Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1053-1095

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 1 luglio 2005, n. 24562 (ud. 3 maggio 2005). Pres. Pizzuti - Est. Dubolino - P.M. Veneziano (diff.) - Ric. Mazzoni.

Falsità in atti - In atti pubblici - Falsità ideologica - Dichiarazione di inizio lavori - Relazione di accompagnamento - Difformità tra il descritto ed il realizzato - Responsabilità penale del professionista - Esclusione - Fondamento.

L'accertata difformità tra le opere realizzate e quelle descritte nella relazione che accompagna la dichiarazione di inizio lavori, quale già prevista dall'abrogato art. 26 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e, attualmente, dall'art. 23 del T.U. sull'edilizia approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, non comporta di per sè la configurabilità del reato di cui all'art. 481 c.p. a carico del professionista abilitato che sia stato autore della suddetta relazione, non essendo questa assimilabile, sotto il profilo in questione, ad un «certificato», dal momento che non si riferisce a dati certi e, almeno potenzialmente, verificabili nell'immediato, ma esaurisce la sua funzione con il rendere nota alla pubblica amministrazione l'intenzione di realizzare solo le opere in essa descritte ed al momento ancora inesistenti. (Mass. Redaz.). (L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 26; D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 23; c.p., art. 481) (1).

    (1) Di diverso avviso appare altro orientamento, tra cui Cass. pen., sez. V, 28 aprile 2000, Stenico, in questa Rivista 2000, 1064, secondo cui le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall'esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi. Ne consegue che rispondono del delitto previsto dall'articolo 481 c.p. il professionista che redige le planimetrie e la committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele. (Fattispecie relativa a progetto di modifica edilizia da cui emergeva una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi). Così anche Cass. pen., sez. V, 25 maggio 1993, Santachiara, ivi 1994, 798, secondo cui le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificati ed autorizzazioni, redatte - secondo le vigenti disposizioni - dall'esercente una professione necessitante speciale abilitazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione un'esatta informazione intorno allo stato dei luoghi. Risponde, pertanto, del delitto previsto dall'art. 481 c.p. il professionista che rediga relazioni grafiche (planimetrie) non conformi al predetto stato. (Fattispecie relativa a planimetrie formate da un geometra).


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con la sentenza di cui in epigrafe, in conferma, sul punto, di quella di primo grado pronunciata dal Tribunale di Prato l'8 luglio 2002, la Corte d'appello di Firenze ritenne Mazzoni Alberto responsabile del reato di cui all'art. 481 c.p. per avere, quale progettista e direttore dei lavori per opere edilizie da eseguirsi per conto di Caccia Alessandro, fornito, nella relazione tecnica allegata alla comunicazione prevista dall'art. 26 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, una descrizione di dette opere non conforme a quanto successivamente realizzato.

Ritenne la Corte territoriale a sostegno di tale decisione, che, contrariamente a quanto opinato dalla difesa, il reato de quo fosse giuridicamente configurabile anche in fattispecie come quella in discorso (oltre che, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso di false attestazioni circa lo stato dei luoghi, contenute in planimetrie allegate a pratiche edilizie), sulla base, in sintesi, dell'osservazione che l'asseverazione, da parte di un tecnico qualificato, delle opere da compiersi, quale richiesta dall'art. 26 della legge n. 47 del 1985, assolverebbe alla funzione di garantire che dette opere saranno conformi a quelle descritte nella relazione, così mettendo la pubblica amministrazione nella condizione di dar luogo ad una procedura semplificata rispetto a quella prevista per il rilascio dell'autorizzazione o della concessione; ragion per cui la falsità della suddetta asseverazione, inserendosi con determinante apporto causale nel procedimento amministrativo, non caratterizzato dalla esplicazione di alcuna ulteriore attività o da interazioni di sorta tra il privato e l'amministrazione, avrebbe l'effetto di trarre quest'ultima in errore, con danno per l'interesse pubblico; interpretazione, questa, che - si osserva ancora - troverebbe conferma anche in una decisione di questa Corte (sez. V, 3 dicembre 1987 n. 12108) secondo cui la falsità nella relazione prevista dall'art. 26 della legge n. 47/19885 darebbe addirittura luogo al più grave reato di cui all'art. 483 c.p.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato denunciando violazione di legge sull'assunto, in sintesi, che l'asseverazione in questione, siccome avente ad oggetto non fatti presenti o passati (come nel caso delle planimetrie attestanti lo stato dei luoghi), ma fatti futuri, non potrebbe in alcun modo rientrare nel novero delle «certificazioni» la cui falsità è prevista come reato dall'art. 481 c.p., né d'altra parte essa escluderebbe, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d'appello, la pos-Page 1054sibilità di effettuazione di controlli da parte dell'amministrazione, non chiamata, peraltro, ad adottare alcun provvedimento formale che possa, in quanto tale, risultare inficiato nelle sue premesse dalla falsa descrizione delle opere da eseguire; e ciò non senza considerare, in aggiunta, che, non essendo il tecnico autore della relazione descrittiva delle opere da eseguire gravato di alcun obbligo di successivo controllo circa la loro conformità al progetto, non sarebbe possibile ritenerlo investito di una funzione di garanzia che nel concreto dovrebbe invece implicare proprio l'effettuazione di continui e costanti controlli.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il ricorso è fondato. Come questa stessa Sezione ha già avuto modo, recentemente, di affermare (ud. 26 aprile 2005, in proc. a carico di Giordano Michele ed altri), in linea, del resto, con un sia pur remoto precedente (Cass. V, 28 giugno 2 ottobre 1978 n. 11565, Ortenzi), la riscontrata difformità tra opere eseguite ed opere descritte nella relazione prevista (fin quando è stato vigente) dall'art. 26 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, non può dar luogo alla configurabilità del reato di cui all'art. 481 c.p. Il «certificato», infatti, cui si riferisce la norma incriminatrice, non può, per sua natura, che avere ad oggetto fatti o situazioni materiali, suscettibili, come tali, di essere verificati nella loro oggettiva esistenza, presente o passata, dovendosi, per converso, escludere che possano essere oggetto di certificazione fatti o situazioni futuri, la cui realizzazione o meno dipenda dalla volontà dell'agente; ipotesi, quest'ultima, che è appunto quella che si verifica nel caso della relazione in questione, atteso che questa esaurisce la sua funzione con il rendere nota alla pubblica amministrazione l'intenzione di realizzare solo le opere in essa descritte, al momento ancora inesistenti, nulla rilevando che, ex post, possa, più o meno fondatamente, ritenersi che l'intenzione era invece, fin dall'inizio, quella di realizzare opere diverse. Né la conclusione può cambiare sol perché l'art. 26 della legge n. 47/ 1985 richiede che, nella relazione, il professionista abilitato «asseveri» le opere da compiersi. Anche ad ammettere, infatti, che siffatta «asseverazione» implichi garanzia che le opere saranno conformi a quelle descritte, ciò non significa affatto che essa sia assimilabile ad un «certificato», mancando comunque la sua riferibilità a dati certi ed obiettivamente verificabili, almeno potenzialmente, nell'immediato, quasi mai possono essere quelli che attengono alle intenzioni. La riscontrata difformità di quanto realizzato, rispetto al progetto, potrà quindi soltanto rilevare (a parte, ovviamente, l'eventuale responsabilità, esclusiva o a titolo di concorso con altri, nell'illecito amministrativo o penale configurabile in base alla normativa edilizia), come inadempimento della suddetta «garanzia», di per sè non suscettibile di costituire, in difetto di specifica previsione, un illecito penale. E ciò non senza considerare che, d'altra parte, come giustamente osservato nel ricorso, difficilmente l'attribuzione di un ruolo di garanzia può conciliarsi con la mancata previsione di obblighi e poteri funzionali alla sua effettiva attuazione. Né sembra poter giovare, a sostegno della tesi affermata nella decisione impugnata, il richiamo da questa operato alla sentenza di questa Corte, sez. V, 9 luglio-3 dicembre 1987 n. 12108, Maggisano, RV 177156, riferendosi tale pronuncia essenzialmente alla «perizia giurata» che, introdotta, come istituto, nel nostro ordinamento dall'art. 5 del R.D. 9 ottobre 1922 n. 1366, era espressamente prevista dall'art. 35 della legge n. 47/1985, con riguardo alle opere già compiute, per le quali si chiedesse la concessione in sanatoria, secondo le previsioni del c.d. «condono edilizio»; situazione, questa, nella quale ben a ragione si è quindi ritenuto che la falsità di quanto attestato in detta perizia desse luogo alla configurabilità di un illecito penale, ravvisato, peraltro, non nel reato di cui all'art. 481, ma in quello, più grave, di cui all'art. 483 c.p., atteso che il contenuto della falsa perizia era destinato ad essere riprodotto nella concessione in sanatoria. Vero è che nella stessa pronuncia, ed agli stessi effetti, alla «perizia giurata» sembra assimilarsi anche la «relazione» prevista dall'art. 26 della legge n. 47/1985. Ma una tale assimilazione, oltre a non poter comunque valere ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 481 c.p...

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