Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine253-263

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@TRIBUNALE DI PERUGIA Uff. Gip, 30 dicembre 2002, n. 720. Est. Micheli - Imp. Biancarelli ed altri.

Associazione per delinquere - Estremi - Realizzazione di reati attraverso la costituzione di un'associazione religiosa - Stato di soggezione degli adepti - Compimento di reati da parte degli adepti a favore dei promotori - Accertamento - Valutazione del giudice.

In tema di reato di associazione per delinquere, contestato ad appartenenti ad un'associazione religiosa, la valutazione della religiosità di tale organizzazione condotta nel merito, comporta un inammissibile sindacato sull'esigenza religiosa di una fede o di un culto, sindacato a propria volta illegittimo perché risolventesi nell'esercizio di una potestà non consentita ai pubblici poteri dalla voluta ed estrema genericità della nozione di religione utilizzata nella Costituzione. (C.p., art. 416) (1).

    (1) In argomento si veda, a contrario, Cass. pen., sez. I, 16 aprile 1991, n. 4336, Arturi ed altri, in questa Rivista 1991, 697, secondo cui, ai fini della sussistenza della societas scelerum, nei termini previsti dall'art. 416 c.p., è sufficiente il semplice coagulo delle volontà accompagnato (per non restare nel campo delle mere intenzioni) da un minimo di struttura organizzativa e volto alla realizzazione di una serie indeterminata di reati, il quale, stante la sua autonomia, rimane perfezionato anche nell'ipotesi che i cosiddetti reati-fine non vengano realizzati, concretandosi, in diversa ipotesi, un concorso materiale di reati.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - La complessa vicenda portata all'attenzione di questo giudice non può trovare soluzione in senso adesivo alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal procuratore della Repubblica con l'atto di esercizio dell'azione penale (richiesta, del resto, disattesa in udienza dallo stesso rappresentante del P.M.): gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, e quelli che costituiscono il risultato delle integrazioni istruttorie intervenute ex art. 422 c.p.p., depongono infatti per l'insussistenza di alcuni dei fatti contestati, per la necessità di riqualificare giuridicamente altre condotte (da intendersi comunque estinte sul piano della rilevanza penale, per sopravvenuta prescrizione) ed infine, quanto meno, per l'insostenibilità dell'accusa in un eventuale dibattimento relativamente alle residue fattispecie ipotizzate.

Quale premessa generale, deve comunque segnalarsi che l'analisi in fatto e in diritto dei vari aspetti di rilievo non potrà che svolgersi sul piano tecnico: sia per le peculiarità soggettive delle persone coinvolte, sia per la obiettiva versione riferita da alcuni (e recepita dagli inquirenti, non foss'altro attraverso la contestazione del delitto di bancarotta a soggetti diversi dall'amministratore formale, ricorrendo all'istituto di cui all'art. 48 c.p.), emergono profili che pertengono alla fede cristiana ed alla configurabilità o meno di un vero e proprio assoggettamento psicologico per chi aderiva a gruppi di preghiera. Non è compito di questo giudice sindacare le scelte di una persona in punto di credo religioso, né valutare l'attendibilità o meno di presunte forme di esaltazione mistica, anche se sarà inevitabile fare sommari riferimenti al problema dei c.d. «messaggi mariani» che avrebbero condizionato l'agire di chi operò per la società fallita: in questa sede ci si occupa di reati, ed è assolutamente corretto l'approccio «laico» suggerito in sede di discussione finale dalla difesa di Regni Domenico.

Iniziando dai fatti, dunque, è acclarato che la «CoopTadino» fu dichiarata fallita nel luglio 1996, ed è parimenti innegabile che quella società cooperativa fosse nata in intima correlazione rispetto alla «Oasi della Divina Provvidenza»: la successione cronologica degli eventi appare chiara, risalendo la costituzione al maggio 1989 (quella dell'Oasi al novembre 1988) e considerando i soggetti che ne furono soci o vi assunsero cariche. Peraltro, non è stato sostanzialmente negato da alcuno che la finalità perseguita dalla CoopTadino fosse quella di creare occasioni di lavoro, coerentemente alle aspettative che emergevano nel gruppo di preghiera.

La rubrica oggi in esame impone di verificare se già nel novembre 1988 si registrarono condotte criminose: contestando l'ipotesi di associazione per delinquere, il pubblico ministero indica proprio nella costituzione dell'Oasi della Divina Provvidenza il primo comportamento materiale da ascrivere agli imputati, che poi si sarebbero avvalsi di una sorta di plagio indotto negli altri aderenti all'associazione. Tutto ciò al fine di compiere delitti, tra i quali quelli descritti nei capi successivi.

Si deve però concludere per la radicale insussistenza del reato associativo.

È chiaro infatti che, al massimo, nel 1988 si poteva ipotizzare di dar vita a qualche iniziativa imprenditoriale, non certo a costituire società facendole fallire o distraendone le risorse: né potevano emergere i presupposti per farsi prestare denaro da terzi, esigenza che sorse solo quando le prime scelte in punto di gestione della CoopTardino (come meglio si vedrà tra poco) rivelarono tutta la loro inconsistenza. Del resto, delle due l'una: o presso l'Oasi non c'era alcunché di spirituale, ma anzi qualcuno studiava il modo di fregare il prossimo (e allora non si vede perché non riconoscere anche alla Fofi un ruolo di promotrice, dal momento che avrebbe recitato la parte della veggente gabbando pie donne e sprovveduti signori), oppure si pregava davvero e si continuò a farlo, anche quando i due sacerdoti - ma non solo loro - decisero di improvvisare un ingresso nel mondo degli affari, pur senza mire speculative.

Inoltre, e l'osservazione vale anche con riferimento alle ulteriori contestazioni di reato, l'idea che Tizio si senta obbligato a fare qualcosa perché ritiene di osservare un precetto della Vergine Maria, trasmessogli da una donna che (chissà perché) ha le visioni solo in giorni fissi della settimana, è sostenibile non solo a condizione che Tizio sia unPage 254 credente convinto ed accecato da una fede intransigente, ma anche che il contenuto del «messaggio» sia comunque pertinente all'entità spirituale da cui si assume provenga. In altre parole, può anche darsi che il Casaglia e quant'altri fossero dei cattolici più che praticanti, magari tanto da apparire degli invasati a chi non ne condividesse la fede: ma nessuno di loro poteva essere una specie di minus habens, fino ad imporsi di vendere una macchina perché così aveva detto la Madonna.

Con l'approccio laico sopra ricordato, non si vuole qui risolvere il dilemma se la FOFI abbia mai avuto o no le visioni riportate nei messaggi manoscritti da Don Biancarelli, od almeno se in buona fede abbia creduto di averne: ma non si può non registrare che qualunque persona, credente od atea che sia, dovrà pur avere una certa considerazione della Madre di Cristo, tanto da escludere che possa perder tempo a consigliare l'alienazione di una «Audi 80», o da preoccuparsi di - fin troppo «terrene» - pratiche bancarie. La forza con cui, al di là delle dichiarazioni rese nell'ambito del procedimento, i due sacerdoti sembrano avere insistito per la genuinità di quelle illuminazioni appare dunque sospetta; tuttavia chi scrive, si ribadisce, intende analizzare la vicenda in termini di rigore tecnico-giuridico, senza invadere campi che spettano ad altri.

Ed allora, ancor prima della mancanza di una prova dell'intento di commettere reati contro il patrimonio in capo a coloro che costituiscono l'Oasi, si deve registrare l'inconsistenza del presunto stato di soggezione e dell'altrettanto presunta intimidazione del vincolo religioso, espressioni che sembrano - del resto - impropriamente mutuate dalla fattispecie astratta che il codice riserva addirittura all'associazione di tipo mafioso: così come, sempre sul piano tecnico, è insostenibile la tesi secondo cui l'amministratore di una società fallita possa essere stato indotto a commettere comportamenti di distrazione di beni perché indotto in errore circa la doverosità di quelle condotte.

Infatti, un conto è che un amministratore possa essere truffato, o costretto con violenza o minaccia a compiere atti di disposizione patrimoniale da cui derivi l'arricchimento di terzi; tutt'altra cosa è che lo stesso soggetto possa essere ingannato al punto da ritenere lecito ciò che egli ben sa non esserlo.

Ad esempio, il pubblico ufficiale che attesta dati non veri in un atto autorizzatorio, sulla base di un documento fasullo prodottogli da un privato richiedente quell'atto, agisce senza dolo, nell'intima convinzione di non aggredire in alcun modo il bene giuridico della fede pubblica: l'imprenditore che invece si appropria di beni della società in odore di fallimento, per quanto possa sostenere di averlo fatto su indicazione più o meno ieratica di altri, non può che restare consapevole della menomazione che arreca alla garanzia patrimoniale offerta verso i creditori.

Venendo così al capo B), a prescindere dalle cause, deve ritenersi assodato che il dissesto della società assunse carattere inequivoco ben prima del fallimento; rispondendo ad una domanda della difesa del Regni nel corso dell'udienza preliminare, il perito nominato da questo ufficio ha infatti precisato quanto segue:

Al 31 dicembre 1991 la perdita era già di circa 1/3 rispetto al fatturato quindi la situazione era già precaria e potrei dire prossima alla decozione. Non posso affermare con certezza che la crisi della CoopTadino fosse assolutamente irreversibile già a quella data, credo lo si possa dire a partire dal 31 dicembre 1993 quando la perdita assunse l'entità indicata al foglio 9, anche perché nel frattempo vi erano stati ulteriori indebitamente con ricorsi a finanziatori ed al sistema bancario.

Il destino della cooperativa era pertanto già segnato: la gestione era stata assolutamente antieconomica, con attività che non avevano prodotto utili, in seguito anche...

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