sia pure implicita del merito della res iudicanda con la conseguenza che il giudice del dibattimento diventa in ogni caso ed in conseguenza dello stesso meccanismo previsto dalla norma citata automaticamente incompatibile. Il che appare in contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione.

Ora non è chiaro se, secondo l'interpretazione del P.G., il collegio abbia correttamente pronunciato l'ordinanza di cui si tratta o se, invece, avrebbe dovuto limitarsi a soprassedere ad ogni giudizio fino al termine dell'istruttoria dibattimentale. Ed è evidente, che in questo secondo caso si porrebbe il problema della rilevanza in concreto della questione sollevata posto che di fatto una pronuncia esplicita di merito c'è stata.

Non c'è dubbio, peraltro, che se la tesi del P.G. fosse esatta dovrebbe seriamente proporsi la questione di illegittimità costituzionale sollevata non essendo in alcun modo condivisibile la tesi prospettata dal difensore degli imputati secondo cui si tratterebbe soltanto di una questione di organizzazione interna del tribunale che potrebbe facilmente evitare ogni incompatibilità disponendo che ogni questione relativa al patteggiamento venga per così dire dirottata ad un collegio diverso da quello che precede al dibattimento.

Si tratterebbe, infatti non solo di un meccanismo artificioso e di assai dubbia legittimità (posto che le questioni incidentali sorte nel corso del processo devono essere decise dal giudice che procede) ma che nulla toglierebbe all'eventuale incostituzionalità della norma.

Ritiene, peraltro, questa Corte che l'interpretazione dell'art. 448 c.p.p. proposta dal P.G. non sia condivisibile in quanto si fonda sul concetto secondo cui il patteggiamento previsto dall'art. 448 c.p.p. (in quanto prevederebbe una valutazione preliminare della richiesta dell'imputato e del dissenso del P.M.) sarebbe un qualcosa almeno in parte di diverso da quello previsto in via generale dall'art. 444 il quale nel caso di dissenso del P.M. riserva obbligatoriamente al termine del dibattimento ogni decisione sulla proposta e sulla fondatezza del dissenso.

Deve, invece, affermarsi che il patteggiamento rinnovato al dibattimento sia lo stesso istituto previsto dall'art. 444 e che la finalità dell'art. 448 nella sua attuale formulazione sia solo quella di consentire la riproposizione al dibattimento del patteggiamento non accolto all'udienza preliminare, riproposizione che sarebbe stata, altrimenti, impedita dalla modifica introdotta dalla legge 479/99.

Il che comporta che la previsione del primo comma secondo cui se la richiesta appare accoglibile «pronuncia immediatamente sentenza» riguardi l'ipotesi in cui vi sia il consenso del P.M., mentre qualora il P.M. del dibattimento non presti il suo consenso alla rinnovata proposta di patteggiamento il giudice applicherà...

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