Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine347-403

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 10 giugno 1999, n. 8 (c.c. 12 marzo 1999). Pres. Zucconi Galli Fonseca - Est. Sciuto - P.M. (diff.) - Ric. Min. Tesoro in proc. Sciamanna.

Misure cautelari personali - Riparazione per l'ingiusta detenzione - Procedimento - Domanda - Proposizione a mezzo di procuratore speciale nominato nelle forme di cui all'art. 122 c.p.p. - Ammissibilità - Proposizione a mezzo di difensore con procura - Esclusione - Presentazione tramite difensore con procura - Ammissibilità. Misure cautelari personali - Riparazione per l'ingiusta detenzione - Procedimento - Natura civile - Conseguenze - Disciplina delle spese processuali - Principio di soccombenza - Operatività.

La domanda di riparazione per ingiusta detenzione costituisce atto personale della parte che l'abbia indebitamente sofferta. Pertanto la sua proposizione, in quanto espressione della volontà della parte di far valere il diritto alla riparazione in giudizio può avvenire, oltre che personalmente, anche per mezzo di procuratore speciale nominato nelle forme previste dall'art. 122 c.p.p., ma non per mezzo del difensore con procura, avendo la legge voluto garantire sia l'autenticità dell'iniziativa, sia la sua diretta e inequivocabile derivazione dalla volontà dell'interessato; mentre alla presentazione della domanda può provvedere anche il difensore con procura che ha il potere di compiere e ricevere, nell'interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati. (C.p.p., art. 315; c.p.p., art. 122) (1).

Il rapporto processuale relativo alla riparazione per l'ingiusta detenzione ha natura civile, anche se inserito in una procedura che si svolge dinanzi al giudice penale, trattandosi di controversia concernente il regolamento di interessi patrimoniali (attribuzione di una somma di danaro) tra il privato, titolare del diritto alla riparazione, e lo Stato. Conseguentemente il carico delle spese va regolato secondo il principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c. (C.p.p., art. 315; c.p.c., art. 91) (2).

    (1) Con la decisione in epigrafe le Sez. un. risolvono le incertezze interpretative che si sono manifestate circa le modalità propositive della domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione. Per riferimenti, v. Cass. pen., sez. un., 13 gennaio 1998, Gallaro, in questa Rivista 1998, 59 e Cass. pen., sez. un., 9 gennaio 1995, Scacchia, ivi 1995, 61, prospettanti tesi interpretative contrapposte.


    (2) Esplicita adesione ad orientamento già espresso da Cass. pen., sez. un., 27 maggio 1992, Fusilli, in questa Rivista 1992, 371 e ripreso, fra le ultime, da Cass. pen., sez. IV, 4 luglio 1996, Citarella, ivi 1997, 374.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Il Ministero del Tesoro ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza 22 gennaio 1998 della Corte di appello di Roma, che ha accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta congiuntamente da Nazzareno Schiamanna e Sante Formichetti.

Il ricorrente denuncia l'inosservanza e la violazione degli artt. 315 commi 1 e 3 e 645 comma 1 c.p.p., per non avere la Corte d'appello esaminato la questione, pur rilevabile d'ufficio, concernente l'ammissibilità della domanda, depositata in cancelleria non dagli interessati personalmente né da un loro procuratore speciale nominato nelle forme di cui all'art. 122 c.p.p., bensì dal difensore nominato per mandato in calce all'atto introduttivo.

Con memoria difensiva i richiedenti hanno contestato le argomentazioni addotte a sostengo del ricorso, rilevando preliminarmente l'inammissibilità di questo per mancanza di mandato alle liti dell'Avvocatura erariale.

La quarta sezione penale, alla quale il ricorso era stato assegnato, ha rilevato il perdurare del contrasto giurisprudenziale (pur dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 26 novembre 1997, in proc. Gallaro) sulla questione se l'interessato sia tenuto, a pena di inammissibilità, a presentare personalmente o per mezzo di procuratore speciale nella cancelleria della Corte di appello la domanda di riparazione per ingiusta detenzione, o possa provvedervi a mezzo del difensore.

La Sezione ha quindi rimesso il ricorso alle Sezioni Unite penali, ed il Primo Presidente ha fissato per la deliberazione la presente udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - I termini del contrasto emergono dalle due sentenze delle Sezioni Unite - quella del 14 dicembre 1994, in proc. Scacchia, e quella del 26 novembre 1997 sopra citata - che hanno adottato tesi interpretative contrapposte.

Secondo la prima sentenza, "la legge richiede che un atto processuale sia compiuto personalmente, anziché dal difensore, quando intende responsabilizzare la parte per l'importanza dell'atto o per gli effetti dispositivi che comporta (v. ad esempio per il processo civile gli artt. 221, 2° comma, 233, 1° comma, 306, 2° comma, c.p.c. e per il processo penale gli artt. 38, 4° comma, 46, 2° comma, 82, 1° comma 438, 3° comma, 446, 3° comma e 633, 1° comma, c.p.p.); ed a tal fine per gli atti scritti rileva di regola quell'assunzione diretta di responsabilità che si manifesta con la sottoscrizione, mentre il deposito in cancelleria costituisce un comportamento privo di particolare significato".

"È vero - viene ancora affermato nella sentenza - che l'art. 645 1° comma c.p.p. usa l'espressione "è presentata", che a prima vista può far pensare ad una materiale attività di deposito della domanda in cancelleria, ma se si considera più attentamente la disposizione se ne trae la conferma che l'espressione in realtà non è diretta a regolare il deposito in cancelleria ma concerne le varie modalità della domanda, in quanto indica la forma dell'atto, i documenti che devono accompagnarlo, i soggetti legittimati e l'ufficio presso il quale deve essere depositato; un insieme di prescrizioni unificate nella formula: «è presentata per iscritto, unitamente ai documenti ritenuti utili, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, nella cancelleria della Corte di appello».

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"Si tratta di una formula sintetica dalla quale non può trarsi la conclusione irrazionale che le parole «personalmente o per mezzo di procuratore speciale» indichino non la persona che deve formulare la domanda scritta (cioè che conta agli effetti giuridici), ma quella che deve materialmente depositare l'atto in cancelleria. Conclusione irrazionale anche perché la natura materiale del deposito fa apparire incongrua la richiesta di una procura speciale, che invece ben si giustifica per la formulazione della domanda; richiesta che inoltre graverebbe di un onere esorbitante la parte che dopo aver sottoscritto la domanda non fosse in grado di effettuare personalmente il deposito in cancelleria".

Pertanto, secondo tale orientamento interpretativo la norma in questione non consente al procuratore alle liti di sottoscrivere la domanda di riparazione ma al tempo stesso non gli preclude la facoltà di provvedere al deposito in cancelleria della domanda sottoscritta dal proprio assistito.

Secondo la diversa interpretazione della sentenza del 26 novembre 1997, la domanda di riparazione per ingiusta detenzione deve essere sottoscritta e presentata, a pena di inammissibilità, non solo nel rispetto dei termini previsti dall'art. 315 c.p.p., ma anche con le modalità imposte dal richiamato art. 645 comma 1 del codice di rito, e, cioè, deve essere " ... presentata per iscritto ... personalmente ovvero avvalendosi di un procuratore speciale", nominato quindi nelle forme previste dall'art. 122 c.p.p.

Pur dandosi atto che "proposizione" e "presentazione" costituiscono atti strutturalmente autonomi, si afferma che "la norma, così come formulata, non distingue il momento formativo dell'atto da quello propositivo in relazione alla legittimazione soggettiva, ma addirittura prevede un'unica sanzione, l'inammissibilità, per la mancata osservanza delle prescrizioni concernenti le modalità propositive ed acquisitive dell'atto. Sarebbe, infatti, arbitrario ridurre l'operatività di quella sanzione all'ambito circoscritto dell'inosservanza del termine di decadenza dell'azione, non foss'altro perché, per individuare la disciplina normativa del procedimento utilizzabile per il riconoscimento giudiziale del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, non è soltanto applicabile l'art. 315 c.p.p., ma anche il successivo articolo 645, e gli adempimenti formali richiesti da quest'ultima norma rappresentano, nella loro unitaria complessità, l'attuazione di un'evidente esigenza avvertita dal legislatore, e cioè quella di garantire, specie nell'ambito dell'esercizio personale di un diritto soggettivo, che il contenuto dell'atto, per gli effetti che può produrre, rispecchi effettivamente la volontà del soggetto che è l'esclusivo titolare di quel diritto".

  1. - Questo Collegio ritiene che debba essere seguito il primo orientamento giurisprudenziale, non solo per le ragioni esegetiche esposte nella sentenza del 1994, ma anche per le ragioni che seguono.

    Il primo comma, dell'art. 645 c.p.p. - così come l'art. 315 in tema di riparazione per ingiusta detenzione - collega la sanzione della inammissibilità alla proposizione della domanda oltre il termine di decadenza, (art. 645: "la domanda di riparazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal passaggio in giudicato ...", art. 315: "la domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro diciotto mesi dal giorno ...").

    Deve anzitutto osservarsi che l'intento legislativo è di favorire le istanze riparatorie e non già di porre ostacoli (sia pure solo formali) sul loro percorso, e ciò in ragione del fondamento solidaristico dell'istituto della riparazione, riconosciuto anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 446 del 1997) quando ha configurato l'esborso a cui lo Stato è tenuto per l'ingiusta detenzione come "misura riparatoria e riequilibratrice, e in parte compensatrice della ineliminabile componente di alea per la persona, propria...

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