Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine31-82

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VII, ord. 30 novembre 2004, n. 46360 (c.c. 23 giugno 2004). Pres. Pioletti - Est. Battisti - P.G. (conf.) - Ric. Bourkah Bouchaib.

Cassazione penale - Poteri della cassazione - Applicazione della legge più favorevole - EsclusioneCondizioni - Mancata effettuazione dell'esame comparativo tra nuova e precedente disciplina nella fase di merito - Conseguente mancata doglianza in sede di ricorso in cassazione.

L'applicazione, da parte della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 619, comma 3, c.p.p., della legge più favorevole è da ritenere esclusa qualora, essendo intervenuta la nuova legge prima dell'esaurimento delle fasi di merito e sussistendo la necessità di un esame comparativo per stabilire quale sia da considerare, in concreto e non in astratto, la normativa più favorevole, la mancata effettuazione di detto esame non abbia formato oggetto di specifica doglianza in sede di proposizione dell'appello o del ricorso di cassazione. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 619) (1).

    (1) Nulla in termini. Con riferimento all'ipotesi di novella legislativa determinante l'abolitio criminis di una fattispecie delittuosa, Cass. pen., sez. VI, 14 gennaio 2000, El Quaret, in questa Rivista 2000, 441, ha ritenuto che la generale previsione dell'art. 619, terzo comma, c.p.p., abilitasse la Suprema Corte a rettificare la specie o la quantità della pena quando ciò derivi dall'applicazione «di legge più favorevole all'imputato, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto».


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Rilevato che, con sentenza del 17 dicembre 2003, la Corte di appello di Trento ha confermato la sentenza, in data 11 luglio 2002, del tribunale di Trento, il quale aveva affermato la penale responsabilità di Bourkah Bouchaib per il reato, accertato in Mezzolombardo il 30 marzo 2001, di guida di una vettura in stato di ebbrezza condannandolo alla pena di mesi uno e giorni due di permanenza domiciliare e applicando la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di mesi due; che il difensore ricorre per cassazione con due motivi, denunciando, con il primo motivo, «inosservanza della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p.», deducendo che, essendo stato commesso il reato il 30 marzo 2001, prima dell'entrata in vigore del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, il tribunale e la Corte di merito avrebbero dovuto applicare la legge anteriore - le pene previste dal c.d.s. per il reato di guida in stato di ebbrezza - innegabilmente più favorevole, sia perché sarebbe stato possibile sostituire la pena detentiva dell'arresto con la pena pecuniaria della specie corrispondente, sia perché l'imputato avrebbe potuto fruire del beneficio della sospensione condizionale; e, con il secondo motivo, «mancanza di motivazione in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida», applicata, senza indicarne le ragioni, nella misura di due mesi, mentre il prefetto l'aveva applicata provvisoriamente nella misura di mesi uno; che il ricorso è manifestamente infondato. Osservato, invero, che è da ritenere che il giudice di merito - il tribunale - abbia implicitamente, ma con estrema chiarezza, escluso che fossero più favorevoli in concreto le norme precedenti, avendo posto l'accento sulla «gravità del fatto, sull'essere stato l'imputato già condannato per lo stesso reato e, quindi, sulla recidiva specifica e infraquinquennale, contestata e ritenuta, e non avendo riconosciuto le attenuanti generiche, su circostanze, cioè, che facevano escludere la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria e la prognosi favorevole richiesta ai fini del beneficio della sospensione; che, prescindendo da ciò, non può non rilevarsi che nei motivi di appello - sintetizzati nella sentenza impugnata - la questione dello ius superveniens e dell'applicazione della norma più favorevole non era stata sollevata, essendosi limitato l'imputato a chiedere che venisse irrogata la sola pena pecuniaria, richiesta rigettata dalla Corte per le stesse ragioni indicate dal giudice di primo grado; che la mancata devoluzione della questione - la quale, come è noto, importa la comparazione tra vecchio e nuovo non in astratto, ma in concreto, relativamentre al caso sub iudice, e, quindi, con attente valutazioni anche, se non soprattutto, in fatto - fa sì che la stessa non possa essere proposta per la prima volta dinanzi alla Corte di cassazione; che, se è vero, infatti, che l'art. 619 - la cui rubrica preannuncia che la norma disciplina la rettificazione, da parte della Corte di cassazione, di errori non determinanti annullamento - dispone, nel comma 3, che «nello stesso modo (la Corte decide senza annullamento) si provvede nei casi di legge più favorevoli all'imputato, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto», è anche vero che la corrispondente, pressoché identica, formulazione dell'art. 538, comma 3, c.p.p., prima della riforma dello stesso exPage 32 lege n. 226 del 1974, era stata interpretata nel senso che, «nonostante che la formulazione della norma debba fare concludere per l'applicabilità, da parte della Corte di cassazione, delle disposizioni più favorevoli anche se sopravvenute alla dichiarazione di ricorso - e, dunque, anche se intervenute in precedenza e non prese in considerazione dal giudice di merito, deve, però, ritenersi che la particolare giurisdizione di merito attribuita alla Corte di cassazione sia limitata all'ipotesi in cui le disposizioni più favorevoli siano entrate in vigore dopo la pronuncia impugnata con ricorso per cassazione»; che ne discendeva che, «quando le norme più favorevoli all'imputato siano sopravvenute alla pronuncia di primo grado e il giudice di appello abbia omesso di compiere un esame comparativo tra la vecchia e la nuova legislazione e di applicare, eventualmente, le norme più favorevoli, la Corte di cassazione non può ovviare direttamente all'omissione, ma deve annullare con rinvio la sentenza impugnata, sempre che il vizio dell'omessa applicazione delle nuove norme sia stato ritualmente denunciato con il ricorso e, conseguentemente - per il caso, come quello di specie, in cui il novun legislativo sia intervenuto prima della decisione del giudice di primo grado - sempre che la questione sia stata devoluta, anzitutto, al giudice di appello (Cass., 10 febbraio 1981, Familiari; 16 marzo 1977, Veneziani); che, tutto ciò altro non sta a significare se non che la comparazione tra le nuove norme, in tesi più favorevoli, e le precedenti, coinvolgendo questioni di fatto, solo eccezionalmente - ius novun successivo alla decisione del giudice di appello - è riservata alla Corte di cassazione, mentre, ove lo ius novun sia intervenuto prima, quella comparazione è propria del giudice di merito, competente funzionalmente ad esaminare il fatto.

Osservato, quanto al secondo motivo, che, allorché la violazione del codice della strada costituisca reato e allorché per il reato sia prevista anche la sospensione della patente di guida, il dominus della sospensione è il giudice il quale può sospenderla prescindendo dalle provvisorie determinazioni del prefetto ed è quest'ultimo - cui spetta, appunto, soltanto il potere di sospendere la patente provvisoriamente - che, per legge, è tenuto ad eseguire la sentenza defalcando il quantum di sospensione eventualmente disposto in via provvisoria (sez. un., 21 giugno 2000, Carboni; 21 giugno 2000, Paronuzzi); che, peraltro, non v'è alcun dubbio che giustifichino la misura della sanzione amministrativa accessoria come inflitta dal giudice sia le motivate affermazioni delle sentenze di merito sulla gravità del fatto, sia la contestazione della recidiva specifica e infraquinquennale, recidiva non esclusa, ma ritenuta; che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 18 novembre 2004, n. 44712 (ud. 27 ottobre 2004). Pres. Marvulli - Est. Calabrese - P.G. Siniscalchi (conf.) - Ric. De Vita ed altri.

Difesa e difensori - Parte civile - Proponibilità dell'appello - Procura speciale - Espresso riferimento al potere di proporre appello - NecessitàEsclusione - Limiti.

È legittimato a proporre appello il difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti), anche se non contenente espresso riferimento al potere di interporre il detto gravame, posto che la presunzione di efficacia della procura "per un solo grado del processo", stabilita dall'art. 100 comma 3 cod. proc. pen., può essere vinta dalla manifestazione di volontà della parte - desumibile dalla interpretazione del mandato - di attribuire anche un siffatto potere. (Nella specie si è ritenuto che la formula "vi nominiamo e costituiamo nostro difensore nonché procuratore speciale ai fini della costituzione di parte civile, nel procedimento penale n. . . , conferendovi ogni più ampia facoltà di legge e approvando fin d'ora il vostro operato'' non potesse essere intesa se non come espressione idonea a conferire mandato per la costituzione di parte civile, ma non procura alle liti specificamente indicante il potere del difensore di proporre appello. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 100) (1).

    (1) Le Sezioni Unite risolvono in senso positivo, pur con la precisazione di cui alla massima, il contrasto concernente la legittimazione o meno a proporre appello del difensore della parte civile, nel caso in cui la procura speciale a lui rilasciata non faccia espresso riferimento al potere di appellare. Nel medesimo senso, si veda Cass. pen., sez. IV, 16 settembre 2003, Silveira, in questa Rivista 2004, 458. Difforme, Cass. pen., sez. III, 15 maggio 2003, Falivena, ivi 2004, 131.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza 19 dicembre 2002 il Tribunale di Salerno assolveva per insussistenza del fatto Mazzarella Farao Carlo e Santoro...

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