Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine315-321

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@CORTE DI APPELLO DI CATANZARO Sez. I, decr. 13 gennaio 2006. Pres. ed est. Zampi - Imp. Fontana.

Misure di prevenzione - Procedimento - Incapacità del proposto di partecipare coscientementeRilevanza - Sospensione obbligatoria del procedimento - Necessità - Mancata sospensione del giudizio di primo grado - Effetti nel giudizio di appello - Nullità del decreto - Sussistenza.

Anche nel procedimento di prevenzione trova piena applicazione la disciplina dettata dall'art. 70 c.p.p. per il caso di incapacità del proposto di partecipare coscientemente al giudizio, quale corollario dell'art. 24 comma 2 Cost. e dell'art. 6 lett. b) e c) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, e non potendosi ritenere applicabile sul punto l'art. 666 c.p.p. Nel caso in cui, pur in presenza di una accertata incapacità di partecipare coscientemente al giudizio, il tribunale abbia egualmente applicato la misura di prevenzione, la corte di appello non può limitarsi a sospendere il procedimento, ma deve annullare il decreto e ordinare la restituzione degli atti al giudice di primo grado per assicurare al proposto un doppio grado di merito. (C.p.p., art. 70; L. 27 dicembre 1956, n. 1423) (1).

    (1) In generale, per utili riferimenti in tema di procedimento di prevenzione, si veda Cass. pen., sez. I, 17 febbraio 2003, Manfredi, in questa Rivista 2003, 468.


RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO. - Con decreto del 13 gennaio 2006 il Tribunale di Vibo Valentia applicava a Fontana Pietro, nato a Vibo Valentia il 5 novembre 1974, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per la durata di due anni, con l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

Rilevava il tribunale che la proposta del Questore di Vibo Valentia, che aveva attivato la procedura di prevenzione, segnalava come il Fontana si fosse reso responsabile negli ultimi anni di numerosi reati che ponevano a repentaglio la pubblica sicurezza e tranquillità (minacce, porto abusivo di arma, danneggiamento, ricettazione), mantenendo la propria condotta dedita al delitto anche dopo le diverse condanne e dopo la notifica dell'avviso orale, subendo ulteriori arresti e denunce (anche per gravi reati come l'estorsione e l'evasione), senza una stabile attività lavorativa.

Il tribunale, preso atto della reiterazione delle denunce e delle condanne, della natura dei reati attribuiti al prevenuto, della mancanza di una stabile e sicura attività lavorativa, rilevava che gli episodi delittuosi caratterizzavano una abitudine di vita criminale, dimostrando come il prevenuto traesse da siffatti reati i mezzi economici di sostentamento, mentre l'attualità della pericolosità veniva desunta dall'epoca recente delle denunce riportate. Sulla base di tali valutazioni riteneva applicabile la misura in base alla normativa generale di cui alla legge 1423/56, circoscrivendola alla durata di due anni ed aggravandola con l'obbligo di soggiorno.

Avverso il decreto proponeva tempestivo appello il difensore del Fontana, nel quale eccepiva la nullità del decreto per essere il prevenuto in gravi condizioni di salute tali da vanificare la sua capacità di intendere e di volere e di renderlo incapace di partecipare coscientemente al procedimento, come già riconosciuto da altri giudici penali (depositando a supporto varie sentenze e perizie) e nel merito deduceva l'assenza di pericolosità sociale.

La Corte, ritenutane la necessità, disponeva procedersi a perizia medico-legale sul Fontana per accertare la sua capacità di partecipare coscientemente al processo, quindi, all'odierna udienza, trattato l'appello in camera di consiglio da P.G. e difensore, riservava la decisione.

È fondato e va accolto il primo motivo di gravame. Già sotto l'impero del codice abrogato la giurisprudenza riteneva che anche nel procedimento di prevenzione dovesse trovare applicazione il principio, mutuato dall'art. 88 c.p.p. all'epoca in vigore, secondo il quale il giudice doveva verificare le condizioni psichiche del proposto e, nell'ipotesi di infermità di mente che escludesse la capacità di intendere e di volere, doveva sospendere il procedimento per la durata della malattia (Cass., sez. I, ord. 4 maggio 1973, n. 842, Robino; Cass., sez. I, ord. 14 ottobre 1969, n. 1348, Alleri).

La Corte Suprema, pur ribadendo tralaticiamente il principio secondo il quale la generica pericolosità sociale del proposto era una qualificazione giuridica che in sè prescindeva dalla capacità di intendere e di volere e dalla integrità della sfera psichica del soggetto, alla stessa stregua della pericolosità specifica connessa alla affine materia delle misure di sicurezza, osservava tuttavia che lo stato mentale del proposto non era indifferente al momento dell'applicazione e dell'esecuzione della misura di prevenzione, poiché è comunque imprescindibile che il sorvegliato speciale, pur se con una minorata capacità psichica, sia in grado di percepire l'azione intimidatrice dei controlli di po-Page 316lizia, posto che diversamente non potrebbero realizzarsi né le funzioni di riadattamento sociale né quelle di prevenzione specifica (Cass., sez. I, ord. 16 ottobre 1973, n. 1547, Varsalona).

Al di là del necessario ricorso agli istituti vigenti al momento delle pronunce, che palesa il palpabile disagio di dovere richiamare concetti propri della imputabilità penale per applicarli a vicende processuali legate a parametri psichici diversi, è tuttavia importante osservare come sia conclamato il garantista principio che impone anche in materia di misure di prevenzione di consentire al proposto di salvaguardare la propria posizione attraverso, in primo luogo, la capacità di partecipare al processo.

Il codice di rito attualmente in vigore ha sostituito la formula della capacità di intendere e di volere richiamata dall'art. 88 del codice abrogato con quella della capacità di partecipare coscientemente al processo, che, pur avendo come base comune la infermità mentale dell'interessato, opera tuttavia su un piano ontologicamente diverso (Cass., sez. I, 6 marzo 1995, n. 1381).

È però rimasto fermo il principio - ed anzi rafforzato e garantito dalla eliminazine della infausta previsione contenuta nella previgente disciplina che, in presenza di incapacità mentale sopravvenuta, imponeva il ricovero del giudicando in un nosocomio pubblico «preferibilmente giudiziario» a tempo indeterminato e subiva l'influsso ideologico della commissione tra finalità curative e finalità custodiali - secondo il quale il processo in tanto può essere celebrato in quanto l'imputato sia in grado di comprenderne il significato e di autodeterminarsi.

Tale regola, che risponde al precetto costituzionale di cui all'art. 24 comma 2 Cost. ed è il primo e più importante corollario del diritto di difesa, e trova anche una sua consacrazione nell'art. 6 comma 3 lettere b) e c) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, non può essere circoscritta al solo processo penale, ma va estesa ad ogni procedura dalla quale possa derivare una limitazione della libertà personale o altri effetti significativamente pregiudizievoli.

Pur in difetto di pronunce specifiche sul punto, si ricavano tuttavia dalla giurisprudenza della Corte Suprema indirette conferme di tale principio, laddove la sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato ex art. 70 c.p.p. viene esclusa per il giudizio di Cassazione sul particolare presupposto che l'imputato non vi partecipa personalmente e la sua difesa è affidata al difensore (Cass., sez. IV, 15 giugno 2000, n. 7063, Viskovic), oppure laddove individua la ratio della peculiare eccezione contenuta nel comma ottavo dell'art. 666 c.p.p. alla possibilità di tutela della posizione processuale dell'infermo attraverso la nomina del curatore speciale (Cass., sez. I, 2 luglio 1993, n. 1643, Ferro).

Può obiettarsi, tuttavia, che l'art. 4, comma sesto della legge 1423/56 rinvia per la disciplina del procedimento di...

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