Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 23 dicembre 1998, n. 13577 (ud. 10 novembre 1998). Pres. Avitabile - Est. Salvago - P.M. (conf.) - Ric. P.G. in proc. Busi.

Inquinamento - Rifiuti - Smaltimento - Rifiuti tossico-nocivi - Autorizzazionale regionale - Mancanza - Prescrizioni tecniche - Inosservanza - Reato di cui all'art. 51, comma 1, lett. b), del D.L.vo n. 22/1997 - Sussistenza.

Le attività di smaltimento dei rifiuti tossico-nocivi senza la prescritta autorizzazione regionale ed in spregio alle prescrizioni tecniche di cui alla delibera interministeriale 27 luglio 1984, già sanzionate dall'art. 26 dell'abrogato D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915, costituiscono tuttora reato ai sensi dell'art. 51, comma 1, lett. b), del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22. (Mass. redaz.). (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51; D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 26) (1).

    (1) La citata sentenza Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, Ciarcià, si trova pubblicata in questa Rivista 1997, 1098 con ampia nota di M.C. FREGONI, S. MAGLIA, M. SANTOLOCI, Prime osservazioni in merito al c.d. «decreto-Ronchi» alla luce delle modifiche apportate dal D.L.vo n. 389/97. Cfr., inoltre, Cass. pen., sez. III, 28 ottobre 1997, Aprà, ibidem; Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 1997, Quattrociocchi, ibidem e Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, Felice, ibidem.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza del 25 febbraio 1998, il Pretore di Brescia ha assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato Busi Angela, imputata n.q. di presidente del consiglio di amministrazione della Spa Acciaierie di Lonato, di aver effettuato una fase di smaltimento di rifiuti tossico-nocivi senza la prescritta autorizzazione regionale e non ottemperando alle prescrizioni tecniche della libera interministeriale 27 luglio 1984 (art. 26 D.P.R. n. 915 del 1982).

Il procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione di legge perché la disposizione incriminatrice dell'abrogato art. 26 D.P.R. n. 915 del 1982 era stata trasfusa nell'art. 51 del D.L.vo n. 22 del 1997; per cui il fatto attribuito alla Busi costituisce tuttora reato.

Il ricorso è fondato.

Invero, il pretore ha correttamente rilevato che l'art. 56 D.L.vo n. 22 del 1997 ha abrogato il D.P.R. n. 915 del 1982, ma ha erroneamente interpretato l'art. 51 del D.L.vo n. 22 laddove ha escluso che lo stesso più non avesse conservato le contravvenzioni inerenti allo smaltimento non autorizzato di rifiuti tossici e nocivi già previste dall'art. 26 del D.P.R. 915/1982.

Questa Corte, infatti, anche a sezioni unite, ha più volte specificato che quando viene espressamente abrogata una disposizione incriminatrice con la contestuale emanazione di un'altra disposizione incriminatrice, dal solo dato dell'abrogazione non può dedursi che tutte le condotte precedentemente realizzate e rientranti in quella disposizione siano divenute non punibili, in quanto, soltanto se la nuova legge si risolve nell'abolizione di norme incriminatrici già in vigore e nella contestuale formulazione di ipotesi criminose del tutto diverse, i fatti anteriori perdono ogni valenza penale; che, invece conservano se le nuove disposizioni danno luogo ad un particolare rapporto di interferenza con quelle abrogate o modificate, da accertarsi in base alla comparazione delle rispettive fattispecie: e, quindi, introducano un più variegato fenomeno di successione di leggi penali nel tempo regolato dal principio dell'art. 2, terzo comma c.p. secondo cui trova in tal caso applicazione la legge più favorevole.

Proprio tale ultima ipotesi ricorre nel caso concreto dato che, come emerge dal raffronto delle norme sopra indicate, con la vecchia disciplina ogni fase dello smaltimento dei rifiuti tossico-nocivi (raccolta e trasporto, stoccaggio provvisorio, trattamento stoccaggio definitivo) era soggetta ad autorizzazione regionale (art. 16); ed in caso di inosservanza si concretava la contravvenzione di cui all'art. 26, addebitata, appunto all'imputata.

E che tali fattispecie sono confluite nell'art. 51, primo comma del D.L.vo n. 22 del 1997 sia pure attraverso una più precisa articolazione delle fasi con cui lo smaltimento non autorizzato viene attuato ed individuazione delle ulteriori condotte vietate che comunque con esso interferiscono o lo presuppongono.

E non è sostenibile che tali innovazioni abbiano comportato in ordine alle anteriori fattispecie concrete di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi una generalizzata abolitio criminis regolata esclusivamente dal secondo comma del citato art. 2 c.p. dato che tra il nuovo art. 51, primo comma della legge n. 22/1997 ed il precedente art. 26 D.P.R. n. 915/1982, sussiste un nesso di continuità e di omogeneità delle rispettive previsioni il quale riconduce l'interferenza di tali precetti nel citato fenomeno di successione di norme incriminatrici, nell'ambito del quale la nuova norma ha da un lato riprodotto le previgenti condotte vietate e dall'altro le ha adeguate ai nuovi principi e direttive comunitari per la cui attuazione è stata, del resto emanata (sent. n. 6292 del 29 maggio 1998; n. 517 del 9 aprile 1998; 9 ottobre 1997 n. 9168).

Basta considerare, al riguardo, che le due leggi hanno in comune il medesimo oggetto giuridico rappresentato dall'interesse dello Stato alla gestione di tutte le fasi dello smaltimento dei rifiuti - gestione, dichiarata da entrambe le normative «attività di pubblico interesse» - onde assicurare controlli efficaci per garantire un'elevata protezione dell'ambiente e prevenire ogni danno o pericolo per la salute e l'incolumità della collettività e dei singoli.

In tale ottica la nuova legge, significativamente qualificata di riforma economica-sociale, perciò obbligatoria anche per le regioni a statuto speciale, ha semmai ampliato e tipizzato ulteriormente le previgenti previsioni incriminatrici, sì da disciplinare in modo esaustivo ogni fase dell'attività suddetta e da renderle più incisive ed efficaci per prevenire e reprimere, come ha giustamente osservato il procuratore ricorrente, ogni comportamento commissivo ovvero omis- Page 32 sivo, idoneo a pregiudicare l'ambiente e/o la salute pubblica: così come dimostrano proprio gli elementi costitutivi del reato di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi già previsto dal citato art. 26 del D.P.R. 915/1982 («effettua le fasi di smaltimento dei rifiuti»), trasfusi tutti nella nuova fattispecie dell'art. 51 («effettua una attività di smaltimento di rifiuti») che vi ha aggiunto altresì tutte le attività propedeutiche e strumentali nonché quelle complementari, ma non meno pericolose in cui la gestione di tali rifiuti diviene oggetto di commercio o di intermediazione.

E neppure la sostituzione dei rifiuti pericolosi a quelli «tossici e nocivi» (primo comma lett. b) altera l'intima essenza della previsione previgente dato che anche la nuova categoria, ora incentrata sulla nozione di semplice pericolosità, amplia e necessariamente comprende quella precedente che richiedeva, invece, il nocumento effettivo: come del resto confermano nel caso concreto i metalli di cui al capo di imputazione espressamente compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi individuati negli allegati D e G2: mentre è ulteriormente significativo che anche secondo la norma transitoria dell'art. 57 del D.L.vo n. 22 che significativamente non ha considerato le attività di gestione illecite in base al sistema previgente non per la tautologica considerazione del pretore, ma proprio perché tutte già minuziosamente disciplinate ed inserite nelle più articolate fattispecie individuate dagli articoli precedenti - ai fini delle norme regolamentari e tecniche allora in atto, «ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi si deve intendere riferito ai rifiuti pericolosi».

La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio alla Corte di appello di Brescia che provvederà all'esame dell'imputazione contestata alla Busi attenendosi ai principi appena enunciati (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 19 dicembre 1998, n. 4730 (c.c. 2 ottobre 1998). Pres. Pirazzi - Est. Losana - P.M. (diff.) - Ric. P.G. in proc. Guidone.

Misure di sicurezza - Pericolosità sociale - Revisione - Sostituzione della misura della casa di lavoro - Libertà vigilata - Applicabilità - Declaratoria di delinquenza abituale - Revoca - Esclusione.

In tema di misure di sicurezza, deve ritenersi possibile, nell'attuale disciplina normativa, che, in sede di revisione della pericolosità sociale di soggetto dichiarato delinquente abituale e sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro, tale misura venga sostituita con quella della libertà vigilata, ferma restando la declaratoria di delinquenza abituale, qualora il giudice ritenga detta seconda misura adeguata alla ridotta, ma non ancora cessata, pericolosità sociale del soggetto medesimo. (Mass. redaz.). (C.p., art. 216; c.p., art. 230) (1).

    (1) La citata sentenza Corte cost. 14 aprile 1988, n. 443 si trova pubblicata in questa Rivista 1988, 1048.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con decreto del Magistrato di sorveglianza di Frosinone in data 29 ottobre 1982 veniva applicata nei confronti di Guidone Francesco, dichiarato delinquente abituale, la misura di sicurezza della casa di lavoro. A seguito di istanza del Guidone, il quale chiedeva la revoca della misura, il Magistrato di sorveglianza di Campobasso, con ordinanza 15 settembre 1997, disponeva, sulla base della diminuita (ma ancora persistente) pericolosità del Guidone, di non revocare la dichiarazione di delinquente abituale e, peraltro, di trasformare la misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro in quella non detentiva della libertà vigilata.

Avverso tale ordinanza proponeva impugnazione il P.G. presso la Corte d'appello di Campobasso, il quale formulava le seguenti osservazioni:

a) a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 443 del 1988 non è ammissibile...

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