Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine203-241

    Le massime delle pronunce riportate in questa rubrica sono quelle ufficiali del C.E.D. della Corte di cassazione, tranne quelle con la dicitura Mass. redaz. le quali, essendo riferite a decisioni talmente recenti da non essere state ancora ufficialmente massimate, sono opera della Redazione.

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 23 dicembre 1998, n. 13606 (ud. 18 novembre 1998). Pres. Tonini - Est. Grillo - P.M. Martusciello (conf.) - Ric. Iannuzzelli

Inquinamento - Rifiuti - Smaltimento - Autoveicoli - Esercizio di discarica di veicoli a motore e loro parti - Autorizzazione - Mancanza - Reato di cui all'art. 51, comma primo, lett. b) del D.L.vo n. 22/1997 - Configurabilità - Sussistenza.

L'esercizio di una discarica di veicoli a motore e loro parti in difetto della prescritta autorizzazione costituisce reato ex art. 51, comma 1, lett. b), del D.L.vo 22/97. (Mass. redaz.). (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51) (1).

    (1) Conforme a Cass. pen., sez. III, 21 ottobre 1998, Boccanera, in questa Rivista 1998, 989.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con la sentenza 26 marzo 1997, il Pretore di Avellino - sezione distaccata di Calitri applicava a Iannuzzelli Antonio - ex art. 444 c.p.p. - la pena, condizionalmente sospesa, di giorni 15 di arresto, convertita in pena pecuniaria, e lire 150.000 di ammenda, in ordine alla contravvenzione di cui all'art. 25, comma 3, parte prima, D.P.R. n. 915/1982, per aver esercitato una discarica di veicoli a motore e loro parti in difetto della prescritta autorizzazione.

Con la medesima decisione il predetto veniva condannato alla pena, anch'essa condizionalmente sospesa, di mesi 4 di arresto e lire 1.500.000 di ammenda, in ordine alla contravvenzione di cui al successivo art. 26 del menzionato decreto, per aver smaltito, senza autorizzazione, batterie di piombo esauste.

Proponeva appello Iannuzzelli contro entrambe le statuizioni della detta sentenza e la Corte distrettuale di Napoli, con la pronunzia indicata in premessa, dichiarava inammissibile il gravame per quanto concerne il reato «patteggiato» - in ordine al quale, previo stralcio, disponeva la trasmissione degli atti a questa Suprema Corte - mentre confermava la sentenza impugnata, relativamente alla condanna per l'altro reato.

Ricorre per cassazione l'imputato, deducendo: 1) inosservanza della legge penale per violazione degli artt. 50, 51, 52 D.L.vo n. 22/1997 e succ. modif., che hanno depenalizzato i fatti addebitatigli, giacché egli non aveva creato alcuna discarica, essendosi limitato a lasciare depositati, nell'area adiacente alla propria officina meccanica, veicoli e pezzi di ricambio da riutilizzare in caso di bisogno; 2) inosservanza della legge penale per violazione dell'art. 580 c.p.p., in quanto la corte del merito avrebbe dovuto decidere anche il motivo di gravame relativo al reato «patteggiato», dovendosi ritenere - per motivi di economia processuale - convertito in appello il ricorso; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 444 in relazione agli artt. 445, 446, 447 c.p.p., nella parte in cui non è stata consentita la revoca del consenso prestato al patteggiamento, prima della ratifica del giudice; 4) omessa motivazione della conferma della sentenza di primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 26 D.P.R. n. 915/1982; 5) omessa motivazione, sempre in relazione a tale reato, di circostanze decisive ai fini del giudizio, quali quella della presenza di batterie nell'area in questione; 6) vizio di motivazione in ordine ad elementi di fatto di cui si è data valutazione illogica e contraddittoria, nonché violazione di legge per alterazione delle circostanze di fatto emerse dal processo, giacché entrambe le sentenze di merito non hanno accertato la presenza in loco delle menzionate batterie.

All'odierno dibattimento il P.G. e la difesa concludono come riportato in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Osserva preliminarmente il collegio che, delle censure sopra riportate, devono essere esaminate in questa sede soltanto quelle che riguardano le statuizioni della Corte partenopea attinenti alla conferma della sentenza pretorile in ordine alla contravvenzione di cui all'art. 26 D.P.R. n. 915/1982, in quanto le altre, a seguito dello stralcio disposto dal giudice del merito, formano oggetto di autonomo procedimento presso questa Corte Suprema.

Ciò premesso, si pone prioritariamente il problema di accertare se la contravvenzione suddetta costituisca tuttora reato, alla luce della nuova disciplina dei rifiuti introdotta dal D.L.vo n. 22/1997, che ha espressamente abrogato quella precedente. A tal fine si ricorda che all'imputato è stato contestato di aver effettuato, senza autorizzazione, una fase di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi (batterie di piombo esauste), trovati accantonati in un'area a sua disposizione.

Con la vecchia disciplina, infatti, ogni fase dello smaltimento (raccolta e trasporto, stoccaggio provvisorio, trattamento, stoccaggio definitivo) di tale categoria di rifiuti (tossici e nocivi) era assoggettata ad autorizzazione regionale (art. 16), concretandosi, in caso di inosservanza, la contravvenzione di cui al successivo art. 26.

Con la nuova disciplina, innanzi tutto, scompare la categoria dei rifiuti tossici e nocivi, distinguendosi gli stessi in urbani e speciali, e questi ultimi in pericolosi e non pericolosi; in secondo luogo costituiscono autonomi reati (art. 51) le singole attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di ogni rifiuto (pericolosi e non), in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione, previste dalla stessa legge (articoli da 27 a 33).

Ciò premesso, occorre accertare se la condotta tenuta dall'imputato possa essere inquadrata in una di quelle vietate dalla nuova legge e, subordinatamente, con riferimento alla tipologia del rifiuto, stabilire quale sia la norma più favorevole da applicare nella fattispecie in esame.

Ebbene, per quanto concerne il primo problema, ad avviso di questo collegio, tenute presenti le definizioni di cui all'art. 6 del D.L.vo n. 22/1997, la condotta dell'imputato concreta l'attività di smaltimento o, tutt'al più, di raccolta dei detti rifiuti, descritta dalla norma.

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Non si può parlare, infatti, di deposito temporaneo, come prospettato dalla difesa, per una serie di motivi. In primis, l'area ove essi erano accatastati non può qualificarsi come luogo di produzione degli stessi, in quanto dalla lett. i) della norma in esame si ricava che i rifiuti devono originare da un'«attività di produzione» svolta proprio in quel luogo, e tale non è di certo l'attività di meccanico effettuata dall'imputato, né si può sostenere che le batterie esauste siano «prodotte» dalla menzionata attività. In secundis, per potersi configurare il deposito temporaneo devono essere rispettate una serie di prescrizioni, specificamente indicate dalla lett. m) dell'art. 6 in questione, che di certo non risultano osservate nella fattispecie in esame.

Quindi l'attività dell'imputato, lungi dall'essere depenalizzata alla luce della nuova normativa, come il predetto pretende, costituisce tuttora reato, ai sensi del menzionato art. 51.

Ai fini della individuazione, poi, della pena edittale prevista per il caso in esame, va rilevato che le batterie di piombo esauste rientrano espressamente nella categoria dei rifiuti pericolosi, di cui all'art. 7, comma 4, D.L.vo n. 22/1997 («accumulatori di piombo», codice CER 160601 dell'all. D al decreto).

Ne consegue che la sanzione prevista per il reato in questione (raccolta o smaltimento non autorizzato di rifiuti pericolosi), è quella di cui all'art. 51, comma 1, lett. b), della nuova legge e, quindi, più grave della precedente (art. 26 L. n. 915/1982), per cui lex mitior - che va applicata nel caso di specie, ex art. 2 c.p. - deve considerarsi quest'ultima.

Deve, pertanto, ritenersi infondata la prima doglianza. Le rimanenti doglianze proposte dal ricorrente, peraltro del tutto ripetitive di analoghe censure dedotte in appello ed in ordine alle quali la gravata decisione contiene risposta adeguata ed esente da vizi logico-giuridici, sono per tale ragione, ad avviso di questo collegio, addirittura inammissibili, anche perché attengono al fatto e rappresentano altrettante critiche alla valutazione delle prove effettuate dai giudici del merito.

Al proposito si ricorda che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 4 dicembre 1998, n. 12314. Pres. Meriggiola - Est. Perconte Licatese - P.M. Gambardella (conf.) - Magnone ed altra (avv.ti Cersosimo e Todeschini) c. Soc. Ativa (avv.ti Testa, Antonelli D'Oulx e Benintendi)

Responsabilità civile - Cose in custodia - Presunzione di colpa - Autostrade - Situazione di pericolo occulto - Responsabilità della P.A. ex art. 2054 c.c. - Esclusione - Azione ex art. 2043 c.c. - Esperibilità.

Con riguardo a danni subiti da utenti di autostrade non trova applicazione la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c. nei confronti della P.A. proprietaria dell'autostrada ovvero del concessionario della...

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