Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine603-642

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 1 aprile 2004, n. 15464 (ud. 12 febbraio 2004). Pres. Savignano - Est. Zumbo - P.M. Consolo (conf.) Ric. M.

Violenza sessuale - Elemento oggettivo - Soggetto passivo costretto a compiere atti di autoerotismo - Configurabilità del reato - Ammissibilità.

L'attuale concetto di «atto sessuale», al quale si richiama l'art. 609 bis c.p., è semplicemente la somma dei previgenti concetti di congiunzione carnale e di atti di libidine, sicché esso non comprende quegli atti o comportamenti che, pur essendo espressione di istinto sessuale, non si risolvano in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggettivo passivo o comunque in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest'ultimo. Rimangono quindi esclusi dalla categoria degli atti sessuali, quali previsti dalla norma anzidetta, quelli che offendono soltanto la libertà morale della vittima ovvero il sentimento pubblico del pudore (come nel caso dell'esibizionismo o dell'autoerotismo cui altri siano costretti ad assistere), mentre vi rientrano quei comportamenti idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo, come si verifica quando quest'ultimo sia costretto a compiere atti di autoerotismo. (Nella specie, in applicazione di tali principi, è stata ritenuta la configurabilità del reato in un caso in cui l'agente aveva indotto ad atti di autoerotismo soggetti minori degli anni 14, comunicando con essi a mezzo del telefono). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 609 bis) (1).

    (1) Nello stesso senso, si veda Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1999, Carnevali, in questa Rivista 2000, 31, secondo cui la nozione di «atti sessuali» cui fa riferimento l'art. 609 bis c.p., nasce dalla semplice somma delle due nozioni di congiunzione carnale e di atti di libidine che la legislazione previgente considerava e disciplinava separatamente. Essa, quindi non può non comportare - così come la comportavano le due distinte nozioni preesistenti - un coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa. Non possono quindi qualificarsi come «atti sessuali», nel senso richiesto dalla suddetta norma incriminatrice, tutti quegli atti i quali, pur essendo espressivi di concupiscenza sessuale, siano però inidonei (come nel caso dell'esibizionismo, dell'autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad assistervi o del voyeurismo), ad intaccare la sfera della sessualità fisica della vittima, comportando essi soltanto offesa alla libertà morale di quest'ultima al sentimento pubblico del pudore.



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECI-SIONE. - Con sentenza in data 27 febbraio 2003, la Corte di appello di Lecce condannava G.M. alla pena di anni 4 di reclusione per i reati di cui agli artt. 609 bis, 609 ter, 660 c.p.

L'imputato proponeva ricorso per erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione sostenendo che non è possibile individuare nella sua condotta il compimento di atti sessuali non essendovi stato alcun contatto fisico con i soggetti passivi dei reati data la non contestuale presenza nello stesso luogo in quanto i fatti si erano verificati facendo uso del telefono e che, comunque, non sussisteva l'abuso delle condizioni di inferiorità psichica; si eccepiva, poi, la mancata concessione dell'attenuante del caso di minore gravità.

Sub I - Il primo motivo di ricorso attiene alla definizione ed alla estensione del concetto di atti sessuali, che sono elemento essenziale della condotta prevista e punita dall'art. 609 bis c.p., introdotto dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66.

Una delle innovazioni più importanti della nuova legge, che ha elaborato una nuova disciplina della violenza sessuale, riguarda il concetto di «atti sessuali», col quale è stata abolita la distinzione, propria degli abrogati artt. 519 e 521 c.p., tra congiunzione carnale e atti di libidine violenti. Secondo la dottrina più autorevole e la consolidata giurisprudenza, per congiunzione carnale si intendeva qualsiasi forma di compenetrazione tra organi genitali di una persona e il corpo di un'altra, così da rendere possibile il coito in qualsiasi forma, normale o anormale. Per atto di libidine, invece, si intendeva qualsiasi manomissione del corpo altrui, diverso dalla congiunzione carnale, suscettibile di eccitare la concupiscenza carnale.

Pertanto, non soltanto per la congiunzione carnale, ma anche per gli atti di libidine era ritenuto, comunque, necessario un contatto corporeo.

L'art. 519 prevedeva, infatti, la congiunzione carnale violenta su «taluno».

Il primo comma dell'art. 521 c.p. prevedeva atti di libidine commessi dal colpevole su «taluno», mentre il secondo comma dello stesso articolo prevedeva atti di libidine che il soggetto passivo era costretto a compiere «su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri».

Erano esclusi dagli atti di libidine previsti e puniti dall'art. 521 quelli compiuti dal soggetto attivo su se stesso (masturbazione, esibizionismo) o su terzi, senza concorso del soggetto passivo, sia pure in presenza di costui (potendo semmai, in questi casi essere integrati i diversi reati di atti osceni, corruzione di minorenne o violenza privata).

La legge n. 66/1996, soprattutto per evitare alla vittima quelle odiose e invasive indagini processuali necessarie per accertare la sussistenza del reato di cui all'art. 519 o del reato di cui all'art. 521, ma anche nella convinzione che la lesione della libertà sessuale ha una gravità intrinseca che prescinde dal grado di intrusione corporale subìto dalla vittima, ha abolito la distinzione tra congiunzione carnale e altri atti di libidine, unificando le due nozioni in quella più generale di atti sessuali.

La legge non ha allargato la nozione che ne risulta oltre i confini delle due nozioni di partenza; il concetto attuale di atti sessuali è semplicemente la somma dei concetti previgenti di congiunzione carnale e atti di libidine, sicché esso non comprende anche quegli atti o comportamenti che, pur essendo espressione di istinto sessuale, non si risolvano inPage 604 un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo o comunque non coinvolgano la corporeità sessuale di quest'ultimo.

Nessun criterio ermeneutico può giustificare un'interpretazione allargata del concetto di atti sessuali introdotto dalla nuova legge, che prescinda dal coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa. Non quello letterale, se si considera che l'art. 609 bis c.p. punisce chiunque, con violenza o minaccia o abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Basta un attento esame comparativo per concludere che questa formulazione non fa che compendiare sinteticamente quella precedente dell'art. 519 (chiunque costringe taluno a congiunzione carnale) e quella dell'art. 521 (chiunque commette su taluno atti di libidine, ovvero costringe taluno a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri). In tutti i casi, quindi, compiere o subire atti sessuali implica un coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa.

Il fondamentale e ben noto mutamento dell'oggetto giuridico dei reati di violenza sessuale, compiuto dalla legge n. 66/1996, ha comportato la sottrazione di detti reati alla sfera della moralità pubblica e del buon costume (titolo IX del codice) e la loro inclusione nella categoria di delitti contro la persona (titolo XII) e più specificamente dei delitti contro la libertà individuale (capo III). Ma tale mutamento della oggettività giuridica non ha abolito la distinzione tra quella sottocategoria di libertà individuale che è la libertà personale, o più esattamente la libertà di autodeterminazione fisica tutelata dalla sezione II del predetto capo III, e l'altra sottocategoria che è la libertà morale tutelata dalla sezione III dello stesso capo III. Così come non ha obliterato, ma anzi ha sottolineato, la distinzione tra il bene giuridico della libertà di autodeterminazione sessuale e quello della moralità pubblica e del buon costume (ancora tutelato dai capi residui del titolo IX). Si vuol sottolineare con ciò che, col nuovo inquadramento introdotto dalla legge 66/1996, i reati di violenza sessuale di cui agli artt. 609 bis e seguenti offendono la libertà personale intesa come libertà di autodeterminazione della propria corporeità sessuale, e non già la libertà morale della persona oppure il pudore e l'onore sessuale come specificazioni della moralità pubblica e del buon costume.

Ne consegue che non ogni atto espressivo della concupiscenza dell'agente configura un atto sessuale idoneo a ledere la libertà di determinazione sessuale del soggetto passivo, giacché non è tale, e quindi non integra il reato di cui all'art. 609 bis c.p., quell'atto di concupiscenza che non intacca la sfera della sessualità fisica della vittima, ma offende soltanto la sua libertà morale ovvero il sentimento pubblico del pudore. In altri termini, un gesto di esibizionismo sessuale o un atto di autoerotismo compiuti davanti a terze persone costrette ad assistervi, come tali (e quindi senza contatto con gli organi genitali o le zone erogene della persona offesa) non integrano il reato di violenza sessuale (di cui all'art. 609 bis c.p.), ma, alle dovute condizioni, possono integrare il delitto di atti osceni (art. 527 c.p.), o quello di violenza privata (art. 610 c.p.).

L'antigiuridicità della condotta propria del reato di cui all'art. 609 bis c.p. resta connotata da un requisito soggettivo (la finalizzazione al desiderio sessuale dell'agente) e da un requisito oggettivo (la concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e ad eccitare o sfogare l'istinto sessuale del soggetto attivo). Questa ricostruzione dommatica della nozione di atto sessuale quale elemento del reato di cui all'art. 609 bis c.p. è del tutto corretta e conforme ai principi suesposti, con la precisazione che l'atto...

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