Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine497-543

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 5 agosto 1999, n. 9945 (ud. 22 dicembre 1998). Pres. Consoli - Est. Toth - P.M. Toscani (parz. diff.) - Ric. Amato ed altri.

Impugnazioni penali in genere - Impugnazione del difensore dell'imputato - Difensore legittimato - Imputato contumace - Imputato latitante o evaso - Mandato specifico - Necessità - Esclusione.

Lo specifico mandato ad impugnare di cui, ai sensi dell'art. 571, comma 3, c.p.p., deve essere munito il difensore dell'imputato condannato con sentenza contumaciale non è richiesto nel caso in cui il contumace sia anche latitante o evaso, operando in tale ipotesi la regola generale dettata dall'art. 165, comma 3, c.p.p. (valida per tutti gli atti che non richiedano la manifestazione di una personale volontà dell'imputato), secondo cui l'imputato latitante o evaso «è rappresentato ad ogni effetto dal difensore». (Mass. redaz.). (C.p.p., art. 571; c.p.p., art. 165) (1).

    (1) Non risultano editi precedenti negli esatti termini. In generale, sullo specifico mandato ad impugnare previsto dall'art. 571, comma 3, c.p.p., v. la rassegna di giurisprudenza de Il codice di procedura penale (a cura di P. CORSO), Ed. La Tribuna, Piacenza 1999, pp. 1440 ss.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza del 29 luglio 1996 il Tribunale di Marsala dichiarava i ricorrenti nominati in rubrica colpevoli del reato di cui all'art. 416 bis c.p. (associazione per delinquere di stampo mafioso, qualificata dalla disponibilità di armi; fatto commesso in Palermo, Trapani, Marsala, Mazara del Vallo e altre località, fino al 24 dicembre 1994).

Il tribunale condannava gli imputati alle seguenti pene: (Omissis).

A seguito di gravame dei prevenuti la Corte d'appello di Palermo, con sentenza del 6 giugno 1997, dichiarava inammissibili i ricorsi dei due Amato e confermava la decisione di primo grado nei confronti degli altri.

Avverso la sentenza della corte d'appello gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.

I ricorrenti Giacomo e Tommaso Amato deducono la violazione di legge in quanto non risponderebbe alla realtà processuale il presupposto su cui si fonda l'affermata inammissibilità (mancanza di procura speciale al difensore per impugnare la sentenza di secondo grado da parte di imputati contumaci). Secondo i ricorrenti tale procura sarebbe stata ritualmente conferita fin dall'originario conferimento in primo grado al difensore di «ogni mandato difensivo». Inoltre doveva trovare applicazione nel caso in esame l'art. 165, terzo comma c.p.p. (Omissis).

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Come richiesto nella requisitoria dal P.M. il motivo dei ricorsi di Giacomo e Tommaso Amato merita accoglimento.

Secondo la tesi seguita nella sentenza impugnata il mandato ad impugnare in appello, ai sensi dell'art. 571, terzo comma, c.p.p., avrebbe dovuto essere specifico e inequivoco, mentre tale non è quello prodotto in atti e conferito al difensore per il giudizio di primo grado.

Occorre però osservare che secondo la giurisprudenza di questa Corte la situazione processuale dell'imputato contumace - in ordine al quale le argomentazioni della corte di merito sarebbero ineccepibili - si differenzia da quella dell'imputato latitante, come erano nel caso di specie i due ricorrenti.

È stato ritenuto infatti che in tali casi debba essere applicato il disposto dell'art. 165, terzo comma, c.p.p., secondo il quale «l'imputato latitante o evaso è rappresentato a ogni effetto dal difensore».

Nella sentenza delle Sezioni unite n. 18 del 27 gennaio 1996 si osserva in proposito che la portata della norma citata non è circoscritta all'ambito indicato nell'intitolazione dell'articolo («Notificazioni all'imputato latitante o evaso»), che trova completa regolazione nel primo comma. Ma va riconosciuta nel senso di un lato potere di rappresentanza dell'imputato latitante o evaso, la cui generalità può essere fatta discendere da una serie di considerazioni di carattere sistematico, le quali tutte conducono alla conclusione che il legislatore ha voluto con tale disposizione attribuire al difensore in tali casi una rappresentanza «ad ogni effetto», e cioè il conferimento di un potere rappresentativo anche nei casi in cui altre norme riservano personalmente all'imputato non evaso o latitante il loro esercizio.

Il principio enunciato nella sentenza de qua riguarda in verità il potere di ricusazione del difensore e si precisa nel prosieguo della motivazione che l'eccezione alle norme che richiedono l'esercizio personale da parte dell'imputato di determinati diritti o facoltà trova un limite nella ratio legis di tutelare la difesa dell'imputato in modo che non soffra limitazioni nel caso di latitanza o di evasione. Si esclude quindi tale deroga ogni volta che la rappresentanza del difensore si possa estendere all'esercizio di poteri processuali dispositivi che richiedano come tali una manifestazione personale di volontà del soggetto interessato. Nell'esemplificare l'impossibilità di effettuare la suddetta deroga - richiedendosi quindi una manifestazione personale dell'imputato o un suo mandato speciale - le Sezioni unite menzionano le facoltà di cui all'art. 438, comma 3, c.p.p. (richiesta di giudizio abbreviato), all'art. 446, comma 3, c.p.p. (richiesta di applicazione della pena), 589, comma 2, c.p.p. (rinuncia all'impugnazione).

Non menzionano significativamente la facoltà di impugnare una sentenza di condanna.

Ritiene questo collegio che anche questa ipotesi rientri nella ratio legis del terzo comma dell'art. 165 c.p.p., in quanto lo status di latitante o di evaso, a differenza sostanziale di quello di contumace, comporta il pericolo che l'imputato non abbia alcuna conoscenza non solo della sentenza di condanna nei suoi confronti, ma dello stesso decreto di citazione e della stessa fissazione e celebrazione del dibattimento in secondo grado, e soprattutto che egli non sia nel-Page 498le condizioni di avvicinare il suo difensore per conferirgli il mandato speciale. Si potrebbe obiettare che tale situazione è unicamente attribuibile alla sua volontà, cosicché tutte le conseguenze negative che ne derivano - tra le quali il passaggio in giudicato della sentenza non impugnata - vadano poste a suo carico.

Ma tale non sembra essere la volontà del legislatore nel momento in cui si preoccupa, proprio con il citato art. 165, di ovviare alle conseguenze negative per i diritti della difesa della condizione di latitante o di evaso, volendo - in applicazione dei principi generali in tema di difesa - che anche all'imputato latitante od evaso sia assicurata una rappresentanza per l'esercizio di diritti fondamentali, in mancanza della quale egli verrebbe a subire un pregiudizio irrimediabile. Ogni qual volta quindi il difetto di rappresentanza potrebbe arrecare non inconvenienti derivanti da mancato esercizio di poteri dispositivi nel corso del giudizio - come quelli esemplificati nella sentenza citata delle Sezioni unite - ma l'impossibilità di adire lo stesso organo giudicante in un grado di giudizio previsto dall'ordinamento, deve trovare applicazione la norma generale di cui al terzo comma dell'art. 165, nella quale si afferma, con una incisività ed una intensità ignote ad altre disposizioni processuali, che l'imputato latitante o evaso «è rappresentato a ogni effetto dal difensore».

I ricorsi vanno pertanto accolti, con l'annullamento della sentenza impugnata per il motivo suesposto. Va quindi disposto il rinvio ad altra sezione della stessa Corte territoriale perché proceda al giudizio. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 5 agosto 1999, n. 2672 (c.c. 2 giugno 1999). Pres. Ietti - Est. Cicchetti - P.M. (conf.) - Ric. P.M. in proc. Rodella.

Giudizio penale di primo grado - Dibattimento - Nuove contestazioni - Fondate su elementi di fatto già acquisiti nellafase delle indagini preliminari - Inammissibilità - Abnormità.

È abnorme l'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento dichiari inammissibili le nuove contestazioni effettuate dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 516 e 517 c.p.p. L'effettuazione delle nuove contestazioni previste dagli artt. 516 e 517 c.p.p. è possibile anche sulla base della riconsiderazione, in sede dibattimentale, di elementi fattuali già acquisiti nella fase delle indagini preliminari. (Mass. redaz.). (C.p.p., art. 517; c.p.p., art. 516) (1).

    (1) In argomento, v. Cass., pen., Sez. un., 11 marzo 1999, Barbagallo, in questa Rivista 1999, 145. La richiamata sentenza Corte cost. 30 giugno 1994, n. 265, si trova pubblicata ivi 1994, 461 ed in Giur. cost. 1994, 2153 con nota di V. RETICO, Contestazione suppletiva e limiti cronologici per il «patteggiamento».


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - L'ordinanza impugnata dichiarava inammissibile la nuova contestazione dibattimentale a carico del Rodella, siccome fondata su elementi di fatto già acquisiti e rilevabili all'esito delle preliminari indagini.

Il ricorrente allegava, in unico motivo, l'abnormità del provvedimento, invasiva della sfera di esclusiva competenza del P.M. in ordine all'esercizio dell'azione penale, e la conseguente possibilità di proporre ricorso per cassazione.

Nel merito denunciava erronea interpretazione degli artt. 516 e 517 c.p.p.

Chiedeva l'annullamento dell'impugnata ordinanza. Ritiene questa Corte di dover accogliere il ricorso perché fondato.

Essendo il P.M. l'esclusivo titolare dell'azione penale ed il dominus del fatto come concreta fattispecie (Cass., SS.UU., 19 giugno 1996, Di Francesco), il provvedimento con cui il giudice di merito inibisce l'esercizio di quell'azione nell'ambito dei poteri previsti negli artt. 516 e ss. c.p.p. è da considerare abnorme.

Invero proprio perché il P.M. è esclusivo titolare dell'azione penale, ogni sindacato preventivo sull'ammissibilità delle contestazioni ex artt. 516 e 517 c.p.p., anche sotto il semplice profilo di configurabilità del fatto diverso o nuovo, comporterebbe una non consentita ingerenza sulla modalità di esercizio dell'azione penale.

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