Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine225-234

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@TRIBUNALE DI CAMERINO 20 gennaio 2005. Est. Potetti - Imp. X ed altro.

Prova penale - Valutazione - Ammissione di prove a discarico - Poteri del giudice del merito - Revoca - Ambito di applicazione. Prova penale - Perizia - Poteri delle parti - Individuazione.

Il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove a discarico, di cui all'art. 495, comma secondo, c.p.p., va coordinato con il potere attribuito al giudice dal comma quarto del medesimo articolo di revocare l'ammissione di prove che risultino superflue. Tale potere, in quanto esercitato dal giudice sulla base delle risultanze della istruttoria dibattimentale, è ben più ampio di quello che al medesimo è riconosciuto all'inizio del dibattimento, ove, stante il diritto delle parti alla prova, il giudice può rigettare la richiesta di ammissione delle sole prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. (C.p.p., art. 495; c.p.p., art. 190) (1).

In tema di perizia le parti hanno l'onere di partecipare attivamente alla perizia, anche stimolando il potere informativo del perito previsto dall'art. 228 comma 3 c.p.p., perché non è poi consentito ad esse di utilmente criticare la perizia prospettando nuovi elementi storici, utili alla risposta al quesito, che esse stesse hanno omesso di segnalare al perito. Questa proposizione deriva dalla considerazione che il diritto di difesa è certamente un valore fondamentale della Carta costituzionale, ma esso convive e va bilanciato con altri valori costituzionali, come il principio della ragionevole durata del processo, ormai previsto dall'articolo 111 della Carta costituzionale. (C.p.p., art. 228) (2).

    (1) Conforme, Cass. pen., sez. VI, 20 novembre 2003, Mordeglia, in Riv. pen. 2005, 87.


    (2) Per utili riferimenti in tema di oneri connessi allo svolgimento delle operazioni peritali, si veda Cass. pen., sez. I, 21 ottobre 2002, Botticelli ed altra, in questa Rivista 2003, 52.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. (Omissis). - Prima di addentrarci nell'analisi della relazione peritale (che rappresenta elemento centrale e fondamentale della presente decisione) pare opportuno premettere alcune osservazioni in diritto.

Per primo, poiché soprattutto l'esito della relazione peritale giustifica la decisione del tribunale di non proseguire oltre nell'istruttoria, può essere utile ricordare quella giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in tema di provvedimenti del giudice in ordine alla prova, il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove a discarico, di cui all'art. 495, comma secondo, c.p.p., va coordinato con il potere attribuito al giudice dal comma quarto del medesimo articolo di revocare l'ammissione di prove che risultino «superflue».

Tale potere, esercitato dal giudice sulla base delle risultanze della istruttoria dibattimentale, è ben più ampio di quello che al medesimo è riconosciuto all'inizio del dibattimento (fase processuale caratterizzata dalla normale «verginità conoscitiva» dell'organo giudicante rispetto alla regiudicanda, e pertanto regolata dal più restrittivo canone di cui all'art. 190, comma primo, c.p.p., richiamato dall'art. 495, comma primo, dello stesso codice, in base al quale, stante il diritto delle parti alla prova il giudice può non ammettere le sole prove vietate dalla legge o quelle che «manifestamente» risultino superflue o irrilevanti).

Ne consegue che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato (v. sez. VI, sent. 13792 del 1º dicembre 1999, ud. 6 ottobre 1999, in C.E.D. Cass., RV 215281; nello sesso senso sez. VI, sent. 38812 del 19 novembre 2002, ud. 8 luglio 2002, ivi, RV 224272).

Inoltre, occorre con grande chiarezza precisare che la perizia si è svolta nel possibile contraddittorio delle parti, e ciò conforta nel ritenerla assolutamente attendibile.

A tale proposito occorre affermare con altrettanta chiarezza che le parti non hanno la mera facoltà di intervenire nella perizia, bensì l'onere di farlo, anche utilizzando il potere informativo del perito, previsto dall'art. 228 comma 3 c.p.p.

Si tratta di onere (tecnicamente: qualcosa che si deve fare se si vuole ottenere un vantaggio o evitare un danno) perché non è poi consentito alle parti di utilmente criticare la perizia sulla base di una propria omissione, e cioè prospettando nuovi elementi storici che il perito avrebbe potuto utilizzare per arrivare a diverse conclusioni, quando si tratti di elementi storici che le parti hanno omesso di fornire al perito (pur potendolo fare).

La suddetta proposizione deriva da una considerazione di base, e cioè che il diritto di difesa è certamente un valore fondamentale della Carta costituzionale (art. 24), ma esso vive (o, per meglio dire, convive) con altri valori costituzionali, come (per quanto ci riguarda) il principio della ragionevole du-Page 226rata del processo, ormai previsto dall'art. 111 della Carta costituzionale.

Da ciò consegue che l'ordinamento è tenuto a consentire lo spiegarsi del diritto di difesa, ma detto diritto di difesa non può essere esercitato con forme rimesse totalmente alla volontà del titolare del diritto, anche quando tale libertà nelle forme possa pregiudicare altri valori costituzionali garantiti dalla Carta fondamentale.

In sintesi, il diritto di difesa è riconosciuto e tutelato in punto di an, ma il legislatore e l'interprete rimangono liberi di dare ad esso l'opportuna disciplina in punto di quomodo, così da far salvi altri principi costituzionali che, diversamente opinando, potrebbero risultare lesi (per esempio il principio di obbligatorietà dell'azione penale o, per quanto più direttamente ci riguarda, il principio della ragionevole durata del processo: artt. 111 e 112 della Costituzione).

Da ciò consegue la conclusione già sopra formulata, secondo la quale la difesa non può omettere di fornire al perito i dati storici che servano strumentalmente per la risposta al quesito, per poi pretendere nella sede dibattimentale gli accertamenti di quei medesimi dati.

Naturalmente tale proposizione non toglie alla parte il diritto di rinnovare, innanzi al giudice, l'acquisizione di quegli stessi dati (in genere tramite prova testimoniale) quando la parte medesima dimostri che la perizia (alla quale pure si è diligentemente partecipato) non ha avuto la possibilità di chiarire completamente taluni aspetti, sì che (in questo caso) il giudice dovrebbe proseguire nell'istruttoria, non potendo ravvisare quella superfluità che (ai sensi dell'articolo 495 comma quarto c.p.p.) è presupposto essenziale per revocare prove già ammesse. (Omissis).

@TRIBUNALE DI MILANO Sez. IV, 14 luglio 2000. Pres. ed est. Carfì - Imp. Acampora.

Competenza penale - Competenza per territorio - Momento consumativo del reato - CorruzioneIndividuazione.

Il delitto di corruzione è configurabile come un reato a duplice schema, principale e sussidiario, per cui, secondo lo schema principale il reato viene commesso con la accettazione della promessa e il ricevimento dell'utilità con cui coincide il momento consumativo. (C.p.p., art. 319; c.p.p., art. 9).

Eccezione di incompetenza territoriale. Già in altra occasione questo collegio ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione relativa alla individuazione del momento consumativo del reato di corruzione, con motivazione che per la parte che qui interessa si riporta integralmente:

Con giurisprudenza assolutamente prevalente la Suprema Corte sin dal 1945 (cfr. Cass. 24 aprile 1945, imp. La Barbera, in Giur. compl. Cass. 1945, p. 15; Cass. 4 maggio 1954, imp. Baraghi, ivi, 1954, p. 209; Cass., sez. I, 6 agosto 1970, n. 203, in C.E.D. 115092; Cass., sez. VI, 16 ottobre 1974, n. 7044, in C.E.D. 128224; Cass., sez. VI, 12 giugno 1982, n. 5913, in Giust. pen. 1982, parte III, colonna 551; Cass., sez. V, 10 maggio 1985, n. 4562, C.E.D. 169143) ha ritenuto che il delitto di corruzione sia configurabile come un reato a duplice schema, principale e sussidiario, per cui, secondo lo schema principale il reato viene commesso con due essenziali attività, la accettazione della promessa e il ricevimento dell'utilità con cui coincide il momento consumativo. Secondo lo schema sussidiario, che si realizza quando la promessa non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione della promessa.

(Omissis).

Né pare convincente il diverso orientamento condensato nella decisione... omissis... (cfr. Cass., sez. V, 30 luglio 1993), secondo la quale il delitto de quo deve ritenersi consumato nel luogo in cui la promessa viene accettata dal pubblico ufficiale, rimanendo ininfluente la successiva attività di ricezione del danaro o delle altre utilità.

La già descritta struttura della fattispecie di cui all'art. 319 c.p. nella forma di reato a duplice schema non rappresenta altro, a ben vedere, che la attuazione da parte del legislatore di una tutela anticipata del bene giuridico protetto, vale a dire la vera e propria «anticipazione» del momento consumativo del reato nel caso in cui la promessa non venga mantenuta, sulla base della considerazione che anche in tal caso il prestigio della P.A. viene leso per il solo fatto della accettazione della promessa da parte del pubblico ufficiale.

Per altro, non può essere seriamente posto in discussione che la maggiore lesione del bene giuridico protetto dall'art. 319 c.p. si abbia quando l'illecito accordo abbia esecuzione mediante la ricezione delle utilità promesse: ne consegue l'assorbimento della prima condotta nella successiva, più ampia.

Risulta dal capo di imputazione che la somma di lire 133 milioni (parte della maggior somma di lire 1.000.000.000 versata estero su estero sul conto corrente Pavoncella di Pacifico Attilio) è stata bonificata in data 26 giugno 1991 sul conto corrente Rowena...

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