Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine331-351

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CORTE DI APPELLO DI NAPOLI Sez. VI, 22 gennaio 2003, n. 40. Pres. Merlino - Est. Giannelli - P.M. Iervolino - Imp. Ronga.

Sanità pubblica - Attività trasfusionali - Per la produzione di plasmaderivati - Reato previsto dall'art. 17 della L. 107/1990 - Norma penale - In bianco - Provvedimento amministrativo - In senso stretto - ConfigurabilitàEsclusione.

Sanità pubblica - Attività trasfusionali - Per la produzione di plasmaderivati - Reato previsto dall'art. 17 della L. 107/1990 - Elemento costitutivo - Intrattenere rapporti omosessuali - Effetti.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 17 L. 4 maggio 1990, n. 107, e 3 D.M. 15 gennaio 1991, nell'ambito della norma penale in bianco risultantene per «legge» deve intendersi non solo la legge in senso formale o l'atto avente forza di legge, ma ogni atto dotato di sostanza normativa, con esclusione dei provvedimenti amministrativi in senso stretto, ancorché plurimi, e delle ordinanze di necessità e urgenze. (L. 4 maggio 1990, n. 107, art. 17; D.M. 15 gennaio 1991, art. 3) (1).

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 17 L. 107/ 1990 e 3, D.M. 15 gennaio 1991, colui che dichiari di intrattenere rapporti omosessuali, non può, perciò stesso, essere considerato «soggetto a rischio». (L. 4 maggio 1990, n. 107, art. 17; D.M. 15 gennaio 1991, art. 3) (2).

    (1, 2) Nulla in termini.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - La sentenza del primo giudice deve essere riformata, con l'assoluzione dell'appellante dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Non v'è bisogno alcuno, e, tanto meno, l'indispensabilità ex art. 603 c.p.p., che impone l'ordinanza di rinnovazione del dibattimento, neanche pro parte.

Ed, invero, tutta la vicenda processuale che vede imputato il Ronga deve essere sintetizzata, e ridotta, a questioni puramente giuridiche, non essendo un punto controverso della causa se sia avvenuta la trasfusione di sangue che si assume vietata dalla legge: bisogna vedere solo se, per legge, il Ronga potesse disporre quella trasfusione.

Poiché il procuratore generale, come rappresentato all'odierna udienza, ha chiesto l'assoluzione dell'appellante «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», in quanto, trattandosi di norma penale in bianco, e recitando, il primo comma dell'art. 17 L. 4 maggio 1990, n. 107... «in violazione di legge», il decreto ministeriale non potrebbe fungere da atto di riempimento, o, più tecnicamente, di integrazione, del precetto, va detto che questo Collegio non condivide l'impostazione della pubblica accusa al riguardo.

La disputa se l'art. 25, secondo comma, della Carta fondamentale ponga, jure poenali, una riserva assoluta, o, invece, relativa, di legge, deve essere risolta nel secondo senso, per la semplice ragione che la Corte costituzionale, essendosi pronunciata nel senso della legittimità costituzionale delle norme incriminatrici il cui precetto sia, solo, integrato, e non, invece, del tutto demandato ad atti non aventi forza di legge, ammette implicitamente la possibilità giuridica dell'integrazione del precetto penale, secondo il modulo della norma penale in bianco, a mezzo di «atti di riempimento», sol che essi abbiano sostanza normativa.

Addirittura, un diffusissimo indirizzo, sia dottrinario, sia giurisprudenziale, ammette la possibilità della suddetta integrazione da parte del provvedimento amministrativo, con riferimento alla contravvenzione di cui all'art. 650 c.p., giungendo a discutere di disapplicazione dell'atto ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 28 marzo 1865, n. 2248, all. E qualora il provvedimento non sia stato legalmente emesso. Ma si deve osservare che certamente la riserva di legge di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione è violata dalla inframmettenza - nell'ambito dei precetti penali - di atti amministrativi, sforniti di sostanza normativa; che, inoltre, nel caso dell'art. 650 c.p., se un provvedimento è illegalmente emanato, esso, in pectore, è addirittura, inesistente, più che nullo, o annullabile, non potendosi concepire un provvedimento amministrativo non rispondente al principio di legalità, e, sotto il profilo strettamente penalistico, viene meno la stessa sussistenza del fatto di cui all'art. 650 c.p., che ha come presupposto la legalità dell'atto, sotto il profilo, benvero, formale, con esclusione del sindacato sull'eccesso di potere e, ancor più, sull'opportunità dell'atto.

Neanche sono ammessi ad integrare il precetto penale, altrimenti violandosi il disposto dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, i provvedimenti amministrativi plurimi, che, seppure rivolti a più soggetti, non hanno carattere di astrattezza e generalità (sostanza normativa).

Lo stesso dicasi per le ordinanze di necessità e urgenza, le quali, se hanno il carattere della generalità, non hanno quello, concorrente e necessario, dell'astrattezza, essendo dettate in occasione di avvenimenti particolari, in limitati contesti spaziali e/o temporali.

Hanno, invece, pieno ingresso nel precetto della norma penale in bianco, i regolamenti e - per quel che interessa in questa causa - i decreti ministeriali, atti amministrativi generali e astratti e, pertanto, dotati di sostanza normativa; deve, inoltre, in concreto, notarsi che il «tipo criminoso» dell'art. 17 L. 4 maggio 1990, n. 107, per la peculiare e dettagliata descrittività, è sufficientemente delineato, per cui il decreto ministeriale non fa che, secundum constitutionem, completare il precetto penale, lungi dal porlo in assoluto.

S'ha da vedere, allora, se sussista il fatto contestato al Ronga: questa Corte territoriale è per la negativa.

Già la contestazione della pubblica accusa tradisce lo scotoma interpretativo nella esegesi della «norma globale» sottoposta all'indagine di questo Collegio: si addebita al Ronga di aver acquisito la donazione di sangue di donatore a rischio, e si scrive, in parentesi, «omosessuale». QuindiPage 332 l'equazione operata dalla pubblica accusa e dal giudice di primo grado è: omosessuale=donatore a rischio. E tanto è expressis verbis contestato al Ronga.

Ora, qui non si vuole contestare che l'evento, inteso come lesione del bene giuridico protetto, del delitto di cui all'art. 17 L. 107/90 sia nella «messa in pericolo» dell'incolumità pubblica, ché non si richiede affatto la verificazione di un contagio a seguito della trasfusione operata in spreto al divieto normativo; non si vuole negare che l'art. 3 D.M. 15 gennaio 1991 faccia carico al donatore di sangue dell'obbligo di riferire se intrattenga «rapporti omosessuali». Ma senza dubbio tale espressione deve essere studiata nel contesto sociale e scientifico in relazione al quale la norma è posta, e, prima di tutto, deve essere studiata con riferimento alla molto esplorata, ma ancora spinosa, tematica dei reati di pericolo.

È senz'altro frutto di miopia sociale «costruire» la persona sessuale come soggetto a rischio in quanto tale: l'omosessualità è una mera «scelta ormonale» della natura, condizionata o meno che sia da fattori socio-ambientali (processo di prisonizzazione, lunga permanenza in trincea, difficoltà estrema di rapporti eterosessuali) o endopsicologici (prevalenza della figura familiare di sesso opposto, «ricerca di ingiustizie») (EDMUND BERGLER, Psicoanalisi dell'omosessualità, Ed. Astrolabio, Roma, 1970); ciò che rileva in concreto è l'«uso» dell'omosessualità, la sua «gestione»: è certamente a rischio l'omosessuale che si prostituisce, che ha rapporti «indiscriminati» e plurimi, a partner indefinito, ma, con più certezza, è maggiormente a rischio la persona «normale» infedele, la ninfomane, l'affetto da satiriasi, pur non avendo il marchio della omosessualità, che nazioni civili hanno ormai cancellato definitivamente, ammettendo il matrimonio tra persone dello stesso sesso, rivisitando l'istituto familiare, non come una «fabbrica di figli», ma come una forma di tutela dell'affetto nella più ampia e libera privacy.

Questo sotto l'aspetto socio-culturale, ma l'aspetto tecnico-giuridico, mai da scindere dall'altro, or affrontato, ancor di più fa obbligo a questa Corte di assolvere il Ronga.

In una visione che ormai sempre vieppiù viene, e va, criticata, il reato di pericolo «presunto» o «astratto» viene contrapposto al pericolo concreto, quello che, cioè, compare nella stessa previsione incriminatrice (es.: artt. 423, secondo comma; 571, primo comma, c.p.): il primo «modulo» di reato di pericolo vede lo stesso come «ratio di tutela», il secondo come elemento del fatto di reato.

Tale distinzione non tiene conto della visione realistica dell'illecito penale, risalente a dottrine illuminate, ancor più perché risalenti nel tempo; del principio di offensività dell'illecito penale; della necessità che, a prescindere da una epifania naturale (es.: morte nell'omicidio) la condotta cagioni un evento (artt. 40 e 41 c.p.), inteso come lesione del bene giuridico, secondo la costruzione cui aderiscono anche gli autori che vedono nell'art. 49 c.p. la consacrazione dell'esigenza che, oltre alla conformità al tipo, un fatto, per essere penalmente rilevante, debba essere, in concreto, lesivo di un interesse che sia costituzionalmente garantito (nella specie, quello di cui agli artt. 2 e 32 della nostra Costituzione).

Anche se si voglia mantenere, per agio didattico, la distinzione tra pericolo astratto e pericolo concreto, non si potrà mai dire che vi è il delitto di incendio quando si appicchi il fuoco in una zona completamente disabitata; lo stesso Supremo Collegio, con giurisprudenza ormai consolidata, insegna che, anche se è vero che l'art. 367 c.p. (simulazione di reato) è delitto in cui si fa menzione espressa della possibilità di inizio di un procedimento penale, non di meno non si configura il delitto di calunnia, o di autocalunnia - ove tale menzione non compare - se non si ravvisi il pericolo in esame; se, paucis verbis, non sia leso l'interesse dell'Amministrazione della Giustizia. E l'assoluzione deve suonare...

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