Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine485-533

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 9 giugno 2006, n. 19782 (ud. 11 aprile 2006). Pres. Fazzioli - Est. Riggio - P.M. (conf.) - Ric. Muscari.

Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) - Affidamento in prova al servizio sociale - Tossicodipendente - Programma terapeutico - Sindacato del tribunale di sorveglianza - Valutazione finalistica.

Ai fini della concessione della misura dell'affidamento in prova per fini terapeutici, già prima della novella introdotta con L. n. 49 del 2006 il tribunale di sorveglianza era tenuto a verificare, attraverso l'esame della personalità ancorato ad elementi oggettivamente sintomatici, oltre che l'attualità dello stato di tossicodipendenza e l'esecuzione di un idoneo programma di recupero terapeutico, anche la sussistenza di elementi tali da giustificare un giudizio prognostico favorevole, ossia l'idoneità della misura ad escludere o rendere improbabile la ricaduta in condotte devianti, e ciò per l'espresso richiamo dell'articolo 94 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 alle norme dell'ordinamento penitenziario. (Mass. Redaz.). (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 94) (1).

    (1) Costituisce consolidata affermazione in giurisprudenza quella secondo cui per l'affidamento in prova al servizio sociale, richiesto per ragioni terapeutiche ai sensi dell'art. 94 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il giudizio di idoneità del programma terapeutico proveniente da una struttura sanitaria pubblica non vincola l'autorità giurisdizionale, la quale è chiamata ad operare una complessa valutazione circa il probabile conseguimento delle finalità del programma proposto. In tal senso, in aggiunta al precedente citato in motivazione, si vedano Cass. pen., sez. I, 5 settembre 2001, Di Pasqua, in Riv. pen. 2002, 509 e Cass. pen., sez. I, 12 aprile 1999, Rovesti, ivi 1999, 917.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con ordinanza del 12 luglio 2005 il Tribunale di sorveglianza di Napoli rigettava l'istanza di affidamento terapeutico di Muscari Umberto, sul rilievo che costui era stato ammesso alla stessa misura alternativa, revocata a seguito di arresto e condanna, divenuta definitiva, per i reati di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale; nell'ambito di quest'ultima vicenda processuale si era poi reso responsabile di evasione dagli arresti domiciliari.

Ricorre il difensore del Muscari, deducendo che i fatti presi in esame dal tribunale erano dovuti alla condizione di tossicodipendenza e che, inoltre, la concessione degli arresti domiciliari, dai quali il ricorrente era evaso, era dipesa da autonoma, improvvida iniziativa del pubblico ministero.

Il ricorso è inammissibile.

Secondo costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass., sez. I, 6 maggio 1999, P.G. c. Corrias), l'affidamento terapeutico, per l'espresso richiamo dell'art. 94 D.P.R. n. 309/90 alle norme dell'ordinamento penitenziario - ancor prima della riforma introdotta con il D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, conv. nella L. 21 febbraio 2006 n. 49, che ha codificato tale principio ermeneutico - presuppone, oltre che l'attualità dello stato di tossicodipendenza e l'esecuzione di un idoneo programma di recupero terapeutico, la sussistenza di elementi atti a giustificare un giudizio prognostico favorevole. La previsione in ordine ai futuri comportamenti del condannato, nel senso di escludere o rendere improbabile la ricaduta in condotte devianti, deve discendere da un esame della personalità, ancorato ad elementi oggettivamente sintomatici.

Di tale regola interpretativa ha fatto corretta applicazione il giudice di merito, mentre i motivi di ricorso consistono nella prospettazione di una diversa valutazione in punto di fatto, peraltro priva di ogni ragionevolezza laddove attribuisce agli organi giurisdizionali la responsabilità di avere reso materialmente possibile, con la concessione degli arresti domiciliari, l'evasione, che, peraltro, costituisce soltanto una delle condotte del Muscari negativamente valutate.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione dell'impugnazione, al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma, che stimasi congruo determinare in cinquecento euro. (Omissis).

I

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 23 maggio 2006, n. 18018 (ud. 11 aprile 2006). Pres. Fazzioli - Est. Silvestri - P.M. (conf.) - Ric. Elia ed altro.

Appello penale - Provvedimenti appellabili e inappellabili - Sentenze di proscioglimento - L. n. 46 del 2006 - Disciplina transitoria - Ambito applicativo.

Alla luce della novella introdotta con la L. n. 46 del 2006 che ha reso inappellabili le sentenze diPage 486 proscioglimento, la disciplina transitoria della citata legge, che impone la dichiarazione d'inammissibilità dell'appello nel caso di annullamento nel giudizio di cassazione, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, di una sentenza di condanna che in appello abbia riformato una sentenza di assoluzione, trova applicazione anche nell'ipotesi di annullamento senza rinvio, per estinzione del reato per prescrizione, della sentenza di condanna in appello, in ragione della prevalenza del principio del favor rei, che induce a preferire il proscioglimento nel merito della sentenza di primo grado alla pronuncia applicativa della causa di estinzione del reato. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 593) (1).

II

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 23 maggio 2006, n. 18014 (ud. 7 aprile 2006). Pres. Fabbri - Est. Corradini - P.M. (conf.) - Ric. P.M. in proc. Barosola.

Appello penale - Provvedimenti appellabili e inappellabili - Sentenze di assoluzione nei due gradi di merito - Cassazione - L. n. 46 del 2006 - Disciplina transitoria - Ambito applicativo.

La disciplina transitoria della legge n. 46 del 2006 in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, anche emesse in esito al giudizio abbreviato, che impone la dichiarazione d'inammissibilità dell'appello nel caso di annullamento nel giudizio di cassazione, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, di una sentenza di condanna che in appello abbia riformato una sentenza di assoluzione, trova applicazione, in base al principio dell'eadem ratio, nel caso non disciplinato dell'annullamento della sentenza di assoluzione resa su appello della sentenza di assoluzione di primo grado. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 593) (2).


I

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza del 18 giugno 2003, il Tribunale Militare di Napoli assolveva Elia Francesco e Tarantini Aldo, militari in servizio presso il Nucleo Operativo del Comando Provinciale di Salerno, con la formula «perché il fatto non sussiste», dal reato di truffa militare pluriaggravata.

In accoglimento degli appelli del Procuratore Militare e del Procuratore Generale Militare, la Corte Militare di Appello - Sezione distaccata di Napoli, in riforma della decisione di assoluzione, riteneva l'Elia e il Tarantini responsabili del reato loro ascritto e li condannava, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di due mesi e venti giorni di reclusione militare ciascuno, sostituita con la multa di 3.040 euro, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.

Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza di secondo grado per i seguenti motivi: 1) difetto di giurisdizione, non essendo identificabile la parte danneggiata nell'Amministrazione Militare, dato che gli imputati appartenevano all'Arma dei Carabinieri e che il reato era stato commesso in concorso con persona non soggetta alla legge penale militare; 2) violazione di legge, mancanza o illogicità manifesta della motivazione nella valutazione degli elementi di prova occorrenti per il superamento del ragionevole dubbio e nell'omessa indicazione delle ragioni per le quali sono state ritenute non attendibili le prove contrarie sia relativamente alle ricevute per il pernottamento che a quelle concernenti la consumazione dei pasti.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con il primo motivo di ricorso è stato denunciato il difetto di giurisdizione del giudice militare sotto il duplice profilo della non configurabilità di un reato militare, mancando la condizione del danno all'Amministrazione militare, e del concorso nel resto di soggetti privi dello status di militare.

Entrambe le prospettazioni poste a base della censura sono giuridicamente infondate e devono essere disattese.

Quanto al primo profilo, deve sottolinearsi che, alla stregua della disciplina del R.D. 14 giugno 1934, n. 1169, l'arma dei carabinieri fa parte integrante delle Forze Armate dello Stato anche dopo le modifiche introdotte dal D.L.vo 5 ottobre 2000, n. 297, e che il pregiudizio patrimoniale conseguente alle condotte fraudolente degli appartenenti a detta arma è riferibile all'Amministrazione militare, onde deve considerarsi inconsistente la deduzione difensiva imperniata sulla natura dell'attività svolta durante la trasferta che ha rappresentato l'occasione per la consumazione della contestata truffa.

Manca di pregio anche l'ulteriore argomento sviluppato per sostenere che, in caso di concorso nel reato di militari e di estranei alle Forze Armate, la giurisdizione farebbe capo al giudice ordinario e non al giudice speciale. In proposito è sufficiente osservare che le Sezioni unite penali di questa Corte hanno recentemente superato il precedente contrasto di giurisprudenza stabilendo che nell'ipotesi in cui nel reato militare concorrano civili insieme con militari le sfere di giurisdizione rimangono separate, nonostante la connessione tra i procedimenti, sicché il giudice militare mantiene...

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