Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI FIRENZE Sez. I, decr. 29 settembre 2006. Pres. Massetani - Est. Pezzuti - La Rocca (avv.ti Pezzati e Neri) c. Ministero di Giustizia (Avv. distr. Stato) ed altro.

Procedimento civile in genere - Legge Pinto - Equa riparazione - Durata ragionevole del processoCriteri indicativi.

In tema di c.d. Legge Pinto e di equa riparazione del danno subìto per effetto della violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (ratificata con L. n. 848/55), la durata ragionevole del processo deve essere calcolata - di regola - in tre anni per il primo grado, in due per il secondo e in un anno per ciascuna fase successiva. (L. 24 marzo 2001, n. 89; L. 4 agosto 1955, n. 848).

(Omissis). - Esaminati gli atti e i documenti del procedimento; rilevato che il La Rocca, con ricorso depositato il 31 maggio 2006, ha proposto domanda, nei confronti del Ministro della Giustizia, per ottenere l'equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001 n. 89, lamentando di avere subìto un danno per effetto della violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con legge 4 agosto 1955 n. 848, danno derivante dall'eccessiva durata del processo da lui instaurato davanti agli uffici giudiziari del distretto della Corte d'appello di Perugia; atteso che la domanda appare sufficientemente specificata nel petitum e nella causa petendi e che le deficienze rilevate nella comparsa di costituzione dell'Avvocatura dello Stato attengono, eventualmente, solo al profilo probatorio; rilevato che il processo de quo è stato introdotto il 2 agosto 1984 e si è concluso con la sentenza depositata il 14 febbraio 2004 ed è quindi durato 19 anni, 6 mesi e 12 giorni; considerato che la durata ragionevole del processo di cui al citato articolo 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali deve essere calcolata di regola, alla luce anche della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in tre anni per il primo grado, in due anni per il secondo e in un anno per ciascuna fase successiva; osservato che la responsabilità fatta valere in base alla legge sopra indicata prescinde dalla colpa e dal dolo del giudice della causa, posto che essa si correla all'obbligo che lo Stato contraente si è assunto, con la ratifica della Convenzione di Strasburgo, di assicurare alle persone la tutela giudiziale in tempi ragionevoli e di apprestare conseguentemente un'organizzazione giudiziaria idonea a farvi fronte; ritenuto peraltro che per accertare se ed in che misura vi sia stata violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, si deve espungere dal periodo totale di durata della causa quello che è addebitabile all'inerzia o comunque alle manchevolezze dell'apparato giudiziario, ma ad iniziative adottate della parte istante o comunque da essa accettate, che in questo caso non si ravvisano; ritenuto pertanto che, in assenza di ulteriore specifico pregiudizio subìto o provato dalla parte, soprattutto con riferimento ad eventuali danni materiali, il danno non patrimoniale derivante ex se a seguito dell'ingiustificato ritardo nella definizione della causa eccedente per 16 anni, 6 mesi e 12 giorni la durata ragionevole come sopra determinata, possa essere determinato in via equitativa in complessivi Euro 16.500,00, che coprono tutte le voci previste dalla legge 24 marzo 2001 n. 89 fino alla data della decisione, oltre interessi legali dalla data della domanda; considerato che non sussistono ragioni per derogare al principio stabilito dall'articolo 91 del codice di procedura civile, e quindi il Ministro della Giustizia va condannato al rimborso delle spese processuali che, tenuto conto del valore della causa e dell'attività svolta (una sola udienza), si liquidano in complessivi Euro 1.621,60, di cui Euro 154,28 per spese effettivamente sostenute, Euro 467,32 per diritti e Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali, C.A.P. e I.V.A. come per legge. (Omissis).

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@TRIBUNALE DI ARIANO IRPINO Decr. 13 dicembre 2006. Pres. Perretti - Est. Scarlato - X c. Y.

Amministratore - Giudiziario - Nomina - Presupposti - Carenza quorum deliberativo. Amministratore - Giudiziario - Ricorso ex art. 1129 c.c. - Proposto dai singoli condomini - Patrocinio legale - Necessità - Esclusione.

Nel caso in cui l'amministratore abbia rassegnato le dimissioni e l'assemblea non possa procedere alla sostituzione per il mancato raggiungimento del quorum deliberativo, i condomini sono legittimati a ricorrere al giudice camerale perché nomini un amministratore giudiziario ex art. 1129 c.c. (C.c., art. 1129) (1). Il ricorso per la nomina dell'amministratore giudiziario può essere proposto anche personalmente dai singoli condomini senza il patrocinio di un avvocato in quanto procedimento camerale rientrante nell'ambito della volontaria giurisdizione. (C.c., art. 1129; c.p.c., art. 82; c.p.c., art. 737) (2).

    (1) In termini cfr. Trib. Torino 29 novembre 2000, in Giur. merito 2001, 631.

(2) In tema non constano recenti precedenti editi. Esclude l'obbligo del patrocinio legale nell'ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione Cass. civ. 3 luglio 1987, n. 5814, in Giust. civ., 1988, 743.

(Omissis). - Visto il ricorso con il quale quindici proprietari di appartamenti facenti parte del Condominio «Taurus» di Mirabella Eclano via Cupa S. Pasquale hanno richiesto la nomina di un amministratore giudiziario in quanto, a seguito delle dimissioni di quello in carica, l'assemblea convocata per il 25 luglio 2006 per la nomina del nuovo amministratore non aveva potuto deliberare sul punto per carenza del numero legale; rilevato che l'assunto è comprovato dalla prodotta copia del verbale di assemblea; ritenuto che ricorrono le condizioni perché l'istanza possa trovare ingresso. (Omissis).

@TRIBUNALE DI PADOVA Sez. II, ord. 13 dicembre 2006. Est. Beghini - X c. Y.

Canone - Morosità - Sanatoria - Conduttore ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato - Mancata osservanza del termine concessogli ex art. 55 L. n. 392/78 - Conseguenze - Revoca del beneficio e definita convalida dello sfratto.

Va revocata l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato del conduttore di immobile ad uso abitativo che, chiesto ed ottenuto il termine per sanare la morosità ex art. 55 L. n. 392/78, poi non lo osserva. (L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55; D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 136) (1).

    (1) A parte la giurisprudenza indicata in parte motiva - peraltro inedita - non si rinvengono altri precedenti giurisprudenziali.

Il Giudice: - letti gli atti del proc. n. 8942/2006 relativi al patrocinio a spese dello Stato (artt. 74 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), in merito all'istanza di liquidazione avanzata dal difensore (della parte intimata) avv. A.B.;

- premesso che l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è stata deliberata dall'Ordine degli avvocati di Padova solo in via provvisoria (art. 126 del D.P.R. cit.);

- evidenziato infatti che se nel corso del processo sopravvengono modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini dell'ammissione al patrocinio, il magistrato che procede revoca il provvedimento di ammissione. Con decreto il magistrato revoca l'ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal Consiglio dell'ordine degli avvocati, se risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. La revoca ha effetto dal momento dell'accertamento delle modificazioni reddituali, indicato nel provvedimento del magistrato; in tutti gli altri casi ha efficacia retroattiva (art. 136 del D.P.R. cit.);

- constatato che, nella fattispecie concreta, la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, è stata convenuta in giudizio mediante intimazione di sfratto per morosità nel pagamento del canone di locazione e degli oneri accessori. Alla prima udienza, essa ha chiesto di poter sanare la morosità nel termine previsto dall'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392. Dopo essere stata ammessa a tale speciale procedura, essa non ha tuttavia provveduto al pagamento, con la conseguenza che lo sfratto per morosità è stato definitivamente convalidato;

- ritenuto necessario chiedersi se, alla luce di tale comportamento processuale, possa ritenersi che la parte intimata abbia resistito in giudizio con dolo o colpa grave;

- dato atto che, secondo altra giurisprudenza di questa stessa sezione, «il mero fatto dell'omissione della sanatoria della morosità non è sufficiente per affermare che fin dal momento della formulazione della relativa istanza l'intimata fosse consapevole di non volere o di non poter pagare il debito nel termine previsto dalla legge ed assegnato dal giudice, o che dovesse esserlo con l'impiego di un minimo di diligenza, il che integrerebbe un'ipotesi di difesa temeraria» (v. ord. 29 novembre 2006 emessa nel proc. n. 598/2006 RR);

- ritenuto che tale indirizzo interpretativo non sia condivisibile. Premesso infatti che la nozione di dolo e colpa grave di cui al cit. art. 136 non può che coincidere con quella menzionata - in tema di responsabilità aggravata - dall'art. 96, primo comma, c.p.c., può essere utile ricordare che, secondo autorevole dottrina, «lite temeraria è la lite la cui ingiustizia è più completa, perché sta nell'animo stesso del litigante: la temerità è la coscienza dell'ingiusto, dell'aver torto. L'animo del litigante sfugge per sua natura all'inda gine diretta: e però l'indagine si basa sulle presunzioni che nascono dalla natura stessa del litigio. Quando la pretesa o la resistenza è così infondata, così chiaramente infondata, da apparir tale a chiunque ed allo stesso litigante, pur tenendogli conto dell'accecamento prodottogli dall'interesse, diciamo che quel litigante è temerario. Si presume che costui abbia fatto la lite conoscendo d'aver torto; non è...

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