Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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I.

@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. lav., 27 maggio 2009, n. 12326. Pres. De Luca - Est. Amoroso - P.M. Salvi (conf.) - Taglialatela ed altri c. Inail

Risarcimento del danno - Parenti della vittima (morte di congiunti) - Diritto al risarcimento - Danno tanatologico - Infortunio in itinere - Lesioni seguite dopo breve tempo dalla morte - Danno biologico - Esclusione - Domanda di risarcimento del danno tanatologico da parte degli eredi all’Inail - Esclusione.

In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il danno cosiddetto «tanatologico», nel caso che la morte (nella specie, in esito ad un infortunio in itinere) segua le lesioni dopo breve tempo, riguardando il bene giuridico della vita, diverso da quello della salute (in quanto la perdita della vita non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute), non rientra nella nozione di danno biologico recepita dall’art. 13 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che fa riferimento alla «lesione dell’integrità psicofisica», suscettibile di valutazione medico-legale e causativa di una menomazione valutabile secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000 del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, operando entro detti limiti l’assicurazione sociale del danno biologico. Ne consegue che non è risarcibile la domanda proposta iure hereditatis dagli eredi del de cuius nei confronti dell’INAIL per il risarcimento del danno da «perdita del diritto alla vita». (C.c., art. 2059; D.L.vo 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13).

II.

@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 13 gennaio 2009, n. 458. Pres. Di Nanni - Est. Travaglino - P.M. Finocchi Ghersi (conf.) - Rusconi ed altri (avv.ti Codacci Pisanelli e Devecchi) c. Cattolica Assic. Spa ed altro (avv.ti Coletti ed Ercoli)

Risarcimento del danno - Danno non patrimoniale - Danno cosiddetto «tanatologico» - Autonoma voce di danno - Esclusione - Inclusione nel danno morale - Sussistenza.

Il danno cosiddetto «tanatologico» o da morte immediata va ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso nella sua più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva qualificato la predetta sofferenza della vittima come danno morale e non come danno terminale, attesane l’inidoneitàessendo stato l’intervallo di tempo tra il sinistro e la morte di tre giorniad integrare gli estremi di quella fattispecie di danno non patrimoniale). (C.c., art. 2043; c.c., art. 2059)(1) (2).

    (1, 2) La prima delle sentenze in commento fa proprio il principio espresso dalla seconda che, a sua volta, si conforma all’orientamento espresso dalle ormai note sentenze delle SS.UU. 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973 (pubblicata in questa Rivista 2009, 25), 26974 e 26975, tutte di identica motivazione, secondo le quali il danno non patrimoniale è una categoria ampia e onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie – come, nel caso di specie, il danno c.d. tanatologico – se non con valenza puramente descrittiva. Anche prima dell’intervento delle SS.UU. la giurisprudenza di questa Corte era comunque concorde nel ritenere il danno cosiddetto «tanatologico» o da morte immediata riconducibile al danno morale e non al danno biologico terminale, nel caso in cui la morte fosse intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo. In tal senso v. Cass. civ. 6 agosto 2007, n. 17177, in questa Rivista 2008, 35; Cass. civ. 13 gennaio 2006, n. 517, ivi 2007, 97 e Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632, ivi 2003, 925. Qualche riflessione merita la seconda delle sentenze in epigrafe: Cass. civ. 13 gennaio 2005, n. 458. L. VIOLA, in Danni da morte: non bastano tre giorni di agonia, in www.altalex.it, non condivide la decisione della S.C. di non liquidare il danno biologico iure successionis motivata da breve (3 giorni) intervallo di tempo intercorso tra l’incidente e la morte, evidentemente non sufficiente ad integrare gli estremi del danno biologico. Nella sentenza in esame la S.C. ha applicato in modo pedissequo i principi dettati dalle SS.UU. nelle pronunce sopra citate con la conseguenza – come afferma VIOLA – di avere ricondotto il danno da morte «nella dimensione del danno morale». Ma, «anche a voler quantificare tale danno come morale, era possibile, comunque, legittimare lo schema risarcitorio iure haereditario, perché tre giorni di lucidità permettono alla vittima di percepire il dolore e soffrire in attesa della morte, con la consequenziale nascita del legittimo diritto di credito al risarcimento del danno non patrimoniale trasferibile agli eredi. Diversamente, la tutela piena della persona non verrebbe rispettata, perché si considererebbe un danno, realmente esistito e subito dalla vittima, come se non fosse mai esistito (tamquam non esset) infliggendo un significativo vulnus, difficilmente giustificabile, all’art. 2 Cost.».

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I.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. – Con ricorso depositato il 18 aprile 2003 dinanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, il coniuge ed i figli superstiti del prof. Lucio Taglialatela esponevano che quest’ultimo veniva coinvolto, in data 1 agosto 2001, verso le ore 17,00, in un incidente stradale, in seguito al quale era deceduto, nel mentre era trasportato su di una moto che si scontrava con altra autovettura. L’Università di Napoli aveva denunziato l’infortunio all’Inail; ma la domanda di infortunio in itinere era stata respinta dall’Inail, che sosteneva non essersi verificato l’infortunio nell’ambiente di lavoro; infortunio che – secondo l’Istituto – riguardava un rischio generico non protetto dal D.P.R. n. 1124/1965.

Gli originari ricorrenti ritenevano sussistere gli estremi dell’infortunio in itinere, in quanto il prof. Lucio Taglialatela era obbligato a recarsi a casa per consumare il pasto, essendo affetto da varie patologie e non avendo l’università una mensa; pertanto, richiedevano il riconoscimento dell’infortunio in itinere con diritto alla rendita vitalizia e la condanna dell’Inail al risarcimento del danno biologico.

Si costituiva in giudizio l’Inail che chiedeva il rigetto della domanda.

Espletata la prova per testi, prodotta documentazione e depositate note, la causa veniva decisa dal Tribunale di Napoli che qualificava l’infortunio patito dal prof. Lucio Taglialatela, quale infortunio in itinere, e condannava l’Inail al pagamento delle indennità di cui all’art. 85 D.P.R. n. 1124/65 e del danno biologico nella misura di euro 172.000,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla domanda al saldo.

  1. – Avverso detta sentenza l’Inail proponeva appello, eccependo in rito la nullità del ricorso e, nel merito, reiterando le argomentazioni svolte in primo grado quanto alla non configurabilità dell’infortunio in itinere e alla non indennizzabilità del danno biologico per gli infortuni mortali; chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda con l’annullamento della condanna al pagamento della rendita e del danno biologico.

    Si costituivano nel giudizio d’appello i resistenti i quali, riportandosi alle argomentazioni svolte in primo grado, all’esito della prova testimoniale ed alla documentazione prodotta, chiedevano il rigetto dell’atto di appello.

    La Corte di appello di Napoli con sentenza n. 5603/2006 rigettava il gravame dell’Inail così confermato il diritto del coniuge e dei figli superstiti alla rendita vitalizia, nonché all’indennizzo per danno biologico da morte.

  2. – Avveso questa pronuncia l’Inail propone ricorso per cassazione con tre motivi.

    Resistono con controricorso le parti intimate che hanno depositato anche memoria.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. – Il ricorso è articolato in tre motivi.

    Con il primo motivo l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965, come modificato dall’art. 12 del D.L.vo n. 38 del 23 febbraio 2000; nonché l’erronea motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 n. 3 del c.p.c. Assume l’Inail che, avendo accertato sia il tribunale che la corte di appello che l’incidente si era verificato alle ore 17,00, la scelta del mezzo di trasporto privato era una semplice comodità e non necessità. Ne derivava, pertanto, che si era alla presenza di un puro rischio c.d. elettivo.

    Con il secondo motivo l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 85 del D.P.R. n. 1125/1965. Assume l’Inail che la rendita vitalizia di cui all’art. 85 del D.P.R. n. 1124/1965 spetta – oltre che al coniuge superstite – esclusivamente ai figli minori studenti entro il 21º anno di età ed universitari sino al 26º anno di età ovvero inabili. Presupposti questi che nella specie non ricorrevano.

    Con il terzo motivo l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 13 comma 9 del D.L.vo n. 38 del 23 febbraio 2000, nonché l’erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione ai nn. 3 e 5 del codice di procedura civile. L’Inail si duole della condanna dell’Istituto al pagamento della somma di euro 172.000,00 a titolo di danno biologico. A sostegno della propria tesi l’Istituto richiama il comma 9 dell’art. 13 del D.P.R. n. 1125/1965 ed assume la non indennizzabilità a tale titolo degli eredi del danno biologico che sarebbe spettato al defunto. Inoltre deduce l’Istituto ricorrente che nel secondo comma lettera a) della tabella, per l’indennizzo da danno biologico, «si fa riferimento all’età dell’assicurato al momento della guarigione». Sostiene, inoltre, l’Istituto che, ai sensi dell’art. 13 inquestione, non è prevista l’indennizzabilità del danno biologico temporaneo e, trattandosi di un tempo relativamente breve intercorso tra l’infortunato e la morte, l’indennizzo sarebbe del tutto irrisorio.

  3. – Il primo motivo del ricorso è infondato.

    I giudici di merito, con motivazione sufficiente e non contraddittoria, hanno...

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