Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine489-499

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@TRIBUNALE DI CAMERINO 22 aprile 2005. Pres. ed est. Potetti - Imp. X.

Prova penale - Testimoni - Contestazioni - Dichiarazioni rese dal teste prima del dibattimentoProva del fatto storico - Ammissibilità - Esclusione.

Le dichiarazioni rese dal testimone prima del dibattimento, e utilizzate per le contestazioni (art. 500 c.p.p.) non possono essere assunte a prova del fatto storico in esse narrato, nemmeno se il teste, che non sia in grado ormai di ricordare i fatti sui quali è interrogato, affermi in dibattimento l'attendibilità delle dichiarazioni stesse. (C.p.p., art. 500) (1).

    (1) Nulla risulta edito negli esatti termini.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il teste dichiarava che aveva lavorato presso l'Ospedale... dall'ottobre 1997 fino all'estate 1998.

Interrogato sulla vicenda di..., il teste subiva contestazioni ex art. 500 c.p.p. dal pubblico ministero, rispetto alle quali questo giudice rimane fermo al criterio di valutazione di cui all'articolo 500 c.p.p., il quale al comma secondo prevede che le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste.

Si osserva in proposito da questo giudicante che, a prescindere dalla nota questione circa l'ammissibilità di una contestazione al teste che in dibattimento non ricorda i fatti, il giudice dovrà misurarsi con il secondo comma dell'art. 500 («Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste»), la cui interpretazione letterale e restrittiva (esclusivo giudizio sulla credibilità) equivale effettivamente a perdere i dati di cognizione a suo tempo riferiti dal teste prima del dibattimento, alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero (posto che ritenere credibile o meno il «non ricordo» dibattimentale del teste nulla aggiunge, di per sè stesso, al bagaglio conoscitivo del giudice).

L'alternativa è intuitiva: ritenere che il teste, richiamando per relationem la dichiarazione resa nel corso delle indagini (e pur non ricordando i fatti sui quali è esaminato in dibattimento), abbia mutato la natura della precedente versione resa nella fase investigativa (da atto di indagine a testimonianza dibattimentale).

Ad analizzare la risposta tipica del teste («non ricordo i fatti di cui mi chiedete, ma li ho riferiti alla polizia giudiziaria secondo verità») è facile avvedersi che oggetto della dichiarazione di scienza fatta dal teste non sono per tale via i fatti rilevanti per il processo (es. numero di targa, tipo e colore di un certo veicolo usato per una rapina), ma un altro e diverso fatto, di per sè inutile ai fini della ricostruzione dei fatti rilevanti per il processo (e cioè il fatto che il teste abbia riferito i fatti rilevanti alla polizia giudiziaria secondo verità).

In pratica il teste immemore in questo caso dichiara che tra i fatti realmente accaduti e quelli riferiti alla polizia giudiziaria vi è identità; ma non dice (perché non lo ricorda) ciò che interessa al processo, e cioè quali siano questi fatti.

Ciò che serve al processo (es. numero di targa, tipo e colore del veicolo) potrebbe essere acquisito solo mediante ulteriori operazioni, e cioè inserendo (mediante lettura) nel fascicolo dibattimentale, e poi utilizzando, le dichiarazioni già rese dal teste durante le indagini.

Il problema ineludibile è allora quello di decidere se tali operazioni siano consentite dall'art. 500 c.p.p. (valutazione del precedente difforme solo ai fini della credibilità e divieto di acquisirlo al fascicolo del dibattimento al di fuori delle ipotesi eccezionali ivi previste), ma prima ancora, e soprattutto, se siano consentite dal comma quarto dell'art. 111 Cost. (principio del contraddittorio nella formazione della prova) (in senso contrario a tali operazioni v. Trib. Ascoli Piceno, sezione distaccata di San Benedetto del Tronto, 29 giugno 2001, in G.U. 1ª Serie speciale, 10 ottobre 2001, n. 39, p. 61 e 63; Trib. mil. Torino, 14 giugno 2001, in Giust. pen. 2002, III, da c. 167).

Nello scegliere la soluzione negativa (quella qui adottata da questo giudice) si rifletta comunque su ciò: che l'attestazione di verità del teste sulle sue precedenti dichiarazioni (magari attraverso la classica domanda: conferma quelle dichiarazioni?) non le trasforma, ovviamente, in dichiarazioni rese nel contraddittorio, come vuole la norma costituzionale.

Giustamente in dottrina si è sottolineato il rischio che le operazioni di recupero per tale via delle precedenti dichiarazioni diventino un modo per aggirare la loro inutilizzabilità, e si è rilevato che il dichiarante potrebbe in tal modo limitarsi a richiamare le dichiarazioni già rese nelle indagini, con ciò dando la stura ad una lettura indiscriminata dei verbali di indagine, evitando il rischio dell'esame incrociato, che potrebbe farlo cadere in contraddizione e far dubitare della sua credibilità.

Ciò significa che le dichiarazioni rese prima del dibattimento non possono essere assunte a prova del fatto storico in esse narrato, nemmeno se il teste dia assicurazione in dibattimento circa la loro attendibilità. (Omissis).

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@TRIBUNALE DI MILANO Uff. Gip, ord. 25 gennaio 2005. Est. Tacconi - Imp. X.

Parte civile - Costituzione - Ente chiamato a rispondere nel processo penale ai sensi del D.L.vo n. 231/01 - Ammissibilità - Esclusione.

È inammissibile la costituzione di parte civile nei confronti di ente chiamato a rispondere quale responsabile amministrativo ai sensi del D.L.vo n. 231/01. Infatti, da un lato il citato D.L.vo n. 231/01 non prevede né richiama l'istituto della costituzione della parte civile (fatto significativo posto che detta normativa disciplina molteplici istituti paralleli a quelli penali e processuali) dall'altro, specifiche disposizioni di legge, che nella legge processuale penale menzionano la parte civile o comunque ad essa fanno riferimento, sono ribadite nel provvedimento in questione senza alcun riferimento a quest'ultimo soggetto processuale. (Nella specie, l'art. 54 del citato D.L.vo, che disciplina il potere del P.M. di richiesta del sequestro conservativo in relazione alla dispersione delle garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, ricalcando l'art. 316 c.p.p. - norma quest'ultima che consente analoga richiesta alla parte civile in relazione alle obbligazioni civili derivanti da reato - non prevede alcun potere in capo alla parte civile). (C.p.p., art. 74; c.p., art. 185) (1).

    (1) Per un'esaustiva disamina delle problematiche inerenti la costituzione della parte civile nel processo penale, si veda, da ultimo, P. CORSO, Commento al codice di procedura penale, Ed. La Tribuna, Piacenza 2005, pag. 294 e ss.


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Giudice, 1) sulle richieste formulate dai rispettivi difensori avv.ti Giarda, Lago, Amodio, Olivo: di estromissione delle parti civili che si sono costituite nei confronti di Italaudit spa costituitasi ex art. 39 D.L.vo 231/01; di esclusione di Dianthus spa in relazione alle costituzioni di parte civile proposte nei suoi confronti quale «imputata» ai sensi del D.L.vo 231/01; di esclusione di Deloitte & Touche spa in relazione alle costituzioni di parte civile proposte nei suoi confronti quale «imputata» ai sensi del D.L.vo 231/01; di inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti di Bank of America, Filiale di Milano, responsabile amministrativo ex D.L.vo 231/01.

Osserva: il problema sollevato nelle dette richieste è se è ammissibile e legittima la costituzione di parte civile nei confronti di ente chiamato a rispondere quale responsabile amministrativo ai sensi del D.L.vo 231/01.

Punto necessario di partenza è la disciplina prevista dai codici penale e di procedura penale in materia di esercizio dell'azione civile nel processo penale.

Gli artt. 74 c.p.p. e 185 c.p. prevedono che, ai fini delle restituzioni e del risarcimento del danno, la legittimazione attiva spetta al danneggiato (o successori universali) dal reato, quella passiva all'imputato/colpevole ed al responsabile civile, ossia al soggetto che, in base alle leggi civili, deve rispondere per il fatto del colpevole.

L'ambito di applicazione dell'istituto è, pertanto, ben delineato dalle dette norme: presupposti sono la commissione di un reato, l'esistenza di un danno patrimonilae o non patrimoniale quale conseguenza diretta ed immediata dal reato, la sussistenza di una responsabilità disciplinata dalla normativa civilistica in capo a soggetto diverso dal colpevole.

Già il richiamo alla detta disciplina evidenzia come l'ente chiamato a rispondere nel processo penale ai sensi del D.L.vo 231/01 non è soggetto passivo di una pretesa risarcitoria avanzata dalla parte civile.

Esso, infatti, non è né l'autore del reato né soggetto che, sulla base del detto D.L.vo, può essere chiamato a rispondere civilmente per il fatto del colpevole.

Quest'ultima responsabilità potrà sussistere, ove ne ricorrano i presupposti, nella veste di responsabile civile ed in base alla disciplina appositamente dettata dal codice per quest'ultimo soggetto processuale.

A supporto di questa conclusione vi è la disciplina prevista dal D.L.vo 231/01.

Essa si riferisce alla responsabilità amministrativa dell'ente per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

Ripetutamente la normativa in questione parla di responsabilità amministrativa: nell'intitolazione del Capo I, delle Sezioni I e III, del Capo III negli artt. 2, 3, negli artt. 9 e 22, 34, 36, 37, 38, 43, 44, 45, 55, 56, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 66, 69, 71, 74, 78, 83, 85, nonché negli artt. 1, 2, 3, 4, 7 delle relative disposizioni regolamentari (norme tutte dove si parla di illeciti amministrativi dipendenti da reato e di sanzioni amministrative).

Accertata la detta responsabilità amministrativa non vi è spazio perché l'ente, sulla base della stessa, possa essere chiamato a rispondere civilmente per le restituzioni od il risarcimento del danno.

Sicuramente non può farlo sulla base degli artt. 185...

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