Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine413-453

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 5 maggio 2008, n. 17807 (ud. 2 aprile 2008). Pres. Chieffi - Est. Mocali - P.G. Iacoviello (conf.) - Ric. Confl. comp. in proc. Caracciolo

Cassazione penale - Giudizio di rinvio - Competenza attribuita mediante la sentenza di annullamento - Procedimento in cui il magistrato è persona offesa - Art. 627 c.p.p. e art. 11 c.p.p. - Criteri di applicazione.

Nel caso in cui la Corte di Cassazione, annullando con rinvio la sentenza relativa al procedimento nel quale un magistrato risulti persona offesa, individui il giudice competente non essendo a conoscenza del fatto che nel frattempo il magistrato stesso era stato trasferito in un ufficio giudiziario del distretto della corte di appello individuata quale giudice del rinvio, deve comunque trovare applicazione l'art. 11 c.p.p., norma che intende garantire i basilari valori di imparzialità, trasparenza e terzietà del giudice. Il mancato coordinamento tra l'art. 627 e l'art. 11 c.p.p. non è di ostacolo ad una interpretazione sistematica e logica che consenta di introdurre una eccezione, normativamente prevista, alla regola attributiva di competenza per il giudizio di rinvio. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 627; c.p.p., art. 11) (1).

    (1) Si veda Cass. pen., sez. III, 11 marzo 2003, Piro, in Riv. pen. 2004, 1244, per la quale la sentenza di annullamento con la quale la Corte di Cassazione devolve il giudizio al giudice del rinvio è attributiva della competenza in favore di questi, senza che la corretta applicazione dei criteri per la sua individuazione, stante il disposto del comma primo dell'art. 627 c.p.p., possa essere in una qualunque sede sindacata. Ne consegue, per i giudici, che la designazione, una volta intervenuta, non è suscettibile di revoca o modifica, quand'anche risulti effettuata in violazione della legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza del 24 ottobre 2005, la VI Sezione di questa Corte annullava quella della Corte d'appello di Brescia, resa il 19 aprile 2004 nei confronti di Ettore Caracciolo - imputato del delitto di calunnia a carico del magistrato Angelo Curto, procuratore aggiunto della Repubblica in Milano - con rinvio ad altra sezione della stessa corte d'appello.

Il giudice del rinvio, rilevato che l'assegnazione originaria alla giustizia bresciana del procedimento, era avvenuta in base all'art. 11 c.p.p., stante la qualità di magistrato della persona offesa; e preso atto che la medesima, il 21 aprile 2005 - nelle more, quindi, del giudizio di cassazione - era stata trasferita nel distretto della Corte d'appello di Brescia quale avvocato generale, rilevava che il criterio di competenza stabilito dalla norma citata non era più valido, per ragioni sconosciute al giudice dell'annullamento; e pertanto, con ordinanza del 21 luglio 2006, disponeva la trasmissione degli atti alla Corte d'appello di Venezia, individuata quale giudice competente.

La detta Corte, ritenendo che il provvedimento citato violasse l'art. 627 comma 1 c.p.p. e che la competenza fosse definitivamente radicata in Brescia, rilevava conflitto, chiedendone a questa Corte la risoluzione.

Il conflitto sussiste, in quanto due giudici ordinari contemporaneamente ricusano la cognizione del medesimo fatto, loro deferito, dando così luogo alla situazione di stallo processuale, cui questa Corte deve porre rimedio, ai sensi degli artt. 28 e segg. c.p.p.

La designazione, quale giudice del rinvio, della Corte d'appello di Brescia, non è avvenuta per un errore materiale nel quale è incorso il giudice di legittimità, all'atto dell'annullamento; in tal caso, infatti, sarebbe possibile la procedura correttiva ex art. 130 c.p.p., come riconosce la più recente giurisprudenza (cfr. sez. V, 6 novembre 2003, Rv. 227637; sez. V, 24 ottobre 2005, Rv. 232799). Tale designazione avvenne in base al criterio generale stabilito dall'art. 623 lett. c) c.p.p., non essendo noto l'avvenuto trasferimento del magistrato parte lesa, nel distretto bresciano.

Siffatta situazione ha comportato la conflittualità tra le due Corti: quella designata dal Supremo Collegio e quella che, investita del processo, ha ritenuto di prendere atto della mutata situazione, opinando per l'applicabilità, anche in tale fattispecie, del disposto dell'art. 11 c.p.p.

Ora, principio di carattere generale, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è che il cosiddetto foro commissorio - ovvero, l'attribuzione di competenza ad un giudice, derivante dal testo dell'art. 627 comma 1 c.p.p. - sia irretrattabile, al di fuori dell'ipotesi prevista dall'art. 25, che peraltro non si attaglia alla fattispecie, non determinando il fatto nuovo sopravvenuto (in realtà: preesistente alla decisione di annullamento con rinvio, ma che ha determinato la situazione contemplata dal comma 2 dell'art. 11 c.p.p.) le conseguenze ivi indicate (cfr. da ultimo sez. I, 13 giugno 2003, Cordera). Tuttavia, pare al Collegio che la peculiarità del caso, chiami in causa proprio la norma che determina la competenza del giudice secondo i criteri stabiliti dall'art. 11 c.p.p., norma che intende garantire i basilari valori della funzione giudiziaria, afferenti alla imparzialità, alla trasparenza e alla credibilità del giudizio - in una parola, alla sostanziale terzietà del giudice stesso, secondo l'espli-Page 414cito precetto costituzionale. E non può non rilevarsi come quello individuato ai sensi dell'art. 11 c.p.p., sia il giudice naturale, precostituito per legge, nei casi che vedano un magistrato parte offesa, come nella specie.

Una mancata specifica previsione da parte del legislatore (al di fuori della qui irrilevante ipotesi dell'art. 25 c.p.p.), che non ha coordinato gli artt. 627 e 11 c.p.p., non è di ostacolo ad una interpretazione sistematica e logica del combinato, la quale consente di introdurre una eccezione - normativamente prevista, a sua volta, come regola generale - alla regola attributiva di competenza, per tutti gli altri casi.

Deve dunque dichiararsi la competenza della Corte d'appello di Venezia, alla quale, risolvendosi il conflitto, debbono essere trasmessi gli atti del processo. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 22 aprile 2008, n. 17807 (ud. 2 aprile 2008). Pres. Chieffi - Est. Piraccini - P.M. Iacoviello (conf.) - Ric. P.M. in proc. Polselli

Esecuzione in materia penale - Computo della pena - Fungibilità - Periodo di pena presofferto - Computo ai fini dell'indulto in parte a pena detentiva in parte a pena pecuniaria - Ammissibilità.

Al fine di ottenere un beneficio effettivo per il condannato, ossia di usufruire per intero del limite massimo dell'indulto, in presenza di un periodo di pena presofferto, esso può essere computato in parte alla pena detentiva e in parte alla pena pecuniaria, non ostandovi la lettera dell'art. 657 c.p.p. che, pur prevedendo al primo ed al terzo comma la possibilità di imputare il presofferto all'uno e all'altro tipo di pena, non esclude la possibilità di combinare le due operazioni. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 174; c.p.p., art. 672; c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 657) (1).

    (1) La citata sentenza Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 1994, Potrich, è pubblicata integralmente in questa Rivista 1994, 45.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Tribunale di Urbino, quale giudice dell'esecuzione, rigettava la richiesta del P.M. di rettificare una precedente ordinanza con la quale il medesimo giudice aveva ridotto il beneficio dell'indulto concesso a Polselli Daniele, in conseguenza del riconoscimento di un periodo di custodia cautelare e di arresti domiciliari presofferti per un totale di mesi 5 e giorni 27. Osservava che ai sensi dell'art. 137, comma 1, c.p. tale carcerazione doveva essere detratta dalla durata complessiva della pena da espiare, sia essa detentiva che pecuniaria e precisamente poteva essere detratta per mesi 4 dalla pena detentiva e per i restanti 57 giorni, convertiti ai sensi dell'art. 135 c.p., come detrazione dalla pena pecuniaria in modo da poter beneficiare per intero dell'indulto sulla pena residua di anni 3 di reclusione e euro 9.760 di multa.

Avverso la decisione presentava ricorso il P.M. e deduceva violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto di poter commutare, sulla base del presofferto, non solo la pena detentiva ma anche quella pecuniaria, mentre invece l'art. 137 c.p. consentiva che il presofferto potesse applicarsi o a quella detentiva o a quella pecuniaria ma non congiuntamente, e comunque si trattava di una operazione che non poteva fare il giudice dell'esecuzione ma solo il P.M.

Il condannato presentava una memoria di adesione alla tesi sostenuta dal giudice dell'esecuzione ed in particolare riteneva legittimo utilizzare il presofferto per ridurre sia la pena detentiva che quella pecuniaria, previo ragguaglio, e che fosse competenza del giudice dell'esecuzione provvedere ai sensi dell'art. 657 c.p.p.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato. Deve in primo luogo rilevarsi che la decisione del giudice dell'esecuzione è intervenuta a seguito di procedimento in camera di consiglio partecipata, per cui nessuna nullità si è verificata (sez. I, 14 novembre 1997 n. 6168, rv. 209134).

Inoltre è possibile che l'istanza di fungibilità del presofferto venga rivolta direttamente al giudice dell'esecuzione, quando costui risulti investito ai sensi dell'art. 666 c.p.p. di una questione attinente all'esecuzione, come nel caso di specie in cui la decisione definitiva di merito non poteva aver riconosciuto l'esistenza del presofferto (sez. I, 4 dicembre 2000 n. 5353, rv. 218085).

Quanto al merito della questione deve rilevarsi che l'applicazione dell'indulto deve avvenire in modo da assicurare un beneficio effettivo all'imputato e, pertanto, le norme debbono essere interpretate nel senso di garantire che l'imputato possa beneficiarne nella sua massima estensione; ne consegue che, in presenza di un periodo di pena presofferto, esso può essere...

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