Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine347-366

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 7 maggio 2009, n. 19171 (ud. 7 aprile 2009). Pres. Fazzioli - Est. Zampetti - P.M. Delehaye (conf.) - Ric. Gattuso.

Sicurezza pubblica - Stranieri - Irregolari - Fattispecie prevista dall’art. 12, comma 5 bis, D.L.vo n. 286/98 - Unitarietà del reato - Dolo specifico - Fine di ingiusto profitto - Condotta consistente nel cedere in locazione - Necessità.

L’art. 12, comma 5 bis, D.L.vo n. 286/98 introdotto dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, come innovato dalla legge di conversione n. 125/08, deve essere interpretato nella sua unitarietà, che conduce inevitabilmente ad assumere il fine di ingiusto profitto come necessario anche alla forma di condotta consistente nel cedere in locazione (D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 22; D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 12). (1)..

    (1) Prima interpretazione da parte della Cassazione, sia pure in sede penale, della norma di cui alla massima. La decisione contrasta l’unico precedente noto in materia (Trib. pen. di Brescia 7 agosto 2008, in questa Rivista 2008, 651) e concorda, invece, con le conclusioni di cui alla «nota linguistica» pubblicata in questa Rivista 2009, 215. Restano peraltro insoluti (da cui l’auspicio, contenuto in una nota di Confedilizia, per una riformulazione – che risulta in corso – della norma) i problemi concernenti il fatto che è comunque rimessa all’apprezzamento del giudice la valutazione dell’equità o meno del canone concordato e, ancora, il fatto di come possa essere valutata dal giudice la locazione di un immobile per un tempo (minimo di legge) eventualmente superiore alla durata del periodo di soggiorno dello straniero. In materia, cfr. in nota alla precitata sentenza del Tribunale di Brescia, nonché CORRADO SFORZA FOGLIANI, Locazioni agli stranieri regolari, in questa Rivista 2009, 3.

MOTIVI DELLA DECISIONE 1. – Con ordinanza in data 24 settembre 2008 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ex art. 324 c.p.p., in accoglimento della richiesta di riesame proposta da Gattuso Palmiro avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip dello stesso Tribunale in data 16 agosto 2008, annullava tale ordinanza per l’effetto revocando il disposto sequestro di una unità immobiliare che detto Gattuso Palmiro aveva affittato ad un cittadino extracomunitario (l’indiano Kumar Naveev), privo di permesso di soggiorno, per la somma corrispettiva di € 150,00 mensili. Rilevava detto Tribunale come il D.L.vo n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 bis, introdotto con la L. 24 luglio 2008, n. 125, pretenda che il fatto sia stato commesso «al fine di trarne ingiusto profitto», dolo specifico che nella fattispecie non poteva dirsi presente, dovendosi ritenere equo l’anzidetto canone d’affitto e non risultando altre condizioni gravose che alterassero l’equilibrio sinallagmatico.

  1. – Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria che motivava il gravame formulando le seguenti deduzioni per violazione di legge: la disposizione in esame prevede due ipotesi, quella di chi da alloggio ad uno straniero irregolare e quella di chi comunque cede allo stesso un immobile in locazione e solo alla prima si doveva attribuire la previsione del dolo specifico (fine di trarne ingiusto profitto). Poiché nella fattispecie si trattava di un immobile dato in locazione, non si doveva pretendere il dolo specifico (ingiusto profitto), essendo sufficiente il dolo generico, palesemente sussistente.

  2. – In data 2 marzo 2009 perveniva a questa Corte memoria difensiva del Gattuso che da un lato ribadiva la modestia del canone (peraltro – si assume – mai in effetti corrisposto), dall’altro ricordava come il contratto risalisse all’aprile 2008, prima dell’entrata in vigore della disposizione introdotta con la L. n. 125 del 2008.

  3. – Il ricorso del P.M., infondato, non può essere accolto. La tesi della ricorrente parte pubblica propone la disarticolazione interpretativa del D.L.vo n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 bis (come introdotto dalla L. n. 125 del 2008) tale da scomporre detta norma in due unità (scisse testualmente dal termine «ovvero») che prevedano due condotte di reato distinte: la prima, l’unica che sarebbe sorretta da dolo specifico («al fine di trarre ingiusto profitto»), che sancisce la condotta di chi «dà alloggio ad uno straniero, privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia la disponibilità»; la seconda che sancisce chi «lo cede allo stesso, anche in locazione». Così scissa la disposizione in due diverse ed autonome condotte, ne risulta – opina il ricorrente P.M. – che il dolo specifico sia previsto, testualmente, solo per la prima delle due ipotesi. Siffatta proposta interpretazione (che pur – occorre dare atto – risulta generata da una non esemplare tecnica legislativa) fa evidentemente leva sul valore fortemente disgiuntivo da attribuire al termine «ovvero» e sulla specificazione della «locazione» quale forma di condotta punibile che, nella contraria ipotesi di interpretazione unitaria, sembrerebbe ultronea. Tale proposta interpretativa non è però fondata. Rileva invero questa Corte come, dovendosi far capo ai fondamentali principi dell’ermeneutica giuridica, si debba osservare anzitutto come il testo della norma in esame si presenti unitario proprio dal punto di vista sintattico, atteso che il soggetto che regge e lega l’intera frase – «chiunque» – è unico ed è giustamente posto al suo inizio, cosìPage 348 come la clausola di salvaguardia («Salvo che il fatto costituisca più grave reato»), che, altrimenti, nella interpretazione qui respinta, dovrebbe parimenti (ed inammissibilmente) ritenersi legata solo alla prima delle due condotte proposte come autonome. Altrettanto è a dire della sanzione (reclusione da sei mesi a tre anni) che è prevista in modo unitario per tutte le condotte descritte dal comma in esame, essendo in tal senso invocabile il tradizionale canone interpretativo secondo cui l’unicità della sanzione, in un contesto di conformità tematica e di assoluta prossimità testuale, è sicuro sintomo di previsione unitaria di una singola fattispecie di reato. Così è a dire anche in relazione alla locuzione usata dopo il termine «ovvero» – «lo cede allo stesso» (cioè allo «straniero privo di titolo di soggiorno») – che si lega fortemente, sia dal punto di vista sintattico che da quello concettuale, alla prima parte della frase. Quanto poi al termine «ovvero» che – secondo il ricorrente – starebbe ad indicare una vera e propria cesura, varrà ricordare come una corretta lettura lessicale induca in particolare il significato non tanto di una rafforzata disgiunzione, quanto dell’uso appropriato allorché (come nel caso in esame) al primo termine segua un’intera proposizione.

    Dunque continuità della frase, non frattura insaldabile. Venendo poi ad un esame di sistema, allargato al più vasto campo penale, risulta altrettanto evidente come il termine «ovvero» sia largamente usato dal legislatore (nel suo corretto impiego, quando ad esso segua una proposizione e non una sola parola) per descrivere plurime condotte punibili pur in un contesto unitario di reato: si veda l’art. 648 bis c.p. (riciclaggio: Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro...ovvero compie, ecc); l’art. 479 c.p. (falsità ideologica: Il pubblico ufficiale che ...attesta falsamente ...ovvero omette o altera, ecc.); l’art. 442 c.p. (commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate: Chiunque ... detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce ...). In tutti tali casi non c’è dubbio alcuno che si tratti di un unico reato del quale sono descritte le plurime possibili forme di commissione, nei quali dunque il termine «ovvero» non induce una dualità (o pluralità) di reati autonomi. Del resto, per restare nell’esemplificazione, non potrebbe certo sostenersi (e non risulta che mai sia stato proposto) che la clausola di salvezza posta nell’incipit dell’art. 648 bis c.p. («Fuori dei casi di concorso nel reato») debba intendersi riferita solo alla prima parte della norma e non alla condotta descritta successivamente al termine «ovvero».

    Dunque, sotto i più diversi aspetti dell’analisi testuale, deve riconoscersi l’unitarietà del reato previsto e punito dal D.L.vo n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 bis e solo la descrizione, secondo la tecnica casistica, delle plurime forme di condotta punibile. La corretta destrutturazione della norma in esame come formulata porta dunque a rilevare: a) un incipit di salvezza («Salvo che il fatto costituisca più grave reato»); b) l’indicazione del soggetto attivo, generale («chiunque»); c) una sanzione finale («è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni»); d) una parte centrale descrittiva delle possibili forme di condotta punibili, indicate con le proposizioni «dà alloggio» e «cede in locazione», paritariamente considerate.

    Tale conclusione qui raggiunta non è inficiata dalla deduzione del ricorrente P.M. secondo cui, se si dovesse privilegiare l’interpretazione monistica, anche la locuzione «a titolo oneroso» dovrebbe essere riferita pure alla seconda parte, e dunque anche al «cedere in locazione», il che non potrebbe essere accettato, risultando inutile (in quanto la locazione è contratto necessariamente a titolo oneroso). Così, però, non è, posto che la locuzione «a titolo oneroso» sintatticamente si lega solo con la preposizione «dà alloggio» cui è direttamente collegata. In tal senso vale anche far richiamo ai lavori parlamentari che ampiamente danno contezza del fatto che l’inserimento della locuzione «a titolo oneroso» fu voluto dal legislatore non già per differenziare un’ipotesi (dare alloggio) rispetto ad un’altra (cedere in locazione) e dare dignità autonoma di reato alle stesse, ma per escludere le condotte umanitarie (dare alloggio gratuito), il che, nel confermare la sinapsi lessicale dare alloggio a titolo oneroso, convalida definitivamente l’interpretazione resa da...

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