Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1037-1068

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 31 luglio 2006, n. 26947 (ud. 12 luglio 2006). Pres. ed est. Calabrese - P.M. Izzo (conf.) - Ric. Tanino.

Furto - Aggravanti - Cose esposte alla pubblica fede - Cose lasciate in automobili - Furto di telefonino collegato all'impianto a «viva voce»Configurabilità dell'aggravante - Fondamento.

Correttamente viene ritenuto aggravato dall'esposizione per necessità (se non per consuetudine) alla pubblica fede - intesa la necessità non in senso assoluto ma in senso relativo - il furto di un apparecchio telefonico cellulare dall'interno di un veicolo in sosta sulla pubblica via, quando detto apparecchio sia collegato ad un impianto per l'impiego a «viva voce», per cui il possessore, qualora avesse voluto portarlo con sè, avrebbe dovuto sobbarcarsi al sia pur modesto disagio di compiere una serie di manovre per scollegarlo e toglierlo dall'apposito alloggiamento. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 625) (1).

    (1) Di opposto tenore Cass. pen., sez. IV, 14 agosto 2003, Santelia, in questa Rivista 2004, 575, ed in Cass. pen. 2004, 3228, con nota di CAPPITELLI, che esclude si possa ritenere integrata la circostanza aggravante di cui all'art. 625 n. 7 c.p. - che concerne il furto commesso su cose esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede - con riguardo alla sottrazione di un telefono cellulare lasciato a bordo di un'autovettura, trattandosi di apparecchio che non costituisce normale dotazione del veicolo e d'altra parte è facilmente ed usualmente destinato alla custodia sulla persona del proprietario.


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Tanino Sergio è stato ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 624, 625 n. 7 c.p., ascrittogli per avere sottratto un cellulare dall'abitacolo d'un furgone lasciato momentaneamente incustodito dal proprietario, impegnato in un'operazione di scarico merci.

Col ricorso lamenta la mancata esclusione della aggravante, il diniego dell'attenuante ex art. 62 n. 4 c.p., la non prevalenza delle accordate attenuanti generiche.

Rileva il collegio che infondato è il primo profilo di doglianza.

È senz'altro vero che il telefono cellulare non costituisce normale dotazione del mezzo di trasporto e d'altra parte è facilmente ed usualmente destinato alla custodia sulla persona del proprietario, così che nella sottrazione di una tale res non è ravvisabile, in via generale, la circostanza aggravante che concerne il furto commesso su cose esposte per necessità, o per consuetudine, o per destinazione alla pubblica fede.

Ma occorre ricordare sul tema che la nozione di necessità, che legittima l'esposizione alla pubblica fede, comporta o l'impossibilità materiale o un'equivalente onerosità della custodia, e deve essere intesa non in senso assoluto, ma in senso relativo, cioè in rapporto alle particolari circostanze che possono costringere il soggetto passivo a lasciare le proprie cose fuori della sua vigilanza e custodia.

Nel caso concreto si è valorizzato dai giudici di merito il fatto che il cellulare era stato collegato alla strumentazione «viva voce», inferendosene che il portarlo via, avuto riguardo alla breve durata dell'allontanamento dal veicolo, avrebbe comportato per il soggetto passivo un disagio, pur se modesto, riveniente dalla necessità di compiere una serie di manovre per scollegare il telefono e toglierlo dall'apposito alloggiamento in cui era installato.

Sicché non appare affatto priva di plausibilità o di rigore giuridico la valutazione positiva in ordine alla ricorrenza del requisito della esposizione della cosa alla pubblica fede, siccome dettata da evidenti ragioni - più che di consuetudine, come si opina nel provvedimento impugnato - di vera e propria necessità, intesa, ovviamente, nel peculiare senso dianzi indicato.

Sono parimenti da disattendere le altre censure, che peraltro attengono al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento al corretto rilievo che, per la sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p., è necessario che il danno arrecato alla parte lesa sia non solo lieve, ma lievissimo, ossia di rilevanza economica minima (ciò che non è possibile riscontrare nei riguardi di un oggetto quale un telefono cellulare), e alla argomentazione, egualmente idonea sotto il profilo logico-giuridico, secondo cui la gravità del fatto e la capacità a delinquere dell'imputato costituiscono elementi in vista dei quali al suo comportamento processuale e alla confessione resa non può attribuirsi, nel giudizio di comparazione delle circostanze, una rilevanza più spiccata di quella (di mera equivalenza) conferita al primo giudice.

Il ricorso deve pertanto essere respinto, con le conseguenze di legge. (Omissis).

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 19 luglio 2006, n. 25063 (c.c. 13 giugno 2006). Pres. Di Virginio - Est. Milo - P.M. De Sandro (conf.) - Ric. P.M. in proc. Freda ed altro.

Inquinamento - Rifiuti - Smaltimento - Impianto di compostaggio - Natura - Realizzazione e regime autorizzatorio - Individuazione.

La costruzione di un impianto di compostaggio di rifiuti, avendo natura industriale, non può essere autorizzata in zona agricola senza previa modifica dello strumento urbanistico. A tal fine può costituire variante al detto strumento, riconosciuta eccezionalmente dalla normativa alla sola approvazione del progetto, il rigoroso espletamento della procedura autorizzatoria - non semplificata - di cui all'art. 27 del D.L.vo n. 22/1997, che pone come passaggi obbligati la nomina da parte della Regione di un responsabile del procedimento, la convocazione di una conferenza di servizi «cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti degli enti locali interessati» e che prescrive una rigida procedura di approvazione del progetto stesso ad opera della Giunta Regionale. (Mass. Redaz.). (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 27; D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Tribunale di Avellino, nell'ambito del procedimento penale a carico di Ricciardelli Giulia, Freda Angelo, Freda Giovannino, Petrillo Ivano e Petrozziello Vincenzo, indagati in ordine ai reati di cui agli artt. 323 c.p., 44 D.P.R. n. 380/01 e 51 D.L.vo n. 22/97, con ordinanza 11 novembre 2005, decidendo in sede di riesame ex art. 324 c.p.p., annullava il decreto di sequestro preventivo emesso il precedente 22 ottobre dal Gip dello stesso tribunale (con contestuale convalida del sequestro operato dal Corpo Forestale l'11 ottobre 2005) ed avente ad oggetto l'area di circa mq. 9.000, sita in agro di Prata P.U., e il relativo impianto di compostaggio in corso di realizzazione su di essa, disponendone la restituzione agli aventi diritto.

Riteneva il tribunale di non ravvisare, nella specie, gli estremi degli ipotizzati reati: non violata la normativa sulla richiesta autorizzazione regionale per la realizzazione dell'impianto di compostaggio, essendo - nella specie - consentito l'accesso alla procedura semplificata di cui agli artt. 31 e 33 del D.L.vo n. 22/97, come attestato dalla nota in data 19 ottobre 2005 (prot. 0857021) dell'Area Generale di Coordinamento Ecologia della Giunta regionale della Campania; non configurabili l'abuso di ufficio e il reato edilizio, considerato che la relativa autorizzazione alla realizzazione dell'impianto era stata legittimamente rilasciata, senza alcuna violazione dello strumento urbanistico, il quale consentiva, anche in zona agricola, costruzioni per industrie funzionali allo sfruttamento in loco delle risorse del suolo, e che anche l'esecuzione del muro di contenimento, come attestato dall'U.T.C., era regolarmente prevista nel progetto approvato.

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino e ha denunciato la violazione e l'erronea applicazione della legge penale, nonché il vizio di motivazione, sotto vari profili: il tribunale, sulla base della documentazione prodotta dalla parte interessata, si era avventurato nell'analisi di merito dell'ipotizzato capo d'accusa, piuttosto che limitarsi a verificare l'astratta possibilità di sussumere i fatti oggetto di causa nelle corrispondenti fattispecie legali; aveva omesso una qualunque attività interpretativa della normativa del c.d. decreto «Ronchi» e non aveva affrontato la questione di diritto sulla possibilità di accesso alla procedura semplificata anche per la costruzione di impianti destinati alla gestione dei rifiuti, oltre che per le operazioni/attività di recupero o autosmaltimento; il piano regionale della Campania non prevedeva alcuna possibilità di realizzare l'impianto di compostaggio sull'area oggetto di sequestro e ricadente nel territorio del Comune di Prata; i manufatti edilizi realizzati contrastavano con la normativa di attuazione del P.D.F. e, costituendo un ampliamento di pregresse costruzioni abusive mai sanate, dovevano ritenersi non legittimamente assentiti; si era affermata la legittimità del muro di contenimento sulla base dell'attestato di conformità proveniente dal sindaco Petrozziello, principale indagato.

Le parti offese, tramite il loro difensore, hanno prodotto, in data 29 maggio 2006, memoria con la quale hanno sottolineato l'assoluta illegittimità dell'attività posta in essere dagli indagati, così come lealmente riconosciuto, nel corso del giudizio instauratosi dinanzi al TAR Campania, dall'Amministrazione Provinciale di Avellino, ente preposto al controllo sulle attività di gestione dei rifiuti, e hanno richiamato, a conforto del loro assunto, un recente predente in materia di questa Suprema Corte (Cass., sez. III, 11 maggio 2005, Delle Foglie).

Con istanza datata 5 giugno 2006, gli indagati Freda Angelo e Ricciardelli Giulia hanno lamentato di non avere ricevuto l'avviso di fissazione dell'odierna udienza; anche l'indagato Freda Giovannino, a sua volta, ha lamentato di non essere stato mai avvertito della presente procedura, pur essendo stato anch'egli...

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