Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine27-58

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. fer., 6 ottobre 2004, n. 39044 (c.c. 10 settembre 2004). Pres. Vitalone - Est. Palmieri - P.M. Iacoviello (diff.) - Ric. B.S.

Schiavitù - Riduzione in schiavitù - Estremi di configurabilità - Individuazione - Perseguimento di fini utilitaristici - Necessità - Fattispecie.

Ai fini della configurabilità del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, come pure di quello di acquisto di schiavi, quali previsti, rispettivamente, dagli artt. 600 e 602 c.p., nella loro attuale formulazione, le condotte ivi descritte debbono comunque essere caratterizzate dal perseguimento di fini utilitaristici da conseguire mediante la realizzazione di condizioni caratterizzate dalla compressione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, così che quest'ultimo risulti trasformato in semplice oggetto di sfruttamento economico o sessuale. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse rientrare nelle previsioni delle suddette norme incriminatrici la condotta di un soggetto il quale, al solo fine di potersi attribuire la paternità di un nascituro, onde poterlo poi tenere come figlio, aveva versato una somma di danaro ad un'organizzazione criminosa la quale aveva curato l'ingresso in Italia della madre del nascituro e, una volta avvenuto il parto, aveva fatto falsamente figurare il neonato come riconosciuto dall'aspirante padre). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 600; c.p., art. 602) (1).

    (1) In argomento si vedano Cass. pen., sez. I, 7 gennaio 2003, Ugbo, in questa Rivista 2003, 224 e Cass. pen., sez. III, 24 settembre 1999, Catalini, ivi 2000, 426 per la quale l'espressione «condizione analoga alla schiavitù», integrante un elemento normativo della fattispecie del reato di riduzione in schiavitù, non indica una situazione disciplinata in tassative previsioni legislative, diversamente la statuizione sarebbe inutiliter data, ma quella di fatto, parificabile al parametro legale di schiavitù, indicata nella Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926, resa esecutiva in Italia con R.D. 26 aprile 1928, n. 1723 come lo «stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o uno di essi»; situazione che la mutevole realtà può presentare con connotati volta a volta diversi ma fondamentalmente identici nell'ambito dei rapporti interpersonali, nei quali un individuo ha un potere pieno e incontrollato su un altro, assoggettato appunto al suo dominio. In dottrina, cfr. ROBERTO DI MARTINO, Servi sunt, immo homines. Schiavitù e condizione analoga nell'interpretazione di una corte di merito, in Foro it. 1994, II, 298.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - B.S. è imputato dei reati di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), alterazione di stato civile (art. 567, secondo comma, c.p.) ed associazione per delinquere, ex art. 416 c.p. Il reato è contestato in concorso con più persone, per quanto concerne la riduzione in schiavitù ed il reato associativo, e con tale B.M., per il solo profilo relativo alla alterazione di stato civile.

In punto di fatto, il B.S., apolide, con l'aiuto dell'omonimo ma non congiunto B.M., di nazionalità bulgara, avrebbe «acquistato» al fine di averla come figlia - non avendo costui, né potendo avere prole - verso il pagamento di una somma di circa novemila euro, una bambina nella fase ancora della gestazione, facendo immigrare dalla Bulgaria la madre I.N., e quindi facendola partorire in un ospedale di M.

Qui la donna, dopo il parto, ha rifiutato il riconoscimento della bambina che, quindi, è stata prontamente riconosciuta dal B.S., aspirante padre, con l'aiuto dell'intermediario B.M. (che ha operato nelle mentite vesti del primo), così realizzando, attraverso l'alterazione dello stato civile della neonata, anche il reato contestato sub specie di cui all'art. 600 c.p., nonché il reato associativo. Questo, secondo la tesi accusatoria.

Al disvelamento del fatto-reato gli investigatori sono pervenuti attraverso una vasta attività di indagine, e particolarmente per mezzo di intercettazioni telefoniche ed ambientali che hanno condotto alla scoperta di una rete organizzata ai fini del traffico di neonati dalla Bulgaria, verso famiglie interessate ad assicurarsi una prole per tale illecito mezzo.

Per la gravità dei fatti emersi, e per il periodo di reiterazione del reato, all'esito delle indagini, tutti i protagonisti della vicenda sono stati attinti da provvedimenti cautelari.

  1. - Dal fascicolo del relativo procedimento, successivamente stralciato, si evince la posizione cautelare dell'aspirante padre, B.S., detto «S.», dedotta ora innanzi a questa Corte Suprema in seguito a ricorso in sede cautelare.

    Questi, infatti, è stato raggiunto da provvedimento di custodia in carcere emesso dal Gip presso il Tribunale di Trieste in data 13 luglio 2004, nell'ambito del procedimento iscritto al n. 3228/2004 RGNR.

    In seguito ad istanza di riesame, il collegio per le misure cautelari di quel tribunale ha confermato la misura sulla base delle argomentazioni di cui si dirà.

    È opportuno, intanto, qui premettere che la difesa aveva eccepito: nullità dell'ordinanza per la mancata determinazione del termine ex art. 292/2, lettera d c.p.p. (in relazione al tempo entro il quale si sarebbero dovute esaurire le esigenze probatorie), mancata va-Page 28lutazione degli elementi difensivi prodotti in favore della posizione dell'indagato ed illegittimità delle acquisite intercettazioni telefoniche in relazione alla utilizzazione di impianti esterni all'ufficio di procura.

    Che ancora, e nel merito, la difesa del B. aveva contestato la correttezza della imputazione qualificata ex art. 600 c.p., mentre questa si sarebbe dovuta qualificare ex artt. 70 e 72 L. n. 184/1983 sulle adozioni, e successive modificazioni, e che, quanto al reato associativo, la fattispecie non doveva ritenersi integrata in considerazione del fatto che il B. «aspirante padre», lungi dal partecipare ad un programma stabile di natura criminosa, si era limitato a corrispondere una somma per la singola intermediazione, posta in essere dal B.M., al solo fine di poter attrarre la bambina nel proprio nucleo familiare come figlia, dal momento che egli non aveva figli e non poteva averne. Mentre le altre intercettazioni alle quali l'ordinanza impositiva faceva riferimento, quale supporto del fatto associativo, avevano ad oggetto invece il riconoscimento della qualità di figlio naturale - col fine di fargli acquisire la cittadinanza italiana - di altro cittadino straniero, rimasto privo di permesso di soggiorno, da parte di tale B.A. (deduzione, questa, supportata oltre che dalla produzione, in sede di udienza di riesame, del relativo attestato notarile di riconoscimento fra tali diversi soggetti, tutti estranei alla odierna vicenda, anche e segnatamente dalle circostanze del fatto in sè, e dalle ragioni che lo determinarono).

    Il collegio del riesame, per sua parte, ossrvava che: in ordine alla mancata determinazione del tempo di scadenza della misura ex art. 292, comma secondo lettera d), la questione doveva considerarsi priva di rilievo, atteso che la pluralità delle esigenze cautelari rappresentate nei confronti del ricorrente, ex art. 274 c.p.p., era tale da coprire comunque l'eventuale carenza relativa al profilo di cautela probatoria.

    Rilevava, inoltre, che gli elementi difensivi asseritamente pretermessi in ordinanza impositiva della misura, non concernevano, come ritenuto necessario dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, «allegazioni difensive contrastanti obiettivamente con gli elementi accusatori», ma, bensì, mere posizioni difensive negatorie, e tesi alternative. Da qui la irrilevanza di tale denunciata omissione, sulla base dell'insegnamento di questa Suprema Corte, ivi indicato.

    Quanto alla legittimità della espletata attività di intercettazione, e dunque alla utilizzabilità dei relativi apporti conoscitivi, rilevava la correttezza dei provvedimenti autorizzativi della utilizzazione di impianti esterni al competente ufficio di procura, per la verifica assenza dei vizi invalidanti denunciati in quella sede.

    Quanto, poi, alla esatta configurazione delle imputazioni - anche questa contestata dalla difesa dell'indagato nei termini qui prima accennati - il collegio cautelare, premetteva una ricostruzione dell'iter dei fatti, con particolare riferimento a quelli sussunti nell'ambito della imputazione di alterazione di stato civile.

    In sintesi, evidenziava come il percorso avesse preso lo spunto dal diniego della puerpera bulgara di riconoscere la bambina, articolandosi, poi, attraverso l'intervento ulteriore dell'intermediario B.M. che «aveva riconosciuto la neonata V., agendo come intermediario di B.S. e fornendo le generalità di quest'ultimo», ed in ultimo, mediante la compilazione del falso atto di nascita di V., quale figlia di madre che non vuole essere riconosciuta, e del B.S. che, invece, ne aveva falsamente riconosciuto la paternità naturale, presso l'Ufficio dello stato civile di M. in data 27 maggio 2004.

    Sottolineava inoltre, il collegio del riesame - in relazione al profilo di sussumibilità del fatto nell'ambito della norma di cui all'art. 600 c.p. - l'avvenuta acquisizione della prova di un trasferimento di danaro, riferito alla convenuta «compravendita», attraverso la W.U.

    A supporto del reato associativo, il tribunale rilevava analogo episodio avente ad oggetto l'«acquisto» di un neonato di sesso maschile a nome E., gestito attraverso il B.M., pur evidenziando come in tal caso «non risulta coinvolto direttamente l'odierno indagato» (p. 7 di ordinanza impugnata), ma ritenendo tuttavia la lricorrenza della doverosa gravità indiziaria in ordine al reato di cui all'art. 416 c.p. anche a carico di S.B. ...» sulla base di una conversazione telefonica, la n. 1802 del 16 giugno 2004, fra M. (intermediario) e S. (già «padre» di V.) nella quale si parla di un Rom romano che vuole vendere una bambina di nome M., e si...

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