Giurisprudenza di legittimitá

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 12 febbraio 2003, n. 319 (c.c. 28 gennaio 2003). Pres. Teresi - Est. Fazzioli - P.G. Palombarini (conf.) - Ric. Rizzitano.

Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilità - Gravi indizi di colpevolezza - Nozione - Conseguenze - Dichiarazioni di persone informate sui fatti riferiti dalla P.G. - Utilizzabilità a fini cautelari.

I gravi indizi di colpevolezza richiesti dall'art. 273, comma 1, c.p.p., per l'applicazione ed il mantenimento di misure cautelari personali possono essere ricavati da qualsiasi elemento di indagine, con esclusione soltanto di quelli che non hanno, fin dall'origine, alcuna possibilità di divenire prove nel dibattimento. Ne deriva che, ai fini cautelari, possono essere utilizzate anche dichiarazioni di persone informate sui fatti riferite dalla polizia giudiziaria, relativamente alle quali opererebbe, in dibattimento, il divieto di testimonianza de relato di cui all'art. 195, comma 4, c.p.p., non essendovi ragione di dubitare che dette dichiarazioni abbiano un'alta probabilità di divenire prove in sede dibattimentale, mediante l'assunzione come testimone della persona dalla quale esse sono state rese. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 273; c.p.p., art. 195) (1).

    (1) Nel medesimo senso, Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 1997, Curlo, in questa Rivista 1997, 1022, con nota di riferimenti giurisprudenziali cui si rinvia; Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 1994, Chillè, ivi 1994, 1297.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECI-SIONE. 1. - Con ordinanza del 18 aprile 2002 il Tribunale di Messina confermava la misura della custodia cautelare in carcere disposta in data 10 aprile 2002 dal Gip dello stesso tribunale nei confronti di Rizzitano Giuseppe indagato per il delitto di tentato omicidio aggravato nei confronti di Cara Silvestro e dei connessi reati di detenzione e porto di arma da fuoco.

  1. - Ha proposto ricorso per cassazione il Rizzitano, con atto personalmente sottoscritto, denunziando:

    a) la violazione dell'art. 309, comma 5, c.p.p. in quanto il P.M. non ha provveduto a trasmettere gli atti relativi ad una rapina a danno dello stesso Cara, dalla quale sarebbe risultato che il Cara aveva reagito ferendo con un coltello il Rizzitano, nonché «gli atti inerenti all'accertamento tecnico finalizzato al prelievo delle particelle/residui di polvere da sparo eseguiti sul Rizzitano e degli atti relativi al coindagato Triolo Salvatore».

    Omissione tanto più importante in quanto tali atti costituirebbero l'antefatto di quello per cui è processo e porterebbero a configurare, in quanto indagato di reato connesso, diversamente la posizione del Cara;

    b) la violazione dell'art. 195, comma 7, c.p.p. per avere utilizzato ai fini della valutazione della gravità degli indizi le confidenze del Cara che intendeva mantenere l'anonimato.

    Tali dichiarazioni, peraltro, non avrebbero potuto essere utilizzate neanche ai sensi dell'art. 195, comma 4, c.p.p. non essendo consentito agli ufficiali ed agli agenti di P.G. di deporre sulle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità di cui agli artt. 357, comma 3, c.p.p.;

    c) la violazione dell'art. 267 c.p.p. poiché il decreto con il quale sono state disposte le intercettazioni nei confronti del Cara non sarebbe motivato con particolare riferimento all'urgenza ed alla «assoluta necessità ai fini della prosecuzione delle indagini», in quanto «essendovi già indizi di reato a carico del ricorrente, trattavasi soltanto di acquisire elementi di prova, altrimenti non acquisibili».

  2. - I motivi di ricorso sono infondati.

    L'art. 309, comma 5, c.p.p. impone all'autorità giudiziaria procedente di trasmettere tutti gli atti presentati a norma dell'art. 291, comma 1, c.p.p. e gli elementi sopravvenuti favorevoli all'indagato.

    Nel caso di specie il tribunale ha affermato, e la circostanza non è contraddetta dal ricorrente, che il P.M. ha trasmesso tutti gli atti di cui all'art. 291, comma 1, c.p.p. (peraltro, l'ordinanza di custodia cautelare venne emessa contestualmente alla mancata convalida del fermo di P.G.), per cui non si ravvisa la violazione dell'art. 309, comma 5, c.p.p. Va aggiunto che se per finalità difensive il ricorrente avesse voluto ampliare il tema di indagine che per il tribunale era rappresentato soltanto dai fatti risultanti dagli atti di cui all'art. 291, comma 1, c.p.p., avrebbe potuto, come correttamente affermato nell'ordinanza impugnata, chiedere formalmente l'acquisizione degli atti del diverso procedimento, ovvero esibirli direttamente all'udienza camerale, essendo espressamente previsto dall'art. 309, comma 10, che il tribunale decida «anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza».

    Quanto poi alla omessa trasmissione degli atti concernenti il prelievo degli stubs, non può che confermarsi la statuizione del tribunale, avendo questa Corte affermato, con giurisprudenza consolidata, che «gli elementi favorevoli, menzionati nell'art. 309, comma 5, c.p.p., non possono consistere in mere asserzioni difensive, ... dovendo, invece, concretarsi in specifici elementi fattuali, di natura oggettiva e sopravvenuti alla richiesta del P.M., che servano in concreto a discolpare l'indagato». Circostanza che non ricorre nel caso di specie, essendo il verbale di prelievo degli stubs un atto del tutto neutro.

    Con riferimento alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal Cara occorre tenere presente che l'art. 273 c.p.p. non richiede per la emissione delle misure cautelari la prova della responsabilità della persona sottoposta alle indagini, ma soltanto la sussistenza a suo carico di gravi indizi di colpevolezza. Questi consistono negli «elementi» raccolti dalla P.G. o dal P.M., nelle forme previste dalle disposizioni che li regolano, dei quali il giudice è chiamato a valutarne la «gravità», non soltanto con riferimento alla loro Page 116 «forza persuasiva» in ordine alla colpevolezza dell'indagato, ma anche con riferimento al grado di probabilità che tali elementi possano divenire prove nel dibattimento.

    La misura cautelare, infatti, in tanto può essere applicata in quanto per ragioni di ordine pubblico, indicate tassativamente dall'art. 274 c.p.p., si renda necessario anticipare l'esecuzione di una sentenza di condanna, con la conseguenza che nessuna misura può essere disposta (vedi al riguardo gli artt. 275, comma 2 e 2 bis, c.p.p.), allorché il giudice, con una valutazione resa allo stato degli atti, ritenga che gli elementi raccolti non siano idonei, anche se diverranno prove, a persuadere della colpevolezza del soggetto indagato ovvero che non potranno essere, per difetti intrinseci o per disposizione di legge, utilizzati ai fini della formazione della prova.

    Ne deriva, come si desume da una lettura coordinata dall'art. 273, comma 1 e 1 bis, c.p.p., che il giudice può utilizzare ai fini del giudizio sulla gravità degli indizi qualsiasi elemento di indagine con esclusione soltanto di quelli, indicati espressamente dall'art. 273, comma 2, c.p.p. che non hanno, sin dall'origine, alcuna possibilità di divenire prove nel dibattimento per cui ogni limitazione della libertà personale disposta sulla loro base risulterebbe chiaramente illegittima.

    Le dichiarazioni del Cara non rientrano in nessuna delle ipotesi indicate dall'art. 273, comma 2. Il Cara, infatti, non è un confidente della polizia giudiziaria (art. 203 c.p.p.), non essendosi mai i carabinieri rifiutati di fare il suo nome ed avendo anzi richiesto ed ottenuto di intercettarne le conversazioni proprio al fine di indurlo a testimoniare; non rientra neanche nel divieto di utilizzazione della testimonianza indiretta prevista dall'art. 195, comma 7, c.p.p. in quanto il Cara deve riferire su fatti di cui è a diretta conoscenza, trattandosi di persona informata dei fatti in quanto soggetto passivo e persona offesa dal delitto di tentato omicidio.

    Non è applicabile, infine, limitatamente alla posizione del Cara la disposizione dell'art. 195, comma 4, c.p.p. Il divieto che il suddetto articolo pone alla polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese da persone informate dei fatti costituisce una evidente applicazione del principio che la prova deve essere formata in dibattimento nel contraddittorio delle parti.

    Si è in presenza, quindi, di una inutilizzabilità assoluta, ma non originaria di un elemento di prova. Le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, non riversate in una testimonianza, non possono, infatti, confluire nel dibattimento neanche sotto la forma di testimonianza de relato da parte della polizia giudiziaria. Siffatta inutilizzabilità non implica, tuttavia, che le notizie assunte dalla polizia giudiziaria nell'esercizio di una attività tipica di indagine non siano elementi di prova utilizzabili ai fini della valutazione della gravità degli indizi atteso che non vi è alcuna ragione per dubitare che tali elementi abbiano un'alta probabilità di divenire prove nel dibattimento attraverso l'assunzione della persona informata dei fatti come testimone.

    Non specifico ed infondato è, infine, il motivo concernente il difetto di motivazione del provvedimento con il quale sono state autorizzate le intercettazioni ambientali.

    Il ricorrente, infatti, avrebbe dovuto indicare puntualmente le ragioni per le quali la motivazione per relationem, nelle specie adottata, non dava conto - a suo avviso - della esistenza dei presupposti (assoluta necessità ai fini della prosecuzione delle indagini) richiesti dalla legge, anziché limitarsi ad una generica denunzia del decreto del Gip; la circostanza, poi, che fosse noto l'autore del reato non impediva certamente di chiedere ed ottenere l'autorizzazione ad effettuare intercettazioni, in quanto la «prosecuzione delle indagini» può rilevarsi assolutamente indispensabile, non soltanto per individuare l'autore del reato ma per acquisire ulteriori elementi di colpevolezza nei confronti di persona già indagata.

    Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato...

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