Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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I.

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 aprile 1999, n. 5461. Pres. Tomini - Est. Postiglione - P.M. Albano (conf.) - P.G. in proc. Cicuto

Acque pubbliche e private - Inquinamento - Insediamenti civili e produttivi - Scarichi - Impianti di autolavaggio - Qualificazione giuridica - Insediamento produttivo - Sussistenza - Autorizzazione - Necessità.

Gli impianti di autolavaggio integrano insediamenti produttivi, come tali soggetti all'autorizzazione di cui all'art. 21 L. n. 319/1976. (L. 10 maggio 1976, n. 319, art. 21) (1).

II.

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 marzo 1999, n. 4053 (ud. 8 febbraio 1999). Pres. Avitabile - Est. Postiglione - P.M. Ranieri (conf.) - Ric. P.G. in proc. c. De Zotti e altri

Acque pubbliche e private - Inquinamento - Insediamenti civili o produttivi - Scarichi - Impianti di autolavaggio - Qualificazione giuridica - Insediamento produttivo - Sussistenza - Autorizzazione - Necessità.

Gli impianti di autolavaggio devono considerarsi insediamenti produttivi e non civili in base alla L. n. 319/76 e sue successive modifiche, e pertanto gli scarichi prodotti da questi devono essere preventivamente autorizzati in modo espresso e pacifico, e devono applicare i limiti di accettabilità. (L. 10 maggio 1976, n. 319, art. 23) (2).

    (1, 2) Sulla natura di insediamento produttivo, e non civile, dell'impianto di autolavaggio, v. Cass. pen., sez. III, 13 novembre 1995, Marchetti, in Riv. pen. 1996, 323; Cass. pen., sez. III, 27 giugno 1992, Granaglia, ivi 1993, 477; Cass. pen., sez. III, 22 novembre 1986, Casari, ivi 1987, 773 e Cass. pen., sez. III, 29 ottobre 1985, Resti, ivi 1986, 713.

I.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Pretore di San Donà di Piave, con sentenza del 3 dicembre 1997, assolveva l'imputato Cicuto Bernardo dal reato di cui all'art. 21, primo comma L. 319/72 per uno scarico abusivo da una stazione di autolavaggio, ritenendo che in base alla legge 172/95 gli scarichi civili - come quello in oggetto - sarebbero depenalizzati.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Venezia, deducendo errata interpretazione e violazione delle norme di legge che regolano la materia (L. 319/76 e L. 172/95), per avere il Pretore di San Donà di Piave dato agli impianti di autolavaggio la qualificazione giuridica di insediamenti civili, anziché produttivi, stante la assimilabilità dei loro reflui e per aver disatteso l'orientamento della Corte Suprema di Cassazione.

Il ricorso è fondato.

La normativa comunitaria che, come è noto, ha rilevanza sul diritto interno, allorché sia scaduto il termine concesso al legislatore nazionale per il suo recepimento (come ritenuto più volte dalla Corte europea di giustizia es. sentenza Ratti 9 aprile 1979, Becker 19 gennaio 1982, Marchall 26 febbraio 1986, Costanzo 22 giugno 1989, 13 novembre 1990, in Foro it. 1992 e dalla nostra Corte costituzionale, sent. n. 170 dell'8 febbraio 1984, n. 389 del 4 luglio 1989, n. 64 del 2 febbraio 1990, n. 168 del 18 aprile 1991) - con la direttiva n. 271 del 21 maggio 1991, art. 2 distingue chiaramente le «acque reflue domestiche» dalle «acque reflue industriali».

Il criterio distintivo, nel primo caso, è individuato dalla provenienza «da insedimaenti di tipo residenziale e da servizi» e dal contenuto «prevalentemente dal metabolismo umano ed attività domestiche», mentre, nel secondo caso, la provenienza è riferita ad «attività commerciale o industriale» e il contenuto risulta definito da un principio onnicomprensivo di esclusione «qualsiasi tipo di acque reflue» «diverse dalle acque reflue domestiche».

Nel caso degli impianti di autolavaggio, dovendo trovare applicazione la normativa comunitaria sia perché il termine di recepimento è scaduto «al più tardi» il 30 giugno 1993, sia perché dettagliata e specifica e gerarchicamente sovraordinata, non vi sono dubbi che gli impianti di autolavaggio danno luogo ad «acque reflue industriali» non solo per la provenienza, ma anche per la loro natura: essi non derivano «prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche» (es. cucine, pulizia pavimenti, oltre che WC) e per il principio formale di esclusione le loro acque sono «diverse» dalle acque reflue domestiche, sicché sul punto il pretore ha violato la legge comunitaria.

Anche la normativa nazionale consente di pervenire, con argomenti letterali e logici, alla stessa conclusione: come risulta dall'art. 1 quater della legge 690 del 1976, l'insediamento produttivo è definito con riferimento alle «attività di produzione di beni» (almeno «prevalentemente») mentre l'«insediamento civile» è collegato alla «abitazione».

In relazione alla categoria dei servizi, di cui l'art. 1 quater della legge 690/76 dà un elenco non esaustivo (attività alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica, sanitaria) il criterio legale è indicato nella «esclusiva» «assimilabilità» degli scarichi provenienti da insediamenti abitativi.

Per la «prestazione di servizi» il criterio formale della provenienza e natura dell'attività (produzione di beni od abitazione) non può operare, sicché il legislatore ricorre al principio della «assimilabilità» cioè alle caratteristiche qualitative dello scarico, che devono essere «esclusivamente» quelle tipiche degli scarichi degli «insediamenti abitativi».

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È nozione di comune esperienza, confortata dai dati scientifici, che negli insediamenti abitativi lo scarico trae origine per il suo contenuto dal «metabolismo umano» (i bagni) e da altre «attività domestiche» (cucine, lavaggio indumenti e stoviglie, pulizia dei pavimenti), secondo un criterio integrato quali/quantitativo tipico delle esigenze ordinarie di una famiglia, con una prevalenza per le acque fecali ed uso limitato di detersivi.

Per gli scarichi da insediamenti civili, la componente dei detersivi, oltre che limitata (nel tempo e nella quantità), si presenta sempre integrata dalla componente «organica» (per sua natura biodegradabile), mentre in una «lavanderia» lo scarico è caratterizzato solo dagli inquinanti chimici dei detersivi utilizzati (con continuità e notevole quantità), sicché l'assimilabilità viene meno.

In questo senso si è pronunciata più volte la Corte Suprema di Cassazione, a cominciare dalla nota sentenza a sezioni unite del 10 ottobre 1987, che qualificò una lavanderia come insediamento produttivo, precisando che la congiunzione «ovvero» contenuta nell'art. 1 quater legge 690/76 introduce un criterio comune e generale per distinguere gli insediamenti produttivi da quelli civili: il criterio appunto dell'assimilabilità (comp. Cass. pen., sez. III, 1 luglio 1990 e numerose altre).

Per gli impianti di autolavaggio l'indirizzo prevalene della Corte, che si condivide, è nel senso che trattasi di insediamenti produttivi (Cass., sez. III, 10 novembre 1982; Cass., sez. III, 29 ottobre 1985, Resti; Cass., sez. III, 22 novembre 1986, Cesari; Cass., sez. III, 6 ottobre 1986; Cass., sez. III, 6 maggio 1991, Leonardi; Cass., sez. III, 27 giugno 1992, Gramaglia; Cass., sez. III, 13 novembre 1995, n. 11088, Marchetti; Cass., sez. III, 30 maggio 1996, Smazzarro; Cass., sez. III, 2 luglio 1997, n. 6347, Tanzi).

Sul piano formale non è ravvisabile l'assimilabilità con gli scarichi civili per la natura dei reflui degli impianti di autolavaggio, posto che tali strutture utilizzano in grande quantità e continuità non solo detersivi, ma anche altri materiali (detergenti, cere, ecc.).

Considerato il numero complessivo di veicoli e le loro diverse tipologie (autocisterne, camions, vetture di vario tipo, anche usate, ciclomotori, ecc.) e rilevato che il lavaggio comporta la compresenza di detersivi vari, olii minerali, vernici, residui di catrame ed altre sostanze tipiche dell'inquinamento anche esterno (che si accumula sopra e sotto i veicoli) e che le operazioni principali e complementari del lavaggio interessanti spesso anche i motori danno luogo soltanto ad un inquinamento chimico ripetuto e costante, non è possibile configurare una assimilabilità con gli scarichi civili, perché manca del tutto la componente organica, tipica degli insediamenti civili, secondo la richiamata normativa comunitaria e nazionale.

Non è da sottovalutare il principio secondo cui l'interpreazione di una legge tendente a tutelare le acque dell'inquinamento deve mirare ad introdurre spazi di non punibilità non giustificati da elementi letterali, logici e sistematici e contrastanti con le regole imposte dall'Unione europea.

Nel caso di specie la sentenza del pretore, come correttamente rilevato dal P.M. ricorrente appare apodittica e del tutto erronea sia nella mancata ricostruzione dell'esatto quadro giuridico, sia nella omessa considerazione dell'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte.

È del tutto riduttivo, anche perché non suffragata da alcuna analisi ex post delle analisi, l'affermazione che gli impianti di autolavaggio diano luogo soltanto a scarichi «composti da acqua e detersivi dolci simili a quelli normalmente usati nelle abitazioni per il lavaggio di indumenti e stoviglie» e siano perciò scarichi non produttivi, come tali depenalizzati exL. 172/95.

Considerato che quest'ultima legge ha conservato il reato di cui all'art. 21, primo comma L. 319/76 per gli scarichi da insediamenti produttivi senza autorizzazione e che è applicabile la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, l'annullamento con rinvio va disposto alla Corte di appello di Venezia per un nuovo esame (Omissis).

II.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Pretore di Venezia, sezione distaccata di San Donà di Piave, con sentenza in data 3 dicembre 1997, assolveva De Zotti Massimiliano, De Zotti Artiano e Longo Luigia, titolari di una stazione di servizio Esso, imputati di scarico prima che l'autorizzazione richiesta venisse rilasciata ex art. 23 L. 319/76, ravvisando la natura civile dello scarico e la conseguente non prevedibilità ex...

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