Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine497-543

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. V, 19 febbraio 2008, n. 7621 (ud. 10 gennaio 2008). Pres. Nappi - Est. Fumo - P.M. Stabile (diff.) - Ric. Profeta

Falsità in atti - In certificati o autorizzazioni amministrative - Targa automobilistica - Falsificazione - Reato ravvisabile - Individuazione.

La formazione di una falsa targa di circolazione per ciclomotore è da ritenere punibile a titolo di falsità materiale in certificazioni, limitatamente però alle condotte poste in essere a far tempo dal 1º gennaio 2003, data di entrata in vigore del D.L.vo 15 gennaio 2002 n. 9 che, all'art. 3, ha dettato una nuova formulazione dell'art. 97 nuovo c.s. in sostituzione di quella precedente, in base alla quale, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 21 del D.L.vo 30 dicembre 1999 n. 507, il fatto era sanzionato solo in via amministrativa. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 482; c.p., art. 477; nuovo c.s., art. 97) (1).

    (1) Si veda il lontano precedente costituito da Cass. pen., sez. II, 21 settembre 1988, La Tela, in questa Rivista 1989, 90, secondo cui la falsificazione di una targa automobilistica costituisce il reato di cui agli artt. 482, 477 c.p., e non quello di cui agli artt. 482, 476 c.p., poiché la targa automobilistica non ha natura di atto pubblico, ma di certificazione amministrativa. Di identico tenore Cass. pen., sez. II, 28 maggio 1984, Giuntoli, in Giust. civ. 1985, II, 508. Sulla natura di certificazione amministrativa della targa automobilistica, in quanto trattasi di documento meramente dichiarativo in cui il pubblico registro automobilistico attesta quanto risulta da un pubblico atto preesistente, si veda anche Cass. pen., sez. II, 3 giugno 1987, Franco, ivi 1988, II, 477.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - La Corte di appello di Palermo, con sentenza del giorno 11 gennaio 2006, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale Profeta Ernesto fu condannato alla pena di giustizia in quanto ritenuto colpevole del delitto ex art. 482 c.p. (in relazione all'art. 477 stesso codice) per aver formato una falsa targa di un ciclomotore.

Con il ricorso il difensore deduce violazione di legge e carenza di motivazione, atteso che il giudice di secondo grado si è limitato a recepire pedissequamente le motivazioni del primo giudicante.

In particolare, in ordine alla grossolanità del falso, la Corte palermitana, sostiene il ricorrente, non ha dato risposta alle censure sollevate con i motivi di appello, affidandosi alla affermazione congetturale in base alla quale i verbalizzanti, solo a seguito di controllo eseguito di persona, si accorsero della non conformità alla legge del contrassegno di identificazione del veicolo. In realtà, se i giudicanti avessero preso visione della «targa», non avrebbero potuto non rendersi conto della rozzezza della imitazione.

Tanto premesso, va subito osservato:

1) che - ratione temporis - la condotta scritta al Profeta è riconducibile allo schema normativo di cui all'art. 97 del c.s., come modificato dal D.L.vo 30 dicembre 1999 n. 507 (in vigore sino al 31 dicembre 2002) e non a quello di cui agli artt. 482, 477 c.p., con la conseguenza:

2) che, all'epoca in cui, secondo la ipotesi di accusa, il Profeta tenne la condotta di cui sopra (29 settembre 2002), il fatto non era (più) previsto dalla legge come reato.

Invero la formazione di falsa targa di un ciclomotore era, fino a tutto il 2002, punita con sanzione amministrativa, essendo stata, appunto, depenalizzata tale condotta.

A seguito della entrata in vigore (come si è anticipato, dal 1º gennaio 2003) del D.L.vo 15 gennaio 2002 n. 9, recante ulteriori modificazioni e integrazioni al c.s., l'art. 97 è stato ancora una volta riformulato (dall'art. 3 del predetto decreto): nella «stesura» vigente, invero, esso non prevede più che la condotta in questione sia punita a titolo di illecito amministrativo. Ne consegue che ormai tale condotta deve necessariamente essere inquadrata nella fattispecie criminosa del falso materiale in certificazioni, commesso dal privato (un esplicito rinvio è viceversa previsto al comma quattordicesimo dell'art. 100 del c.s. vigente, relativo alle targhe degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi: «Chiunque falsifica, manomette o altera targhe automobilistiche ovvero usa targhe manomesse, falsificate o alterate è punito ai sensi del codice penale»).

In ragione di tutto quanto premesso, è di tutta evidenza che il Profeta agì nell'arco temporale (dicembre 1999-dicembre 2002) in cui il fatto non era sanzionato penalmente.

La sentenza impugnata va, di conseguenza, annullata senza rinvio con la corrispondente formula.

Essendo poi prescritta la contravvenzione prevista dall'art. 97 c.s. nel testo originario, non deve esser disposta trasmissione alla autorità amministrativa. (Omissis).

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 1 febbraio 2008, n. 5096 (ud. 17 ottobre 2007). Pres. Battisti - Est. Marini - P.M. D'Ambrosio (conf.) - Ric. Enrietti Bertolotto

Reato - Cause di esclusione del dolo e della colpa - Caso fortuito - Nozione - Fattispecie in tema di sinistro stradale.

Il caso fortuito esclude l'elemento psicologico del reato, consistendo in un fatto assolutamente improvviso, imprevedibile e non evitabile dal soggetto agente pur facendo uso di ogni diligenza. (Nel caso di specie la Corte ha escluso la non punibilità del comportamento di chi, dopo aver partecipato ad una lite e nello stato di agitazione che ne era seguito, si poneva alla guida della propria autovettura tenendo una condotta di guida imprudente, tanto da provocare l'investimento di uno dei litiganti). (C.p., art. 45; c.p., art. 590) (1).

    (1) Per Cass. pen., sez. III, 12 febbraio 1998, Rosati, in Riv. pen. 1998, 631, affinché l'accadimento fortuito possa escludere la punibilità dell'agente deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta dello stesso sia dalla di lui colpa; conseguentemente se l'accadimento, pur se eccezionale, ben poteva in concreto essere previsto ed evitato, non è possibile parlare di caso fortuito in senso tecnico. Cfr., inoltre, Cass. pen., S.U., 17 novembre 1980, Falloni, in questa Rivista 1981, 114 e Cass. pen., sez. IV, 18 maggio 2007, Mollicone, anch'essa pubblicata integralmente ivi 2007, 1156.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza emessa il 29 ottobre 2002 il Tribunale di Ivrea dichiarava Enrietti Bertolotto Pietro responsabile dei reati di lesioni colpose gravi (così derubricato il reato di cui al capo 1 di imputazione, originariamente contestato come di lesioni volontarie aggravate) commesso in data 7 maggio 2000 investendo, alla guida di un'autovettura, Zucca Vittorio, e di porto ingiustificato, nel medesimo contesto spazio-temporale, di un accendino munito di lama retrattile (art. 4, comma 3, L. 110/75, capo 2).

Riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alle contestate aggravanti, nonché l'ipotesi della lieve entità di cui al citato art. 4, comma 3, L. 110/75, condannava l'imputato alle pene di 250 euro di multa, per il primo dei suddetti reati, e di 100 euro di ammenda per il secondo, oltre al risarcimento dei danni in favore dello Zucca, costituitosi parte civile, ed alle spese da questi sostenute in tale veste.

Assolveva lo stesso imputato dal reato di lesioni volontarie di cui al capo 2) della imputazione e dal reato di rissa contestato sub capo 4), rispettivamente perché il fatto non costituisce reato e perché il fatto non sussiste.

Proposto appello dal difensore dell'imputato, la Corte d'appello di Torino, con sentenza pronunciata il 4 ottobre 2006 confermava la sentenza impugnata, condannando l'appellante a rifondere alla parte civile le spese del grado.

Affermavano i secondi giudici che correttamente il tribunale aveva ravvisato la colpa dell'imputato in ordine al delitto ex art. 590 c.p. perché l'Enrietti Bertolotto, in un contesto nel quale si era verificata una (ormai conclusa) aggressione contro l'autovettura da lui condotta, era ripartito alla guida della stessa in uno stato di concitazione ed eccitazione ed aveva percorso alcuni metri in direzione di Zucca Vittorio ed il fratello Armando, i quali stavano colluttando, al fine di far salire il fratello sull'auto, e nel fare ciò aveva tenuto una condotta imprudente sì da avere investito entrambi.

La possibilità, in quel contesto, di cagionare l'investimento era, secondo i giudici di merito, del tutto prevedibile in quanto i due colluttanti si trovavano al centro della strada, sicché la colpa del conducente era consistita nel non essersi fermato a debita distanza ma di avere proseguito, sia pur lentamente, la marcia di avvicinamento, manovra, questa, imprudente e causativa delle lesioni riportate dallo Zucca, colpito ad una gamba dal paraurti anteriore destro del veicolo.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con esclusivo riferimento al capo di condanna per il delitto di lesioni colpose, il difensore dell'imputato deducendo i vizi di legittimità contemplati nelle lettere b) ed e) dell'art. 606, comma 1, del codice di rito.

Il ricorrente ha affermato che «il particolare stato di agitazione (quale fattore quasi patologico che ha soppresso la capacità di autodeterminazione dell'imputato) doveva essere ricondotto a principio di non esigibilità di una condotta diversa da parte dell'Enrietti Bertolotto, trovatosi a guidare la propria autovettura dopo avere subito un'aggressione e per mettersi in fuga insieme al fratello, e pertanto in condizioni soggettive tali da non potersi da lui «umanamente» pretendere un comportamento diverso da quello tenuto.

Inoltre, la Corte territoriale nulla ha osservato in ordine alla eventualità, prospettata dalla difesa, che lo Zucca, mentre colluttava con Enrietti Bertolotto Armando, si fosse involontariamente avvicinato (e con lui l'altro contendente, anch'esso investito in quel frangente) all'autovettura condotta dall'imputato, come era pur ritenibile in considerazione del particolare contesto di movimenti scomposti in fase di lotta...

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