Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine129-188

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 23 marzo 1999, n. 1 (c.c. 15 gennaio 1999). Pres. Zucconi Galli Fonseca - Est. Canzio - P.M. Toscani (conf.) - Ric. Caridi ed altri.

Misure cautelari personali - Procedimento applicativo - Ordinanza del giudice - Perdita di efficacia - Dichiarazione di caducazione automatica del provvedimento cautelare - Richiesta dell'interessato al giudice del procedimento principale - Ammissibilità - Azione davanti al giudice della procedura incidentale di impugnazione - Ammissibilità - Fattispecie.

Misure cautelari personali - Procedimento applicativo - Ordinanza del giudice - Perdita di efficacia - Inosservanza del termine di cui all'art. 309, comma 5, c.p.p. - Deducibilità nel procedimento d'impugnazione - Sussistenza - Rilevabilità d'ufficio - Sussistenza - Mancata deduzione o rilevabilità in sede di riesame - Deducibilità e rilevabilità d'ufficio nel giudizio di cassazione - Ammissibilità.

Nei casi di perdita di efficacia del provvedimento cautelare a norma dell'art. 309, comma decimo, c.p.p., il soggetto che ha diritto a riacquistare la libertà può, in ogni tempo, salvo il limite della preclusione derivante dal giudicato cautelare, non solo chiedere al giudice del procedimento principale la dichiarazione di sopravvenuta caducazione automatica dell'ordinanza dispositiva della misura coercitiva per l'inosservanza dei termini indicati nella citata norma, ma anche agire dinanzi al giudice della procedura incidentale di impugnazione per farla valere. (In motivazione, la S.C. ha osservato che l'assenza di un obbligo di devoluzione della questione al giudice del procedimento principale risponde alla logica complessiva del sistema, secondo cui il giudice della procedura incidentale di impugnazione è giudice della propria competenza, della regolare instaurazione del contraddittorio e della validità di ogni suo atto, nonché, a maggior ragione, del rispetto dei termini della procedura, dalla cui inosservanza discenda la perdita di efficacia dell'ordinanza coercitiva, logicamente pregiudiziale rispetto a ogni altra questione di legittimità o di merito). (C.p.p., art. 309) (1).

Il mancato rispetto del termine prescritto dall'art. 309, comma quinto, c.p.p., con la conseguente perdita, a norma del successivo comma decimo, di efficacia dell'ordinanza che dispone la misura coercitiva, è deducibile dall'interessato ed è rilevabile d'ufficio nel procedimento dinanzi al giudice chiamato a decidere sull'impugnazione e, ove non dedotto o non rilevato di ufficio nel procedimento di riesame, può essere oggetto di cognizione nell'eventuale giudizio di cassazione, in cui la questione può essere sollevata dal ricorrente, indipendentemente da altri motivi attinenti alla legittimità originaria della misura, o rilevata d'ufficio anche oltre i limiti del devoluto: e ciò perché la perdita di efficacia del provvedimento impugnato incide sul thema decidendum devoluto alla Corte di cassazione con motivi di ricorso riferiti alla legittimità originaria della misura, essendo la permanenza cogente del titolo pregiudiziale dei fini della decisione. (C.p.p., art. 309) (2).

II

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 31 marzo 1999, n. 2 (c.c. 15 gennaio 1999). Pres. Zucconi Galli Fonseca - Est. Canzio - P.M. Toscani (diff.) - Ric. Liddi ed altri.

Misure cautelari personali - Procedimento applicativo - Ordinanza del giudice - Perdita di efficacia - Inosservanza dei termini di cui all'art. 309, comma 5, c.p.p. - Richiesta di scarcerazione al giudice del procedimento principale - Ammissibilità - Condizioni.

Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini richiamati dall'art. 309, comma 10, c.p.p., l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura può essere chiesta al giudice del procedimento principale, a norma dell'art. 306 c.p.p., purché la richiesta non sia stata già respinta nel procedimento incidentale d'impugnazione. (Mass. redaz.). (C.p.p., art. 309) (3).

    (1) Decisione che si richiama al principio espresso da Cass. pen., sez. un., 3 luglio 1996, Vernengo, in questa Rivista 1996, 556. V., inoltre, Cass. pen., sez. V, 24 novembre 1998, Cesario, ivi 1998, 819 e Cass. pen., sez. I, 4 luglio 1998, Tirino, ivi 1998, 883.


    (2, 3) Rilevanti statuizioni delle sezioni unite penali in tema di caducazione di misura cautelare per inosservanza dei termini richiamati dall'art. 309, comma 10, c.p.p. Cfr., in argomento, Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232, in Giur. cost. 1998, 1799; Cass. pen., sez. un., 18 gennaio 1999, Alagni, in questa Rivista 1999, 38; Cass. pen., sez. un., 2 giugno 1998, Manno, ivi 1998, 391 e Cass. pen., sez. un., 17 dicembre 1997, Schillaci, ivi 1997, 753.


I

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con due ordinanze del 14 gennaio 1998 il Tribunale di Reggio Calabria confermava, in sede di riesame, la misura cautelare della custodia in carcere applicata a tutti gli indagati indicati in epigrafe per i reati di cui agli artt. 416 bis e 629 c.p., nonché a Caridi Giuseppe e Caridi Bruno (nato nel 1966) per il delitto di omicidio.

La gravità degli indizi era affermata sulla base di intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni di alcuni collaboratori; le esigenze cautelari erano ritenute in relazione alla presunzione stabilita dall'art. 275 comma 3 c.p.p. per le associazioni mafiose.

I difensori degli indagati hanno proposto ricorso per cassazione deducendo violazione di legge, vizio di motivazione, inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, inat-Page 130tendibilità dei collaboratori, omessa valutazione critica degli indizi.

Il difensore di Condemi Antonino ha dedotto anche mancanza di motivazione sulla questione, già sollevata in sede di riesame, dell'inefficacia dell'ordinanza coercitiva per la tardiva trasmissione degli atti al tribunale del riesame. Lo stesso motivo è stato dedotto, quale «motivo nuovo», anche dal difensore di Caridi Leo e Bruno (nato nel 1958), del Melari e del Nocera.

I ricorsi, assegnati alla V sez. di questa Corte, sono stati rimessi alle sezioni unite, ritenendosi l'esistenza di un contrasto interpretativo su questione rilevante ai fini della efficacia dell'ordinanza coercitiva: se la violazione dei termini richiamati dall'art. 309 comma 10 possa essere dedotta quale «motivo nuovo» e rilevata d'ufficio nel giudizio di cassazione contro l'ordinanza di riesame.

La sezione remittente postula una rimeditazione del principio della non deducibilità nel giudizio di riesame della perdita di efficacia della misura coercitiva, affermato dalle sezioni unite con le sentenze 20 luglio 1995, Galletto e 17 aprile 1996, Moni (con il temperamento fissato però da quest'ultima, secondo cui la quetione può essere proposta insieme ad altre concernenti la legittimità originaria del provvedimento coercitivo mediante il ricorso per cassazione avverso la decisione del riesame), in considerazione dell'altro principio, pure affermato dalle sezioni unite con sentenza 29 ottobre 1997, Schillaci, per la quale «il venir meno della misura coercitiva ai sensi dell'art. 309, commi 5 e 10, si traduce giuridicamente in una causa di preclusione per il tribunale perché è ormai trascorso il termine riservato alla verifica giurisdizionale del titolo custodiale», con la conseguenza che il vizio del procedimento sarebbe comunque rilevabile d'ufficio in sede di legittimità ex art. 609 comma 2 c.p.p.

I ricorsi vengono decisi congiuntamente per effetto della riunione, disposta all'odierna udienza, del procedimento n. 13929/98 al n. 10562/98.

  1. - Le sezioni unite sono chiamate a stabilire se l'inosservanza dei termini previsti dall'art. 309 comma 5 c.p.p. - secondo la lettura che sul punto dell'omissione di immediato avviso della presentazione di richiesta di riesame ne ha data la Corte costituzionale con sentenza n. 232/98, condivisa da queste sezioni unite con sentenza 15 dicembre 1998, Alagni - e la conseguente perdita di efficacia dell'ordinanza coercitiva possano, nel giudizio di cassazione instaurato avverso la decisione del riesame, essere rilevate anche d'ufficio ai sensi dell'art. 609 comma 2, ovvero dedotte quali «motivi nuovi» nell'ambito del disposto degli att. 311 comma 4 e 585 comma 4 c.p.p.

    Rispetto a tale questione risulta però pregiudiziale il problema della legittimazione del giudice del procedimento incidentale d'impugnazione a dichiarare, nell'ipotesi considerata, la perdita automatica di efficacia dell'ordinanza coercitiva, problema al quale la giurisprudenza di legittimità ha dato soluzioni non univoche, anche se in prevalenza ispirate alla finalità di evitare, per il preminente favor libertatis, il ritardo della decisione.

    Con un primo indirizzo giurisprudenziale (sez. V, 3 maggio 1995, Di Gennaro; sez. I, 21 giugno 1995, Franco; sez. IV, 24 settembre 1996, Basanisi; sez. I, 4 marzo 1997, Cappuccio) avallato da talune decisioni delle sezioni unite (sez. un., 17 aprile 1996, Moni; sez. un., 16 dicembre 1998, Alagni), questa Corte ha statuito che la declaratoria d'inefficacia dell'ordinanza coercitiva spetta, di regola, al giudice del procedimento principale ai sensi dell'art. 306 c.p.p., e in via eccezionale anche alla Corte di cassazione sul ricorso contro la decisione del riesame, quando la relativa questione sia stata proposta unitamente ad altre attinenti alla legittimità originaria della misura cautelare. Con altro orientamento interpretativo (sez. V, 12 ottobre 1998, Cesario; sez. I, 7 maggio 1998, Tirino; sez. I, 13 dicembre 1996, Palmas; sez. VI, 10 luglio 1992, Valenzise) ha invece affermato che legittimato a siffatta pronuncia è soltanto il giudice dell'impugnazione de libertate, essendo la perdita d'efficacia della misura ricollegata ad invalidità proprie del medesimo procedimento incidentale. Le sezioni unite, nell'ipotesi di sospensione obbligatoria del procedimento di riesame per la risoluzione di una pregiudiziale costituzionale, hanno peraltro avvertito che l'imputato, il quale ritenga di...

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