Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 24 febbraio 2004, n. 7762 (ud. 29 gennaio 2004). Pres. Savignano - Est. Novarese - P.M. D'Angelo (diff.)Ric. Paginoni.

Lavoro subordinato - Intermediazione (divieto) - Appalto di mano d'opera - Appalto apparente di mere prestazioni - Reato - Configurabilità - Utilizzazione di attrezzature del committente - Rilevanza - Esclusione.

L'appalto apparente di mere prestazioni di mano d'opera, già previsto come reato dall'art. 1 dell'abrogata legge 23 ottobre 1960 n. 1369, costituisce reato anche ai sensi dell'art. 18 del vigente D.L.vo 10 dicembre 2003 n. 276, giacché realizza una fornitura illecita di prestazioni lavorative, dovendosi peraltro escludere che, ai fini della configurabilità dell'illecito (a differenza di quanto avveniva in passato), possa attribuirsi rilievo alla circostanza che l'appaltatore utilizzi macchine ed attrezzature di proprietà del committente. (Mass. Redaz.). (L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1; D.L.vo 10 settembre 2003, n. 276, art. 18) (1).

II

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 26 gennaio 2004, n. 2583 (ud. 11 novembre 2003). Pres. Raimondi - Est. Onorato - P.M. Izzo (conf.) - Ric. Marinig.

Lavoro subordinato - Intermediazione (divieto) - Appalto di mano d'opera - Appalto di mere prestazioni - Utilizzazione di attrezzature del committente - Reato - Configurabilità - Esclusione.

In tema di collocamento della mano d'opera, l'appalto di mere prestazioni di lavoro, con impiego di capitali, macchine ed attrezzature forniti dal committente, già punibile ai sensi dell'art. 1, comma terzo, dell'abrogata legge 23 ottobre 1960 n. 1369, resta punibile anche ai sensi dell'art. 18 del vigente D.L.vo 10 settembre 2003 n. 276, in quanto qualificabile come somministrazione di lavoro esercitata da soggetto non abilitato o fuori dei casi consentiti. (Nella specie, peraltro, la Corte ha ritenuto che erroneamente fosse stata configurato, dal giudice di merito, ancora nella vigenza della legge n. 1369/1960, l'appalto di mere prestazioni di lavoro, trattandosi invece di legittimo appalto di servizio, ed ha pertanto annullato senza rinvio la sentenza di condanna). (Mass. Redaz.). (L. 23 ottobre 1969, n. 1369, art. 1; D.L.vo 10 settembre 2003, n. 276, art. 18) (2).

    (1, 2) Prima dell'entrata in vigore della c.d. riforma Biagi, secondo Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 1998, Exner ed altro, in Giust. pen. 2000, II, 57, il reato di cui all'art. 1 L. 23 ottobre 1960 n. 1369 si configurava in tutti quei casi in cui l'impresa appaltatrice esauriva la propria prestazione nella messa a disposizione di manodopera alle sue dipendenze, ponendo in essere un appalto di mere prestazioni di lavoro, vietato, anche se trattava di società cooperative, la cui caratteristica essenziale è l'assunzione diretta della funzione imprenditoriale da parte dei lavoratori. Né la L. n. 1369 è stata abrogata da quella del 24 giugno 1997 n. 196, in materia di promozione dell'occupazione, la quale, nell'introdurre il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo nei casi espressamente previsti, ne ha richiamato, all'art. 10, le norme sanzionatorie. Secondo Cass. pen., sez. III, 4 giugno 1997, Gasparoli, in questa Rivista 1997, 1124, la circostanza che l'imprenditore fornisca all'interposto capitali, macchine ed attrezzature non esaurisce ogni possibile forma di interposizione vietata, in quanto l'illecito ben può configurarsi anche in mancanza della fornitura degli anzidetti fattori di produzione. In particolare, nel caso di prestazione di servizi, fondamentale è il riferimento al requisito dell'autonomia di gestione e di organizzazione, la cui mancanza non può collocare il negozio tra quelli vietati. La verifica deve sicuramente riguardare l'assunzione del rischio economico d'impresa in capo all'appaltatore, ma deve altresì concernere la configurazione delle organizzazioni imprenditoriali dell'appaltante e dell'appaltatore al fine di riscontrare se i lavoratori impiegati per il raggiungimento dei risultati cui si ricollega il servizio contrattualmente assunto siano effettivamente diretti dallo stesso appaltatore ed agiscano realmente alle sue dipendenze e nel di lui interesse: fra i parametri di individuazione dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato - caratterizzato ex art. 2094 c.c. dalla prestazione dell'attività lavorativa «alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore» - particolare rilevanza assumono, infatti, l'inserimento della prestazione nella struttura organizzativa dell'impresa, la sottoposizione del lavoratore alle direttive ed al controllo dell'imprenditore, il vincolo dell'orario di lavoro. In dottrina si segnala: M. PAPALEONI, Intermediazione di mano d'opera: sanzionabilità penale, in Mass. giur. lav. 1999, II, 992.


I

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Paganoni Luigi ha proposto appello qualificato ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio, emessa il 14 gennaio 2003, con la quale veniva condannato per il reato di appalto di mere prestazioni di lavoro mediante l'impiego di manodopera fornita dalla ditta appaltatrice di tal Sergio Ferrario, deducendo quali motivi l'erronea determinazione della pena finale, giacché si trattava dell'impiego di soli cinque lavoratori e non di otto, e la carenza di motivazione, poiché non è stato dato conto dell'arco temporale preso in considerazione, da ritenersi elemento costitutivo del reato, in quanto sullo stesso è parametrata la pena proporzionale.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il ricorso è fondato per ragioni del tutto diverse da quelle addotte, anche se i motivi, soprattutto l'ultimo, non appaiono manifestamente infondati, pur se non accoglibili, sicché è possibile tener conto della mutata normativa in base al D.L.vo n. 276 del 2003, onde la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

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Infatti, secondo quanto appare dall'impugnata pronuncia la responsabilità del ricorrente a titolo di concorso è stata ritenuta per l'effettuazione di un appalto di manodopera, perché sul luogo di lavoro non esistevano attrezzature particolari riferibili al subappaltatore (ditta Ferrario) e nel relativo contratto «non vi è alcun riferimento alle attrezzature che quest'ultima doveva mettere a disposizione per la realizzazione delle opere di scavo che erano state commissionate».

Orbene, un'importante decisione delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 16 giugno 2003, n. 25887, Giordano ed altri, RV 224607) ha affermato che in tema di successione di leggi penali l'applicazione dell'art. 2 c.p. va verificata in base al criterio di coincidenza strutturale fra le fattispecie previste dalle leggi succedutesi nel tempo, senza che sia necessario, di regola, fare ricorso ai criteri valutativi del bene tutelato o delle modalità dell'offesa.

Inoltre, prestigiosi teorici in vari saggi hanno affermato che «il bene giuridico non può e non deve assumere alcuna rilevanza nella definizione delle leggi successorie: non può, perché la specialità della nuova fattispecie non può che ruotare nell'orbita della precedente disposizione generale; non deve, perché la soluzione di un problema di legalità formale (qual è quello posto da una vicenda successoria) non deve dipendere da un... giudizio di valore «sostanziale».

Pertanto questa pronuncia, sebbene non assuma alcun effetto tranciante di precedenti decisioni delle stesse Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 7 novembre 2000 n. 27, Di Mauro ed altro; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2001 n. 35, Sagone e Cass., Sez. Un., 11 settembre 2001 n. 3539, Donatelli), supera il criterio del mutamento del bene giuridico protetto per accertare l'abrogazione o la continuità normativa di disposizioni, recependo le critiche avanzate da illustri giuristi in alcune monografie al criterio assunto dalle due sentenze in tema di reati tributari, anche se, in contrasto con quanto asserito da significative voci dottrinali, asserisce che pure in base ad un esame logico-strutturale delle norme in successione poteva desumersi l'assenza di continuità normativa per i reati di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti inserite in dichiarazioni ai fini Iva, poiché per quelle immesse nella dichiarazione dei redditi dispone già l'art. 4, lett. f), L. n. 516 del 1982 (cfr. contra la possibilità di configurare il reato Cass., sez. II, 27 gennaio 2003 n. 27849, Casale, RV 225856 e Cass., sez. III, 3 luglio 2000 n. 7632, Bosco, RV 216994), e della contravvenzione di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi ed Iva, da parecchi studiosi, ritenuta in continuità normativa con il delitto di cui all'art. 5 D.L.vo n. 74 del 2000, limitatamente ad alcune ipotesi.

Infatti, secondo quanto del resto assume la indicata sentenza del 2003 delle Sezioni Unite, la successione di leggi si configura pure nel caso in cui la legge posteriore sia speciale per aggiunta vale a dire per la presenza in essi di elementi ulteriori ed eterogenei.

Peraltro, non assumono un rilievo particolare l'affermata abrogazione della legge n. 1369 del 1960 ad opera dell'art. 85 del D.L.vo n. 276 del 2003 né le considerazioni di qualche commentatore sulle «nuove» sanzioni previste dal citato decreto legislativo, attuativo di una «rivoluzione copernicana», e sulla differente filosofia cui è senza dubbio ispirata la c.d. riforma Biagi, giacché si potrebbe essere in presenza di un fenomeno di abolitio sine abrogatione non infrequente in quest'ultimo periodo, nonostante venga messa in discussione la centralità del divieto di interposizione nel funzionamento complessivo del sistema, anche se la coincidenza tra titolarità del rapporto di lavoro ed utilizzazione della prestazione non può essere fittizia.

Ed invero, secondo quanto già affermato da questa Corte (Cass., sez. III, 23 gennaio 2003 n. 3162, Hoxha, in Guida dir. 2003, n. 7, 76) e confermato in maniera chiara dalla decisione delle Sezioni Unite su riferita, ai fini del fenomeno della...

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