Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine951-988

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 23 maggio 2005, n. 19473 (ud. 20 gennaio 2005). Pres. Calabrese - Est. Bruno - P.M. Meloni (parz. diff.) - Ric. Favotto.

Reato - Cause di giustificazione - Esercizio di attività sportiva - Inosservanza volontaria delle regole del gioco - Responsabilità per lesioni a titolo di colpa o di dolo - Discrimine - Individuazione - Fattispecie.

In tema di lesioni prodotte in occasione di competizioni agonistiche nelle quali sia anche richiesto l'impiego di forza fisica, la volontaria inosservanza delle regole che disciplinano dette competizioni può comportare responsabilità a titolo di dolo o a titolo di colpa a seconda che, rispettivamente, la circostanza di gioco sia stata solo l'occasione dell'azione volta a ledere, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica, anche per reazione a falli precedentemente subiti, ovvero la suddetta inosservanza sia stata finalizzata non a recare pregiudizi fisici all'avversario ma solo a conseguire, sia pure in forma illecita e, dunque, antisportiva, un obiettivo agonistico. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto qualificabili come lesioni colpose e non volontarie quelle prodotte al portiere di una squadra di calcio da una gomitata con la quale il medesimo era stato colpito da un giocatore avversario, determinato ad impossessarsi del pallone che il portiere aveva respinto in elevazione e stava ricadendo a terra). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 582) (1).

    (1) La precedente giurisprudenza sul punto è in linea con quanto affermato nella massima in epigrafe. Si veda Cass. pen., sez. V, 8 ottobre 1992, Lolli, in questa Rivista 1993, 723, per la quale, allorquando nel contesto di un'attività sportiva venga posta a repentaglio coscientemente l'incolumità del giocatore - che legittimamente si attende dall'avversario un comportamento agonistico anche rude, ma non esorbitante dal dovere di lealtà fino a trasmodare nel disprezzo per l'altrui integrità fisica - si verifica il superamento del cosiddetto rischio consentito e si profila, conseguentemente, una responsabilità per dolo o per colpa. Il fatto è doloso ove la gara sia solo l'occasione dell'azione volta a cagionare lesioni, è colposo se innestato nello svolgimento dell'attività agonistica e dipendente dalla violazione di norme regolamentari. Conforme anche la giurisprudenza di merito rappresentata da Trib. pen. Trento, sez. dist. Cavalese, 2 gennaio 2001, Alaimo, ivi 2001, 395.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza del 27 settembre 1999, il Tribunale di Venezia dichiarava Favotto Davide colpevole del reato di lesioni volontarie aggravate, ai sensi degli artt. 582, 583, comma 2, n. 3, c.p. (per avere cagionato a Dall'Armellina Andrea, colpendolo violentemente con una gomitata all'addome, nel corso di una partita di calcio, una lesione gravissima dalla quale derivava la perdita dell'uso dell'organo della milza) e - con la concessione delle attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata aggravante - lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da determinarsi in separata sede, con provvisionale liquidata in lire 20.515.600, oltre consequenziali statuizioni di legge. La vicenda processuale riguardava un episodio accaduto il 3 marzo 1995 durante un incontro di calcio del campionato Eccellenza tra le squadre Nuova Salzano e Jesolo 91. Sugli sviluppi di un calcio d'angolo, il Dall'Armellina, portiere del Jesolo, aveva respinto, in elevazione, il pallone e subito dopo, in fase di ricaduta, era stato colpito dal Favotto, giocatore avversario, con una gomitata all'addome. Immediatamente soccorso, lo stesso Dall'Armellina era stato trasportato all'Ospedale di Mirano dove, otto giorni dopo, aveva subito la splenectomia e la saturazione di una perforazione intestinale.

Pronunciando sul gravame proposto dal difensore dell'imputato, la Corte d'appello di Venezia riformava, in parte, l'appellata decisione, dichiarando non doversi procedere nei confronti del Favotto perché il reato ascrittogli era estinto per intervenuta prescrizione. Confermava le disposizioni relative all'azione civile, con ulteriori statuizioni di legge.

Avverso l'anzidetta pronuncia lo stesso difensore e l'imputato personalmente propongono ora distinti ricorsi per cassazione, deducendo le ragioni di censura in parte motiva indicate.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il primo motivo di ricorso proposto dal difensore denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla dinamica della vicenda, ricostruita sulla base di deposizioni testimoniali contrastanti e senza dar conto, peraltro, dei molteplici rilievi mossi nell'atto di appello.

Il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 606 lett. e) del codice di rito, nonché mancanza e, comunque, manifesta illogicità della motivazione in ordine a quella stessa dinamica, in palese contrasto con univoche risultanze testimoniali.

Il terzo motivo denuncia identica violazione dell'art. 606 lett. e) del codice di rito con riferimento alla ritenuta volontarietà della duplice lesione della milza e dell'intestino, nonostante le precise afferma-Page 952zioni del dr. Dall'Olivo, il chirurgo che aveva operato la parte offesa.

Il quarto motivo eccepisce la violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) del codice di rito in relazione agli artt. 50 e 51 c.p. ed alle cause di giustificazione non codificate; nonché errata interpretazione ed applicazione della legge penale od illogicità della motivazione. Contesta, in particolare, la qualificazione giuridica del fatto come reato doloso, insistendo, altresì, per la richiesta di applicazione delle scriminanti di cui agli artt. 50 e 51 c.p. (consenso dell'avente diritto ed esercizio di un diritto) ovvero di quelle, atipiche e non codificate, dell'esercizio dell'attività sportiva e dell'azione socialmente adeguata, sulla base, peraltro, di autorevoli insegnamenti di questo Giudice di legittimità.

Il quinto motivo denuncia violazione dell'art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 582, 590 c.p.; errata interpretazione ed applicazione della legge penale sul gradato rilievo che, nel caso di specie, sarebbe stata, semmai, ravvisabile una fattispecie colposa, ai sensi dell'art. 590 c.p.

Il primo motivo del ricorso proposto personalmente dall'imputato riproduce, in buona sostanza, le censure già espresse nel ricorso del difensore, sotto il profilo del difetto motivazionale, in ordine alla lettura delle risultanze testimoniali.

Il secondo motivo eccepisce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606, lett. b) del codice di rito, sul riflesso, fondato anche su diversi richiami giurisprudenziali di legittimità e di merito, che, nel caso di specie, sarebbe operante la scriminante del consenso dell'avente diritto nell'ambito del rischio consentito che ogni giocatore conosce ed accetta e che l'ordinamento non punisce per l'interesse pubblico sotteso alla pratica sportiva.

  1. - Le censure relative alla motivazione ed alla metodologia di lettura delle risultanze di causa, che sostanziano i motivi primo, secondo e terzo del ricorso proposto dal difensore ed il primo motivo del ricorso dell'imputato, valutate globalmente per identità di ratio, devono essere disattese in quanto si risolvono in censure di merito.

    Peraltro, la dinamica del sinistro, nelle sue particolari modalità, risulta delineata sulla base di un'argomentazione immune da incongruenze di sorta. Dal coacervo delle motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado, che, in quanto convergenti in punto di penale responsabilità, si integrano vicendevolmente, costituendo una sola entità giuridica, risulta infatti accertato che le gravi conseguenze fisiche patite dal Dall'Armellina sono riconducibili alla gomitata inferta dal Favotto, nel corso di un'azione di gioco. Il dato sostanziale, emerso pacificamente dalle risultanze processuali, al di là delle segnalate divergenze su particolari ininfluenti e marginali, depone incontrovertibilmente per l'ascrivibilità del fatto allo stesso imputato e per l'accidentalità dell'evento nell'ambito di un'ordinaria fase di gioco, non essendo emerso da alcunché che il colpo sia stato inferto deliberatamente od in un diverso contesto, vale a dire a gioco fermo, con lo specifico e diretto intendimento di aggredire la persona offesa.

    In questa sede di legittimità risultano, allora, insindacabili la ricostruzione della dinamica dell'incidente, la determinazione dell'evento lesivo e la sua riconducibilità all'azione violenza del Favotto. L'esistenza di un idoneo apparato giustificativo a fondamento della versione dei fatti prescelta dal giudice del merito non lascia, dunque, spazio all'apprezzamento delle doglianze di parte, neanche sotto il profilo scientifico relativo a natura ed eziologia delle lesioni riportate dalla persona offesa, a fronte delle dichiarazioni - giustamente valorizzate - del consulente di parte civile e del chirurgo che aveva operato il Dall'Armellina.

    Le censure di parte vanno, poi, disattese nella misura in cui, sono intese alla contestazione del mancato rilievo dell'art. 129 c.p.p., a fronte della causa estintiva maturata per decorso del termine prescrizionale, ed alla richiesta di relativa applicazione in questa sede di legittimità.

    È ius receptum, infatti, che l'art. 129 c.p.p. - come, del resto, è fatto palese dal significato letterale delle locuzioni usate dalla stessa norma - postula che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice debba privilegiare la pronuncia di proscioglimento nel merito, con formula corrispondente, soltanto quando dagli atti di causa risulti evidente - e, dunque, con rilievo percettivo ictu oculi - che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso e che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (cfr. Cass. n. 48527 del 18 novembre 2003, rv. 228505, secondo cui la valutazione che, in...

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