Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 29 gennaio 2009, n. 4239 (ud. 11 dicembre 2008). Pres. Ambrosini - Est. Iacobellis - P.M. Di Popolo (conf.) - Ric. Giacalone

Persona fisica - Diritto alla riservatezza - Trattamento dei dati personali - Oggetto della tutela - Sentenze di condanna tratte da banche dati ufficiali - Pubblicazione su siti privati - Liceità - Condizioni.

È lecita la pubblicazione integrale (nel caso di specie su un sito giuridico privato), senza omettere i dati identificativi delle parti, di sentenze di condanna reperite attraverso le banche dati presenti sui siti ufficiali delle Corti che le hanno emesse, purché ciò avvenga nel pieno rispetto della normativa di cui all’art. 52 D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196 (codice della privacy). (Mass. Redaz.). (D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, art. 52) (1).

    (1) Sentenza particolarmente interessante in quanto affronta una questione nuova e delicata.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. – Il Tribunale di Avezzano, il 26 ottobre 2007, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Avezzano del 29 dicembre 2005, dichiarava Giacalone Davide colpevole del reato di ingiuria in danno di Oddi Alessandro. All’esito di uno scambio di e-mail tra lo Giacalone e l’Oddi, relativamente alla pubblicazione di una sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte dei conti, pubblicata sul sito web di informazione giuridica curato dall’Oddi, il Giacalone aveva inviato all’Oddi una e-mail contenente l’espressione: «Lei sarà avvocato ma è ignorante; ... ignorante quindi ed imbroglione».

Il Tribunale, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di pace, escludeva l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 599 c.p. Quanto al «fatto ingiusto» il Tribunale affermava che la pubblicazione della sentenza di condanna del Giacalone era avvenuta nel rispetto della normativa vigente e che «secondo il contenuto delle e-mail in atti» la p.o. «aveva manifestato sin dall’inizio la propria volontà di provvedere alla tempestiva rettifica, richiedendo al Giacalone gli estremi della sentenza di revocazione». Quanto all’«immediatezza», riteneva che «tra la censurata reazione e la detta pubblicazione al momento dei fatti era intercorso un arco temporale tale da non poter ragionevolmente ravvisare il preteso nesso eziologico tra il fatto ingiusto e lo stato d’ira».

Avverso tale decisione ha proposto ricorso il Giacalone, lamentando la violazione dell’art. 606 co. 1 lett. e) e b) c.p.p. con riferimento all’art. 599 c.p. In osservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla ricorrenza dello stato d’ira determinato da fatto ingiusto altrui e subìto dopo di esso. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto. Il giudice avrebbe riportato in modo errato i fatti di causa e la cronologia degli stessi, ed avrebbe omesso parti fondamentali della e-mail inviata dall’avv. Oddi; quest’ultimo, contrariamente alle affermazioni del giudicante, avrebbe evidenziato un atteggiamento ostile, saccente e provocatorio. Illogica sarebbe la motivazione nella parte in cui avrebbe escluso la esimente; erroneamente il giudice di merito avrebbe escluso l’ingiustizia del fatto, con riferimento all’art. 52 del D.L.vo 196/2003, senza rilevare che il sito della Corte dei conti riportava la decisione con le solo iniziali degli imputati; il Tribunale avrebbe fatto erronea applicazione dei presupposti richiesti dall’art. 599 c.p. per quanto attiene l’ingiustizia del fatto – tale dovrebbe considerarsi anche i fatti antisociali –, nonché dell’immediatezza – da interpretare con elasticità –. Il tribunale non avrebbe altresì considerato che la e-mail incriminata sarebbe stata inviata dopo la revoca della sentenza, così operando un travisamento dei fatti. Le parole ignorante ed imbroglione sarebbero state pronunciate dopo che l’Oddi si era rifiutato di dare notizia della revoca della decisione.

Il ricorso va rigettato.

Il Tribunale, con adeguata e coerente motivazione, ha ritenuto la liceità della pubblicazione integrale sul sito Eius della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte dei Conti nei confronti di Giacalone Davide, sia in quanto avvenuta nel pieno rispetto della normativa di cui all’art. 52 D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, sia perché reperibile attraverso la banca dati presente sul sito ufficiale della cennata Corte.

I limiti di accesso alla banca dati della Corte dei conti dedotti dal ricorrente non escludono la liceità della pubblicazione in quanto comunque conforme al disposto dell’art. 52 D.L.vo 196/2003.

Essendo il controllo di questa Corte limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato, va esclusa una diversa lettura del materiale probatorio, e, in articolare della valutazione del tribunale circa la ricostruzione degli eventi nonché la ritenuta volontà dell’Oddi di provvedere alla tempestiva rettifica.

L’esclusione della sussistenza del fatto ingiusto comporta l’irrilevanza delle censure mosse alla decisione nella parte in cui si è escluso il presupposto dell’immediatezza.

Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. (Omissis).

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 26 gennaio 2009, n. 3492 (ud. 27 novembre 2008). Pres. Marasca - Est. Bruno - P.M. Cedrangolo (diff.) - Ric. Messina

Minaccia - Nozione - Elemento materiale - Prospettazione di un male ingiusto - Necessità - Fattispecie.

Nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del timore che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima. (In applicazione di tale principio la S.C. ha escluso valenza minatoria, in quanto privo dell’ineludibile connotato dell’ingiustizia, alla frase «ve la farò pagare» proferita nell’ambito di un conflittuale rapporto di vicinato contrassegnato da reciproche, emulatorie, condotte lesive dell’altrui proprietà). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 612) (1).

    (1) La giurisprudenza è unanime nel ritenere che il reato di minaccia sussista allorché il danno minacciato con parole o con atti sia ingiusto, futuro, dipendente dalla volontà dell’agente e sia idoneo a turbare la libertà morale del soggetto passivo, che costituisce il bene tutelato dalla norma incriminatrice. In tal senso si vedano, tra le più recenti, Cass. pen., sez. VI, 29 luglio 2008, Veglianti, in Jus&Lex online, www.latribuna.it Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2006, Bochicchio, in questa Rivista 2006, 1356 e Cass. pen., sez. V, 6 febbraio 2004, Puntorieri, ivi 2005, 359.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Messina Maria era chiamata a rispondere, innanzi al Giudice di pace di Enna, del reato di cui agli artt. 81 cpv e 612, comma 1, c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, minacciava Schillaci Filippo e Calcagno Maria danni ingiusti dicendo loro che gliel’avrebbe fatta pagare.

Con sentenza del 7 marzo 2007, il Giudice di pace assolveva la Messina dal reato a lei ascritto.

Pronunciando sul gravame proposto dal Procuratore della Repubblica di Enna e del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta, il Tribunale di Enna, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava l’imputata responsabile del reato a lei ascritto e la condannava alla pena di euro 30,00 di multa nonché al risarcimento dei danni arrecati alle parti civili, liquidanti in euro 50,00 nei confronti di ciascuna di esse, oltre consequenziali statuizioni.

Avverso la pronuncia anzidetta il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. – Con unico motivo d’impugnazione, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 612 c.p. e violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p. per mancanza della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della minaccia di un danno ingiusto e della sua idoneità a turbare la libertà psichica delle persone offese. Contesta, in particolare, che l’espressione proferita dall’imputata, senza neppure specificare in cosa avrebbe dovuto concretizzarsi il danno ingiusto, abbia contenuto minaccioso. Mancava, in ogni caso, la motivazione sull’effettiva sussistenza in capo alle persone offese dell’effetto intimidatorio e dell’idoneità della frase a turbare la libertà psichica delle vittime.

  1. – Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.

    Non vi è dubbio che la contestata espressione ve la farò pagare, contestualizzata sullo sfondo della vicenda in esame e tenuto conto della qualità personale dell’imputata, è priva di valenza minatoria, non tanto per la genericità ed indeterminatezza del male minacciato, quanto piuttosto perché questo era privo dell’ineludibile connotato di ingiustizia.

    Ed infatti, nell’ambito di un conflittuale di vicinato, contrassegnato da reciproche, emulatorie, condotte lesive dell’altrui proprietà (la Messina aveva installato una condotta pluviale con conseguente scolo sul fondo dei vicini; questi ultimi, dal canto loro, avevano installato un’abusiva condotta di acqua ed esercitavano passaggio abusivo sul fondo della stessa imputata) l’espressione in esame era stata pronunciata, secondo la versione dei fatti prescelta dai giudici di merito, dopo che si erano allontanati i Carabinieri, il cui intervento era stato sollecitato dalle persone offese per indurre la Messina ad eliminare il tubo che convogliava le acque piovane. In una situazione siffatta, era assai verosimile, contrariamente a quanto illogicamente sostenuto dai primi giudici, che l’espressione – peraltro generica – proferita dalla Messina fosse comprensibile reazione all’iniziativa dei vicini, alludendo, come dalla stessa spiegato in sede di interrogatorio, alle iniziative giudiziarie che avrebbe intrapreso per rimuovere od inibire le situazioni illegittime in suo danno. Si è, dunque, trattato della prospettazione del mero esercizio di legittima facoltà...

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