Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 4 marzo 2008, n. 5891. Pres. Corona - Est. Bucciante - P.M. Patrone (parz. conf.) - Verrusio ed altra c. Amici ed altri

Parti comuni dell'edificio condominiale - Presunzione di comunione - Art. 1117 c.c. - Interpretazione - Uso esclusivo del bene - Fattispecie.

L'art. 1117 c.c. non stabilisce propriamente una «presunzione di condominialità» dei beni che si sono menzionati, trattandosi piuttosto di norma che direttamente li attribuisce ai titolari delle proprietà individuali, i quali senz'altro li acquistano insieme con le rispettive loro porzioni immobiliari, in ragione della connessione materiale o funzionale che lega gli uni alle altre, salvo che il titolo disponga diversamente. (Fattispecie relativa a vano destinato a cabina idrica a servizio di tutti gli appartamenti dell'edificio, ma utilizzato in maniera esclusiva da un condomino). (C.c., art. 1117) (1).

    (1) La sentenza Cass. 14 febbraio 2006, n. 3159 citata in motivazione trovasi pubblicata in questa Rivista 2006, 451.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto notificato il 4 gennaio 1994 Fernando Amici, Raffaella Monaco, Rita Martelli, Salvatore Fabio, Bruno Pascucci, Renata Bandini, Giuseppina Trabunella, Alvaro Moretto, Maria Bettelli, Olga Buoni del Buono e Giuseppina Carli, condomini dell'edificio sito in via Germania n. 68 a Torvaianica, citarono davanti al Tribunale di Roma Francesco Verrusio e Martine Le Faucheur, proprietari a loro volta di un'unità immobiliare del fabbricato, chiedendo che fosse dichiarata di proprietà comune la cabina idrica, posseduta di fatto dai convenuti, con loro condanna al rilascio del locale, al pagamento di un'indennità di occupazione e al risarcimento dei danni. Tali domande, delle quali Francesco Verrusio e Martine Le Faucheur avevano contestato la fondatezza, furono accolte con sentenza del 23 giugno 1999.

Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Roma, che con sentenza del 23 aprile 2003 ha rigettato il gravame, ritenendo: che Francesco Verrusio e Martine Le Faucheur erano proprietari soltanto del monolocale con WC descritto nell'atto di acquisto del 18 ottobre 1991, atto nel quale, come anche nei precedenti titoli di provenienza dei loro danti causa, il vano in questione e alcune altre porzioni condominiali erano stati menzionati soltanto per indicare i confini, pur se con omissione per errore materiale delle parole «confinante con»; che artificiosamente, con un nuovo atto pubblico del 22 febbraio 1995, gli appellanti nel corso del giudizio avevano (ri)acquistato il medesimo locale dal venditore dell'alloggio.

Contro tale sentenza Francesco Verrusio e Martine Le Faucheur hanno proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. Fernando Amici, Raffaella Monaco, Rita Martelli, Salvatore Fabio, Bruno Pascucci, Renata Bandini, Giuseppina Trabunella, Alvaro Moretto, Maria Bettelli, Olga Buoni del Buono e Giuseppina Carli si sono costituiti con controricorso e hanno presentato una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con i due motivi addotti a sostegno del ricorso - tra loro commessi e da esaminare pertanto congiuntamente - Francesco Verrusio e Martine Le Faucheur si dolgono di «violazione e falsa applicazione dell'art. 1117 c.c., anche in relazione all'art. 116 c.p.c., nonché ai principi generali di prova e di presunzione» e di «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia», per avere la corte d'appello erroneamente ritenuto che l'art. 1117 c.c. ponga una presunzione legale di comunione delle porzioni immobiliari di un edificio condominiale destinate a servizi comuni, e per avere altresì ingiustificatamente negato che gli appellanti avessero adeguatamente provato la loro qualità di proprietari esclusivi del locale in contestazione.

La censura va disattesa.

La giurisprudenza di legittimità più recente e avvertita (v., tra le altre, Cass. 14 febbraio 2006 n. 3159) è orientata nel senso che l'art. 1117 c.c. non stabilisce propriamente una «presunzione di condominialità» dei beni che vi sono menzionati, trattandosi piuttosto di norma che direttamente li attribuisce ai titolari delle proprietà individuali, i quali senz'altro li acquistano insieme con le rispettive loro porzioni immobiliari, in ragione della connessione materiale o funzionale che lega gli uni alle altre, salvo che il titolo disponga diversamente.

L'impiego di una categoria ormai superata, come la presunzione di condominialità, non ha tuttavia causato l'errore giuridico che i ricorrenti addebitano al giudice di secondo grado, il quale non ha affatto negato, in diritto, la possibilità che il vano oggetto della causa, pur essendo stato destinato e adibito a cabina idrica a servizio di tutti gli appartamenti dell'edificio dal momento della sua costruzione al 1991, appartenesse tuttavia a Francesco Verrusio e Martine Le Faucheur, ove ciò fosse risultato dal titolo; ha invece escluso, in fatto, che l'atto di acquisto degli appellanti e quelli dei loro danti causa potesse essere inteso in tal senso.

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Si verte dunque in tema di apprezzamenti eminentemente di merito, sindacabili in questa sede soltanto sotto il profilo dei vizi di motivazione, dai quali però la sentenza impugnata è immune, poiché la corte d'appello ha dato conto adeguatamente, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni per le quali ha ritenuto che nella dizione «appartamento int. B di circa mq. 18 di unico locale con sgabuzzino int. C, vano scala, cabina idrica» fosse stata omessa per errore materiale la parola «confinante» dopo il termine «locale»: altrimenti, negli atti di acquisto sarebbe stato omesso l'indispensabile elemento dell'indicazione dei confini e sarebbero stati trasferiti anche un interno che aveva formato oggetto di altra alienazione, oltre che il vano scale di accesso a tutti gli appartamenti.

L'asserita maggiore plausibilità della diversa interpretazione propugnata dai ricorrenti non costituisce valido motivo di cassazione della sentenza impugnata, non potendo questa Corte compiere valutazioni comparative siffatte, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità.

Nel contesto del secondo motivo di ricorso Francesco Verrusio e Martine Le Faucheur lamentano che la corte d'appello ha totalmente omesso di pronunciare su quanto avevano dedotto, nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, in ordine alla mancanza di prove circa la data di inizio dell'occupazione da parte loro del locale e circa l'entità dei danni lamentati dagli originari attori.

La doglianza è fondata, poiché in effetti il giudice di secondo grado ha mancato di provvedere sul punto.

Pertanto, rigettato il primo motivo di ricorso e accolto per quanto di ragione il secondo, la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d'appello di Roma, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 29 febbraio 2008, n. 5510. Pres. Petti - Est. D'Ascola - P.M. Iannelli - Francalanci (avv.ti Cassi e Scatizzi) c. Maggiordomo (avv. Paparo) ed altri

Avviamento commerciale - Indennità - Presupposti - Contatto diretto con il pubblico - Mancanza di insegne pubblicitarie - Irrilevanza.

Condizione per il riconoscimento dell'indennità di avviamento è soltanto l'effettiva destinazione dell'immobile ad attività che comporti il contatto con il pubblico dei clienti, essendo irrilevante che i locali non siano in alcun modo evidenziati mediante insegne pubblicitarie, comparendo solo il nominativo della ditta nel campanello d'ingresso dello stabile. Questo perché, il punto che qualifica l'uso dell'immobile ai fini dell'indennità non è l'entità numerica della cerchia di avventori raggiunta o il reperimento di essa tra i passanti della pubblica via antistante l'immobile locato, quanto il fatto che i locali in cui si svolge l'attività vengano aperti alla frequentazione diretta dei clienti che abbiano necessità e interesse ad entrare in contatto con l'impresa. (L. 2 luglio 1978, n. 392, art. 35) (1).

    (1) Si veda, per un caso affine, Cass., Sez. un., 10 marzo 1998, n. 2646, in Rass. loc. e condom. 1998, 211 con nota di GUIDA, secondo cui nel caso di immobile dato in locazione per essere destinato ad un'attività che secondo le sue modalità tipiche comporta contatto diretto con il pubblico (come quella di intermediazione immobiliare se rivolta a soddisfare le esigenze non di singoli soggetti direttamente contattati o di singoli altri operatori economici, ma della indistinta generalità degli interessati, raggiunti attraverso la diffusione di messaggi tipici per tale genere di attività, come inserzioni sui giornali, cartelli affissi all'esterno degli immobili da vendere, manifesti etc., pur nella mancata segnalazione della presenza, nell'immobile locato, della sede dell'azienda), qualora il locatore convenuto per il pagamento dell'indennità di avviamento non neghi l'effettivo svolgimento, nell'immobile, dell'attività contrattualmente prevista, la domanda del conduttore non può essere respinta sul rilievo della mancanza di prova del contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, per non essere stata dimostrata l'utilizzazione dei locali come fonte di procacciamento di clienti, non risultando apposti all'esterno dei locali stessi i consueti elementi di attrazione per il pubblico (quali insegne, vetrine etc.), trattandosi di circostanze di per sè non significative, che non possono costituire impedimento ad una prova per presunzioni della sussistenza di tali contatti, tratta, secondo un criterio di normalità, ed in assenza di contrari elementi di giudizio, dalla circostanza che essi sono connaturati ad un'attività della quale è certo l'avvenuto svolgimento.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - A seguito di licenza per finita locazione di immobile adibito ad uso diverso da...

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