Giurisprudenza di merito

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@TRIBUNALE DI ROMA Uff. del Gip, 14 febbraio 2006, n. 6991. Est. Mancinetti - Imp. Magni ed altri.

Rapina - Elemento soggettivo - Differenze dal reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni - Individuazione - Fattispecie.

Il delitto di rapina si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni per l'elemento intenzionale, atteso che nella rapina l'agente mira a conseguire un ingiusto profitto, con la coscienza che quanto pretende non gli è dovuto, mentre nell'esercizio arbitrario egli agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che la pretesa sia ragionevolmente fondata. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabili gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 393 c.p. nella condotta degli imputati i quali, travestiti da centurioni nei pressi del Colosseo, avevano indotto alcuni turisti a fare una fotografia in mezzo a loro e successivamente avevano prelevato una banconota da centomila lire dal portafogli di una delle vittime, provvedendo peraltro immediatamente a consegnare il resto di cinquantamila lire, e ciò prima dell'intervento della Forza pubblica. Tale comportamento, a giudizio della Corte, comprovava che la coartazione della vittima non era diretta a sottrarre una somma di denaro contra ius, bensì ad ottenere un preteso pagamento). (C.p., art. 393; c.p., art. 628).

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con richiesta di rinvio a giudizio depositata in data 10 marzo 2005 il pubblico ministero esercitava l'azione penale nei confronti di Magni Claudio, De Santis Massimiliano e De Santis Giovanbattista in ordine ai reati di tentata estorsione e furto aggravato commesso in danno di due turisti stranieri il giorno 3 luglio 2001 a Roma.

All'udienza preliminare, tutti gli imputati formulavano istanza di definizione del processo mediante giudizio abbreviato.

Disposta la trasformazione del rito, nelle forme della perizia è stata disposta d'ufficio la traduzione dall'inglese all'italiano delle due dichiarazioni rilasciate alla P.G. nell'immediatezza dei fatti dalle due persone offese, di nazionalità sudcoreana.

Aall'esito della discussione, sulle conclusioni rassegnate dalle parti come in epigrafe riportate, ritiene il giudicante che debba addivenirsi a pronuncia di non doversi procedere in ordine al reato di cui all'art. 393 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante minaccia contro la persona), così modificata la qualificazione giuridica dei fatti contestati, per mancanza di querela.

I fatti sono pacifici e conformi alla descrizione offerta nel capo di imputazione.

I tre imputati al momento del fatto si trovavano, unitamente ad altri loro colleghi rimasti estranei al processo, nei pressi del Colosseo a Roma vestiti da centurioni romani in attesa di poter effettuare alcune fotografie con i turisti di passaggio.

I carabinieri in borghese appuntati Lo Verso Luciano e Petrachi Luciano della stazione dei CC di Piazza Venezia li avevano notati ed avevano deciso di seguirne i movimenti, essendo già giunte numerose segnalazioni e lamentele da parte di turisti circa le condotte «vessatorie» e le esose pretese economiche dei soggetti travestiti da centurioni romani.

I militari avevano così potuto vedere che i tre imputati si erano avvicinati insieme ad altri «centurioni» a due turisti sudcoreani poi identificati in Chun Hyung Jin e Lee Hyung Doo, ed il De Santis Massimiliano in particolare li aveva indotti a fare una fotografia. I due turisti si erano quindi posizionati in mezzo al gruppo dei centurioni e il nominato De Santis aveva scattato la foto con la loro stessa macchina fotografica.

Subito dopo, il De Santis restituiva la macchina fotografica ai due turisti i quali, secondo la relazione di servizio dei carabinieri, si mostravano «molto divertiti dell'accaduto».

Il Magni Claudio aveva a quel punto richiesto a titolo di pagamento la somma di lire 50.000 ma di fronte all'esitazione dei due turisti, si erano avvicinati gli altri centurioni che in qualche modo li avevano accerchiati.

Il Chun («spaventato», secondo la relazione di servizio) aveva a quel punto estratto il proprio portafogli dalla tasca e il De Santis Giovanbattista gli aveva sottratto con gesto repentino una banconota da lire 100.000, provvedendo contestualmente a consegnargli il resto di 50.000 lire, in cinque banconote da 10.000 lire.

Quindi, i carabinieri si erano avvicinati ed avevano condotto tutti presso la caserma, denunciando successivamente gli imputati.

I due cittadini sudcoreani, nelle loro dichiarazioni, confermavano pienamente la versione dei fatti offerta dai carabinieri testè riassunta, affermando di essere stati costretti a pagare, poiché erano stati «circondati».

Tanto premesso in fatto, ritiene il Giudicante che la condotta tenuta dai tre imputati, unitariamente valutata, integri astrattamente l'elemento materiale del reato di rapina.

La sottrazione del denaro dal portafogli della vittima, infatti, non ha costituito nella fattispecie Page 72 un'azione autonoma, ma il consequenziale sviluppo della richiesta di denaro attuata dagli imputati mediante la minaccia dell'accerchiamento posto in essere con l'ausilio degli altri colleghi «centurioni».

A fronte di siffatta minaccia (i due turisti hanno affermato di essere stati «accerchiati») le vittime si sono viste costrette a estrarre il portafogli in vista del pagamento.

La successiva sottrazione del denaro non ha costituito altro che la consumazione del profitto che gli agenti miravano ad ottenere con la condotta descritta.

Non vi è materia dunque per sostenere la configurazione del reato di tentata estorsione, innanzitutto perché non vi fu tentativo ma consumazione e inoltre perché le vittime vennero spossessate del denaro, come afferma lo stesso capo di imputazione sub b).

Né è configurabile il reato di furto, perché le vittime furono costrette ad estrarre il portafogli da cui gli agenti sottrassero poi il denaro.

Ricorre dunque l'elemento materiale del delitto di rapina.

Sennonché, appare decisivo per questo giudice al fine di escludere il dolo del reato di cui all'art. 628 c.p. la circostanza che gli imputati, prelevata la banconota da lire 100.000 dal portafogli della vittima, provvidero immediatamente a consegnare il resto di 50.000 lire, ciò prima dell'intervento dei carabinieri, a dimostrazione che dal punto di vista soggettivo la loro condotta complessiva di minaccia, volta a coartare la vittima, non era diretta a sottrarre una somma contra ius ma ad ottenere piuttosto un preteso pagamento.

Tale conclusione non comporta tuttavia l'assoluzione degli imputati con formula ampia, in quanto ricorrono nella specie tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 393 c.p.

Il delitto di rapina si distingue da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni per l'elemento soggettivo, nel...

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