Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1013-1030

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@CORTE DI APPELLO DI POTENZA 3 maggio 2002. Pres. De Angelis - Est. Vetrone - Imp. X.

Violenza sessuale - Elemento oggettivo - Abuso di autorità - Sopraffazione - Costrizione - Condizioni.

Non configura gli estremi del reato previsto dall'art.609 bis (violenza sessuale) né può integrarne il tentativo, porre le mani sulle braccia scoperte della persona offesa, attirarla a sé, con conseguente contatto dei corpi, rivolgendole le parole: «hai un corpo stupendo...». (C.p., art. 609 bis) (1).

    (1) Le sentenze citate in massima, tutte indicate con gli estremi di pubblicazione, offrono il quadro attuale dei criteri interpretativi che individuano le condizioni indispensabili per la realizzazione della fattispecie criminosa in esame.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con atto tempestivamente depositato in cancelleria il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera ha impugnato la sentenza, datata 30 marzo 2001, con la quale il Gup di quel tribunale ha dichiarato n.l.p. nei confronti di X, in ordine al reato di cui alla rubrica sopra riportata, perché il fatto non sussiste.

Ha sostenuto l'appellante che la citata sentenza non sarebbe condivisibile perché avrebbe erroneamente escluso la configurabilità nella specie e dell'«abuso d'autorità» richiesto dall'articolo di legge contestato e [la prova (o quanto meno l'insufficienza di essa) della commissione, da parte del prevenuto, di atti da considerare «sessuali» dal punto di vista dell'elemento oggettivo, ossia comportanti una significativa compromissione della libera determinazione della sfera sessuale della persona offesa.

Sempre il requirente ha evidenziato che il comportamento del prevenuto avrebbe dovuto giustificarne il rinvio a giudizio quanto meno sotto il profilo del tentativo di violenza sessuale.

All'udienza odierna, le parti (P.G. e difesa) hanno rassegnato le loro opposte conclusioni, come in atti.

Osserva la Corte che nell'editto d'accusa testualmente si contesta all'X il fatto di avere, quale collaboratore giudiziario addetto al Tribunale di Matera, sez. distaccata di Pisticci, e quindi pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, con abuso d'autorità, costretto l'assistente giudiziario Y a subire atti sessuali.

Trascurata la constatazione che in detta imputazione non è affatto delineato in cosa detti atti sessuali siano consistiti e puntualizzato che il richiamo alla qualità di pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni dell'agente è valso a configurare la condizione di procedibilità di cui all'art. 609 septies comma 3 n. 3 c.p., deve esser segnalato che è rimasta del tutto indeterminata anche la modalità in cui l'abuso di autorità si sarebbe estrinsecato.

Come noto:

- la condotta vietata dall'art. 609 bis c.p. ricomprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, anche se non esplicato attraverso il contatto fisico diretto con il soggetto passivo, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell'individuo attraverso l'eccitazione o il soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'agente;

- detta condotta può essere caratterizzata da: a) costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), ovvero b) sostituzione ingannevole di persona, ovvero, ancora, c) abuso di condizioni di inferiorità fisica e psichica; - l'antigiuridicità viene connotata da un requisito soggettivo (la finalizzazione all'insorgenza o all'appagamento di uno stato interiore psichico di desiderio sessuale) che si innesta sul requisito oggettivo della concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e ad eccitare o a sfogare l'istinto sessuale del soggetto attivo (Cass. pen., sez. III, 15 novembre 1996, n. 1040, CED Cass. 1997 [s.m.]; Riv. pen. 1997, 147).

In sintesi, nell'ipotesi contemplata dall'art. 609 bis comma 1 c.p. (diversa da quella dell'induzione del soggetto passivo mediante abuso delle condizioni psicofisiche della persona offesa ovvero dell'inganno di quest'ultima) la violenza sessuale è comunque determinata da costrizione, la quale si può estrinsecare nelle tre modalità di attuazione della condotta: violenza, minaccia, abuso d'autorità.

Dette modalità sono intese come alternative, in modo tale che l'ultima, pur senza il concorso delle prime, deve ritenersi sufficiente a realizzare la fattispecie di violenza sessuale (Cass. pen., sez. III, 15 ottobre 1999, n. 860, Colafemmina, Studium juris 2000, 906), fermo restando però il fatto che l'«abuso di autorità» deve non solo presupporre nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico (cfr.: Cass. pen., Sez. Un., 31 maggio 2000, n. 13 B., Riv. pen. 2000, 785), ma anche si deve estrinsecare in una strumentalizzazione della posizione egemone dell'agente gerarchicametne sovraordinato al sottoposto, con prevaricazione di quest'ultimo mediante uso distorto dei poteri direttivi connessi alla titolarità della funzione.

Non basta che il soggetto abbia l'autorità [come nella formulazione del soppresso art. 520 c.p. (Congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale)], ma occorre che esso se ne serva - abusandone - per costringere taluno (perché altrimenti si avrebbe il consenso) a compiere o subire atti sessuali (v.: Cass. pen., sez. III, 15 ottobre 1999, n. 860, citata, in fattispecie in cui è stato ravvisato l'abuso in una siffatta condotta prevaricatrice d'ufficiale comandante di un battaglione dell'esercito, posta in essere al fine di sottoporre ad atti sessuali i militari in servizio di leva alle sue dipendenze).

Tanto osservato, passando alla fattispecie all'esame, e lasciata da conto l'evidenziata lacunosità in punto di fattoPage 1014 della contestazione (per la mancata descrizione dell'abuso), grazie alla lettura degli atti e del provvedimento gravato, è dato evincere che l'imputato avrebbe posto in essere tre comportamenti:

- l'aver apposto le proprie mani sulle braccia scoperte della Y;

- l'aver attirato repentinamente a sé la persona offesa (con conseguente fugace contatto delle estremità inferiori), dopo essersi accovacciato a gambe divaricate vicino alla poltrona ove ella era seduta ed aver girato la seggiola verso di sé;

- l'aver quindi afferrato le braccia della Y, per tirarla a sé una volta che si era appoggiato sulla scrivania (con conseguente istantaneo contatto dei corpi), dicendole «Hai un corpo stupendo».

Orbene, come correttamente evidenziato dal primo giudice, in nessuno di siffatti comportamenti è ravvisabile una estrinsecazione della condotta che è oggetto di contestazione, non potendosi affermare che, per via di detti comportamenti, la Y sia stata, anche in assenza di violenza o minaccia, oggetto di una vera e propria sopraffazione di carattere gerarchico (l'abuso) da parte del soggetto a lei autoritativamente preposto.

Né l'abuso normativamente individuato, che deve esser - come è ovvio - direttamente mirato alla costrizione della vittima, può esser consistito, come al contrario ha evidenziato l'appellante, nell'aver l'X, quale impiegato di grado più elevato presente nella cancelleria, prima di compiere gli atti descritti, per così dire «preparato il campo», mandando anticipatamente via dall'ufficio altre due operatrici amministrative, in tal modo evitando la presenza di terzi incomodi: in ciò può invero ravvisarsi (oltre che la conferma della supremazia gerarchica del prevenuto sugli altri componenti - Y compresa - il personale dell'ufficio di cancelleria interessato) un'attività soltanto prodromica e strumentale alla successiva commissione dell'azione, ma di certo non integrante, in sé, la condotta vietata.

In siffatto contesto, poi, in cui nell'addebito mosso all'Y manca del tutto un richiamo al fatto che egli possa aver agito con violenza o minaccia (ossia ponendo in essere una condotta tout court aggressiva o intimidatoria, piuttosto che abusivamente autoritativa), così come anche difetta una puntuale descrizione degli atti sessuali che sarebbero stati subiti dalla vittima, sarebbe ultroneo affrontare, da un canto, il problema se il movimento repentino e forzoso di avvicinamento a sé della vittima, da parte di chi agisce, sia in astratto da considerare già a stregua di atto (sessuale) violento, dall'altro, se i detti fugaci contatti, sopra descritti, fra zone né facenti parte della sfera genitale, né considerabili anche latamente come erogene, abbiano oggettivamente avuto, giusta quanto richiede la giurisprudenza di legittimità, concreta e normale idoneità a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, oltre che a sfogare l'istinto sessuale del soggetto attivo.

Conseguenza ne è che se - per l'accertata insussistenza nella specie dell'«abuso d'autorità» - non v'è possibilità di enucleare, nel comportamento dell'imputato, le stesse caratteristiche della condotta richiesta dall'art.609 bis c.p. per aversi «violenza sessuale», tale comportamento non può nemmeno esser «ricompreso», come subordinatamente postulato dal requirente, nell'ambito del tentativo: non avrebbe senso parlare di attività idonea ed univocamente diretta a commettere un evento che comunque non integrerebbe un fatto penalmente sanzionabile.

A questo punto, poi, ricordato che, come noto, la stessa statuizione di condanna può basarsi sulla deposizione di un unico teste e pure della sola persona offesa, salvo, in quest'ultimo caso, il controllo sulla sua attendibilità (in tal senso v.: Cass. pen., sez. VI, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, Cass. pen. 1996, 275), è appena il caso di ribadire quanto già dal primo giudice affermato in ordine alla intrinseca credibilità del racconto, sempre univoco e non incoerente, fatto dalla Y.

Non è invero pensabile, come invece reiterato anche in questa sede dalla difesa, che la segnalazione dei fatti in questione, da parte della donna al Presidente del Tribunale di Matera, e da questi a sua...

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