Giurisprudenza di merito

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@Corte Di Appello Di Firenze Sez. II, 6 giugno 2006, n. 1213. Pres. Bellagamba - Est. Romagnoli - Soc. Immobiliare Saffi Srl (avv.ti Amadei e Scripelliti) c. Comune di Livorno (avv.ti Borsotti e Macchia).

Restituzione della cosa locata - Maggior danno ex art. 1591 c.c. - Prova - Estensione - Concrete proposte di locazione ricevute dal locatore proprio con riferimento alle unità immobiliari locate ed ancora occupate - Esigibilità - Esclusione.

In tema di prova del maggior danno ex art. 1591 c.c., non è ragionevolmente esigibile dal locatore la prova di aver ricevuto concrete proposte di locazione proprio delle unità immobiliari già locate ed ancora occupate dal conduttore che ritarda la restituzione, proposte che - come normalmente avviene - presuppongono che l'immobile sia libero o, quantomeno, la certezza del tempo della riconsegna. (C.c., art. 1591) (1).

    (1) Per un'ampia panoramica in tema di assolvimento della prova del maggior danno, si veda SFORZA FOGLIANI C., MAGLIA S., Il nuovissimo Codice delle locazioni, Ed. La Tribuna, Piacenza 2006, pp. 582 ss.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Citando innanzi a questa Corte il Comune di Livorno, la Immobiliare Saffi Srl propose appello verso la sentenza n. 316/02 emessa il 10 dicembre 2001 con la quale il Tribunale di Livorno aveva rigettato la sua domanda di condanna di quel Comune a risarcire i danni subiti per la mancata riconsegna di 17 appartamenti che aveva locato al Comune per esigenze abitative di natura transitoria e per i quali il pretore il 6 luglio 1992 aveva convalidato lo sfratto per finita locazione.

Espose, avendo incorporato diverse società che nel 1985 avevano locato al Comune numerosi appartamenti per soddisfare esigenze abitative transitorie di famiglie sfrattate e senza tetto, con l'obbligo del Comune di restituirli in diverse scadenze tra il 30 settembre 1986 ed il 30 settembre 1990, che per 17 appartamenti non restituiti alle scadenze aveva intimato sfratto, ed il Pretore di Livorno lo aveva convalidato il 6 luglio 1992. Tali appartamenti furono poi restituiti, nel corso del procedimento di primo grado, da fine 1999 a durante il 2000.

Propose appello lamentando che il primo giudice, pur riconoscendo la responsabilità del Comune per il ritardo, aveva affermato che essa società attrice non avesse provato il maggior danno oltre l'indennità di occupazione corrispondente al canone convenuto, secondo i principi affermati dalla Corte di cassazione.

Motivò il gravame esponendo che la giurisprudenza richiamata dal primo giudice circa la necessità di prova puntuale del maggior danno si riferiva al locatore privato - per il quale esisteva una gamma indefinita di possibili utilizzazioni la cui scelta poteva essere determinata da motivazioni di carattere personale - e non poteva riferirsi ad un imprenditore immobiliare, come la Saffi che aveva per obbligo e finalità statutarie l'utilizzazione economica degli immobili, con la loro locazione o vendita. Queste dovevano peraltro ritenersi sicuramente realizzabili, essendo Livorno un Comune ad alta tensione abitativa. Inoltre, nella fattispecie la prova poteva esser raggiunta anche mediante presunzioni, così come era avvenuto, in tempi di inflazione più elevata, per il creditore relativamente all'interesse superiore a quello legale. Invero, non era ragionevolmente pretendere dal locatore-imprenditore immobiliare la destinazione delle occasioni perdute, prova per lui impossibile relativamente ad immobili occupati, perché fuori mercato. Ed essa in primo grado aveva dato prova d'aver stipulato contratti di locazione di appartamenti che aveva liberi.

Affermò che era stata raggiunta anche la prova dell'entità del danno, in quanto:

a) risultava dalla perizia di parte la sua esposizione verso banche, che avrebbe ridotto se avesse locato quei 17 appartamenti a canoni di mercato o se li avesse venduti. Si trattava di danno emergente, determinato dai maggiori costi sostenuti. Né era ragionevole porre in vendita immobili occupati, che pertanto erano deprezzati del 30%;

b) risultava dalla C.T.U. assunta in primo grado che, locando quegli appartamenti, avrebbe conseguito un canone di complessive lire 9.162.050 al mese, come determinato dal consulente d'ufficio. Pertanto il suo mancato guadagno, pari alla differenza fra quanto avrebbe percepito fino alla fine del 1999 (quando mediamente gli immobili le erano stati restituiti) e quanto aveva percepito dal Comune, era di lire 573.898.644; c) inoltre, il maggior danno era stato forfettariamente determinato dall'art. 1 bis L. 61/1989 nella maggiorazione del 20% dei canoni pagati, quindi risultava in lire 66.628.861;

d) comunque, poteva essere liquidato equitativamente.

Chiese conseguentemente la riforma della sentenza impugnata, con la condanna del Comune. Se ritenute necessarie, chiese l'ammissione di prove testimoniali sulle richieste di locazione di appartamenti che aveva ricevuto nel periodo di mora nella riconsegna degli immobili. Page 538

Si costituì il Comune di Livorno resistendo, ed in particolare affermò:

1) d'aver sempre pagato alla Immobiliare Saffi il canone con gli aggiornamenti Istat richiesti, e quindi essa aveva accettato la prosecuzione del rapporto. Ed infatti aveva iniziato la causa di sfratto sei anni dopo lo scadere della prima riconsegna;

2) il ritardo nella restituzione non fu colposo perché era impossibile collocare gli sfrattati che occupavano i 17 appartamenti prima dell'espletamento delle procedure di assegnazione degli alloggi popolari;

3) nessun rilievo giuridico poteva avere la posizione di imprenditore commerciale dell'appellante, nella materia in oggetto, poiché secondo il costante orientamento della Corte di cassazione la Immobiliare Saffi doveva dare prova del danno subito: ma ciò non era avvenuto, non risultando che avesse ricevuto specifiche proposte di locazione per i medesimi immobili, ed anzi la prosecuzione dei rapporti oltre il termine, pur potendo essere modificati i contratti secondo la nuova disciplina dei patti in deroga, dimostrava il suo disinteresse ad una diversa utilizzazione di quegli appartamenti; non aveva neppure allegato quale sarebbe stato il danno subito, oscillando fra locazione e vendita, e le C.T.U. apparivano meramente esplorative, così da individuare il massimo profitto possibile;

4) la richiesta di liquidazione secondo la perizia di parte che l'appellante aveva prodotto non poteva essere accolta, portando ad una sua locupletazione perché gli immobili dei quali si ipotizzava la vendita restavano nella sua proprietà;

5) la sua richiesta di liquidazione secondo il canone di mercato non era sorretta dalla prova che avrebbe locato subito e senza costi;

6) la domanda ex art. 1 bis L. 61/1989 era inammissibile perché nuova, e comunque tale norma era stata abrogata, ed era inapplicabile perché le locazioni erano state stipulate per esigenze di natura transitoria; neppure quella di liquidazione equitativa, sia perché dare la prova era ben possibile, sia perché la Saffi era stata già soddisfatta dal pagamento dei canoni rivalutati.

All'esito dell'odierna udienza collegiale la causa è stata decisiva secondo il dispositivo letto in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Va premesso che correttamente il primo giudice ritenne la responsabilità del Comune per il ritardo nella riconsegna degli appartamenti alla Immobiliare Saffi - per i quali il pretore, convalidando il 6 luglio 1992 lo sfratto per finita locazione, aveva fissato la data del rilascio il 30 settembre 1992 -, essendo suo onere provare l'impossibilità della riconsegna per una causa a lui non imputabile, e non essendo integrata siffatta causa dalla difficoltà di reperire alloggi alternativi per i senza tetto, od il doveroso espletamento delle procedure di assegnazione di alloggi popolari. Va inoltre considerato che ciò era ben prevedibile per il Comune fin dal tempo in cui, nel lontano 1985, furono stipulati i contratti di locazione per esigenze abitative di natura transitoria.

Si osserva che il primo giudice motivò il rigetto della domanda della Immobiliare Saffi, la quale pacificamente percepì dal Comune i canoni rivalutati annualmente, ritenendo che non avesse offerto idonei elementi di prova, quali determinate proposte di locazione o di acquisto, non potendo essere considerati tali le dichiarazioni del testimone che si era riferito ad unità immobiliari diverse da quelle locate al comune, né le relazioni di C.T.U. che indicavano soltanto il valore di mercato degli immobili, né la situazione economica della Saffi per il suo indebitamento a brevemedio termine. Ulteriore argomento utilizzato dal primo giudice fu il comportamento della società che aveva atteso oltre sei anni dalle prime scadenze di alcuni contratti, prima di promuovere azione di sfratto per finita locazione, con ciò ratificando la prosecuzione dei rapporti, ed aveva promosso l'azione di risarcimento il 2 ottobre 1992, ovvero a distanza di pochi giorni da quello fissato per il rilascio.

Secondo un indirizzo interpretativo giurisprudenziale consolidato e richiamato nella sentenza di primo grado, il maggior danno di cui all'art. 1591 c.c., che ha natura contrattuale, deve essere concretamente provato dal locatore, il quale in particolare deve fornire la specifica prova dell'esistenza del danno medesimo, in rapporto alle condizioni dell'immobile, alla sua ubicazione e alle possibilità di utilizzazione, dalle quali emerga il verificarsi di un'effettiva lesione del suo patrimonio: per aver perduto ben determinate proposte di locazione ad un canone più elevato, o d'acquisto, o per non averlo potuto concretamente utilizzare. Quindi tale prova non è data automaticamente dal valore locativo presumibilmente ricavabile dalla astratta possibilità di locazione o vendita del bene.

Ma dalla stessa Corte di cassazione che ha espresso tale rigorosa interpretazione deriva anche l'affermazione della possibilità di utilizzare argomenti presuntivi poiché il danno è un fatto, e per dimostrarlo ogni...

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