Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine283-315

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 12 gennaio 2009, n. 626 (ud. 21 novembre 2008). Pres. De Maio - Est. Petti - P.M. Passacantando (diff.) - Ric. Zipponi

Tributi e finanze (in materia penale) - Imposta sul valore aggiunto - Emissione di fatture per operazioni inesistenti - Pluralità di fatture relative al medesimo anno di imposta - Inserimento in unica dichiarazione annuale dei redditi - Configurabilità di più reati - Esclusione - Unicità del reato - Individuazione del momento consumativo.

Con riferimento al reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2, D.L.vo n. 74 del 2000), l’utilizzazione di più fatture, se riferite al medesimo anno di imposta e perciò indicate in una unica dichiarazione dei redditi, non dà luogo ad una pluralità di reati; invero, il reato in oggetto si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di tali fatture e non già nel momento in cui le stesse vengano registrate in contabilità, sicché, se la dichiarazione è unica, unico è il reato commesso pur se i documenti utilizzati siano diversi. (Mass. Redaz.). (D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, art. 2) (1).

    (1) Anche secondo Cass. pen., sez. III, 29 aprile 2003, Bani, in questa Rivista 2004, 266, il reato previsto dall’art. 2 D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, che ha natura di reato di pericolo, si consuma istantaneamente, nel momento in cui viene presentata la dichiarazione annuale dei redditi contenente le indicazioni fraudolente.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. Il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Brescia, con sentenza del 14 febbraio del 2008,applicava nei confronti di Zipponi Gianluigi Darix la pena concordata nella misura di mesi due di reclusione, in aumento di quella irrogata con la sentenza del 25 gennaio del 2007 per il medesimo reato, ritenuta la continuazione tra i due fatti.

Lo Zipponi era imputato del reato di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, per avere, quale legale rappresentante della società Rusconi Metalli S.p.A., al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto,avvalendosi di fatture ed altri documenti per operazioni inesistenti, indicava nella dichiarazione relativa a dette imposte per l’anno 2003 elementi passivi fittizi per un valore imponibile pari ad euro 1.526.466,20, IVA euro 305.293,24, avvalendosi in particolare delle fatture emesse dalla “Rios & Reinos” Italia Branch, con sede nel Venezuela. Fatto commesso nel 2004 al momento della presentazione della dichiarazione.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del difensore denunciando la violazione dell’articolo 649 c.p.p., in quanto per lo stesso fatto relativo al medesimo anno d’imposta era stato già condannato, a nulla rilevando la circostanza che la fattura oggetto del presente procedimento fosse diversa da quella di cui alla sentenza del 25 gennaio del 2007, posto che la dichiarazione era unica.

Il ricorso è fondato

Nel presente procedimento al prevenuto si è contestato il delitto di dichiarazione fraudolenta per avere indicato nella dichiarazione presentata nel 2004 per l’anno d’imposta precedente elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture emesse per operazioni inesistenti. Orbene con riferimento alla stessa dichiarazione annuale ed al medesimo anno d’imposta il prevenuto era stato già condannato con la sentenza n. 335 del 2007 dal tribunale di Brescia, utilizzata dal giudice dell’udienza preliminare per applicare la continuazione. Questa è stata ritenuta in base al rilievo che, anche se la dichiarazione era unica ed era relativa al medesimo anno d’imposta, le fatture indicate nei due procedimenti erano diverse (cfr. parere del procuratore generale). In realtà la diversità di documenti utilizzati per aumentare i costi, allorché la dichiarazione sia unica e relativa allo stesso periodo d’imposta non giustifica l’affermazione di responsabilità per due reati diversi. Invero, l’articolo 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000 che punisce colui il quale emette fatture per operazioni inesistenti, al secondo comma, dispone che l’emissione o il rilascio di fatture per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo d’imposta si considera come un solo reato. A fortiori quindi dovrebbe considerarsi unico il reato allorché si utilizzino più fatture per aumentare i costi se la dichiarazione è unica ed è relativa alla stessa imposta ed allo stesso periodo d’imposta. L’articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000 consente una unica incriminazione per il soggetto che pone in essere una dichiarazione fraudolenta sia che si avvalga di un solo documento, sia che utilizzi una pluralità di fatture o altri documenti, a nulla rilevando che le fatture o gli altri documenti siano diversi ed abbiano diversi destinatari e ciò perché il reato non si perfeziona con la semplice registrazione del documento che sarà poi utilizzato ma con la dichiarazione, riferita a quella specifica intera annualità e con l’indicazione, nell’ambito della suddetta dichiarazione, di elementi passivi fittizi inseriti nella contabilità. Di conseguenza è irrilevante il numero delle fatture o degli atti documenti utilizzati per abbattere i costi perché la registrazione di tali documenti rappre-Page 284senta solo un’attività prodromica alla realizzazione del reato che si consuma nel momento in cui si presenta una dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e non nel momento in cui si registra in contabilità il singolo documento che poi sarà utilizzato per abbattere i costi. L’eventuale pluralità di reati non dipende dalla pluralità dei documenti utilizzati, ma dalla pluralità delle dichiarazioni relative a periodi d’imposta diversi. Se la dichiarazione è unica, unico è il reato commesso con quella dichiarazione anche se i documenti utilizzati sono diversi.

Il ricorrente assume che la questione anzidetta, sia pure oralmente nel corso della discussione, era stata prospettata in prime cure, ma è stata ignorata dal giudice. Ai fini che ora interessano non importa stabilire se la questione sia stata o no prospettata dal ricorrente, posto che il giudice nel momento in cui ha acquisito la precedente sentenza per applicare la continuazione, avrebbe dovuto, anche ex officio, rilevare che trattavasi del medesimo reato.

Alla stregua delle considerazioni svolte al sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché l’azione penale non avrebbe potuto essere iniziata per precedente giudicato. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 8 gennaio 2009, n. 331 (ud. 4 dicembre 2008). Pres. ed est. De Roberto - P.M. Di Casola (diff.) - Ric. N.V.M

Matrimonio - Bigamia - Persona offesa dal reato - Individuazione.

In tema di reati contro la famiglia, mentre nel caso previsto dall’art. 556, comma primo, c.p., persona offesa dal reato è il primo coniuge del bigamo, nell’ipotesi aggravata prevista dal secondo comma sono persone offese tanto il primo quanto il secondo coniuge, poiché quest’ultimo, pur avendo concorso con la sua opera alla realizzazione del delitto (che è necessariamente bilaterale), è al tempo stesso vittima dell’inganno posto in essere dall’altro coniuge. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 556) (1).

    (1) Si veda il lontanissimo precedente, citato anche in motivazione, Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 1965 Krkoc, in Jus&Lex dvd, ed. La Tribuna n. 6/2008. Secondo tale arresto, l’ipotesi aggravata prevista dall’art. 556 secondo comma c.p. pone la persona incolpevole e ingannata, attraverso un consenso viziato ad un matrimonio che crede valido, e che perciò rimane coautore materiale del fatto, nella situazione di persona offesa dal reato, come vittima dell’inganno, non diversamente da quanto avverrebbe nell’ipotesi che il secondo matrimonio fosse nullo per un’altra ragione, da lui pure non conosciuta, e l’ingannatore fosse perciò responsabile di altro reato, ad es. truffa o falso documentale. Ne consegue che, mentre nell’ipotesi di bigamia di cui al primo comma dell’art. 556 c.p., persona offesa dal reato è il primo coniuge del bigamo, nell’ipotesi aggravata a quello si aggiunge il secondo; onde due sono contemporaneamente le persone offese, ed entrambe sono, singolarmente o congiuntamente, titolari del diritto di istanza a norma dell’art. 10 c.p., quando il reato è stato commesso all’estero da cittadino straniero.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. – Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con sentenza 20 marzo 2007, dichiarava non doversi procedere nei confronti di D.L. e V.T. in ordine al reato di cui all’art. 556 c.p., loro addebitato per aver contratto matrimonio avente effetti civili nonostante il primo avesse già contratto matrimonio civile in Lviiv (Ucraina) il 5 settembre 1999 con N.V.M., matrimonio trascritto nei registri dello stato civile italiano successivamente alla comunicazione ricevuta in data 19 maggio 2004 dall’Ambasciata d’Italia a Kiev.

Rilevava il Giudice dell’udienza preliminare che il matrimonio celebrato in Ucraina era stato dichiarato inefficace con sentenza 22 aprile 2003, divenuta esecutiva, e che tale decisione, qualificata, peraltro, «di divorzio», era stata trasmessa il 3 agosto 2004 al Comune di Roma per l’annotazione. Conseguentemente, mentre doveva dichiararsi non doversi procedere per estinzione del reato ai sensi dell’art. 556, 3º comma, c.p., nei confronti del L., per essere stato dichiarato nullo perché simulato il primo matrimonio (operando tale causa di nullità anche nell’ordinamento italiano, a norma dell’art. 123 c.c.), un’identica decisione, ma per non aver commesso il fatto (nessuna prova esistendo della sua conoscenza del precedente matrimonio contratto dal L.), andava adottata nei confronti della T.

  1. – Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione l’avv. Giorgio Perroni, quale difensore e procuratore speciale della N.V., con atto depositato il 15 marzo 2008, deducendone la nullità per violazione dell’art. 419, commi 1 e 2, c.p.p., nonché...

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