Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 21 gennaio 1999, n. 797 (ud. 30 novembre 1998). Pres. Trojano - Est. Serpico - P.M. Favalli (diff.) - Ric. Fusco.

Omissione o rifiuto di atti di ufficio - Rifiuto o ritardo - Ritardo - Esposizione delle ragioni del ritardo - Mancanza - Ipotesi di cui all'art. 328, secondo comma, c.p. - Applicabilità ai rapporti tra pubbliche amministrazioni - Esclusione.

La disciplina dettata, in materia di rifiuto di atti d'ufficio, dall'art. 328, secondo comma, c.p. non può trovare applicazione quanto trattisi di rapporti fra pubbliche amministrazioni. (Mass. redaz.). (C.p., art. 328) (1).

    (1) La citata sentenza Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 1998, Schillizzi, si trova riportata in questa Rivista 1998, 347. Cfr., inoltre, Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 1996, Leonardis, ivi 1996, 1155 e Cass. pen., sez. VI, 18 ottobre 1994, Botteselle, ivi 1995, 1189.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Giovanni Fusco, nella qualità di Sindaco pro tempore del Comune di Positano, tratto a giudizio del Tribunale di Salerno per rispondere del reato di cui agli artt. 81, 328, secondo comma, c.p., perché ometteva di dare riscontro entro 30 giorni, non esponendo le ragioni del ritardo, a trenta richieste notificategli dall'Ufficio dell'assessore all'urbanistica della Provincia di Salerno in ordine agli atti adottati per la repressione di violazioni edilizie (fatti commessi nel luglio 1991), con sentenza del 13 maggio 1996, dichiarato colpevole di tale reato, veniva condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di lire 1.000.000 di multa, con l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni uno - pena sospesa.

Su appello dell'imputato avverso tale decisione, la Corte d'appello di Salerno, con sentenza dell'8 maggio 1998, confermava il giudizio di condanna del Fusco, ritenendo la sussistenza del contestato reato di omissione di atti di ufficio, a fronte della legittima richiesta dell'assessore all'urbanistica della provincia, come titolare di un interesse generalizzato all'osservanza dei provvedimenti a tutela degli abusi edilizi, in concorso con il dolo dell'imputato nella mancata risposta, nei termini di legge, alle ragioni del ritardo.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Fusco ed a mezzo del suo difensore, ha dedotto a motivi: - violazione degli artt. 606, lett. b) ed e), 190, 192, 129 c.p.p., in relazione all'art. 328, secondo comma, 42 e 43 c.p., 38 e 51 della L. n. 142/1990 e successive modificazioni stante la inosservanza ed erronea applicazione di legge, nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione in riferimento ai motivi di appello, ai quali non era stata data risposta.

In particolare il ricorrente ha dedotto l'insussistenza della pur necessaria formale diffida ad adempiere rivolta al P.U., non parificabile ad una forma di interpello a titolo informativo, formulato, con richiesta ciclostilata, da parte di un ufficio, sprovvisto di interesse qualificato all'adozione del richiesto atto amministrativo, per effetto di abrogazione dell'art. 6, secondo comma, della L.R. n. 14/1982, in seguito all'art. 7 della L. n. 47/1985, attributivo di competenza a disporre la demolizione dei manufatti abusivi al presidente della giunta regionale ed all'autorità giudiziaria.

Si è, inoltre, dedotto in ricorso che l'imputato, non solo aveva tempestivamente informato le competenti autorità (Procura della Repubblica, Presidenza giunta regionale, Genio civile, ecc.) di aver emesso trenta ordinanze di sospensione dei lavori e demolizione di opere abusive, nel dicembre 1990, allegando i singoli provvedimenti, ma, una volta ricevuto l'interpello anzidetto da parte dell'Assessore all'urbanistica della Provincia di Salerno, aveva immediatamente trasmesso tale richiesta al competente ufficio tecnico comunale, secondo le direttive della L. n. 142/1990, artt. 38 e 51, ribadite dalla legge Bassanini n. 127/1997, giusta annotazione di detta trasmissione sulla cennata richiesta, come in merito si era chiesto di provare, attraverso la parziale rinnovazione del dibattimento, con la escussione del direttore dell'ufficio tecnico comunale e dell'assessore provinciale dell'epoca, senza che la corte territoriale avesse offerto logica e motivata risposta, nel rigettare detta richiesta istruttoria, così contestualmente violando il diritto alla prova.

Alla stregua dei cennati rilievi, in ogni caso, l'asserita sussistenza del dolo era sorretta da apparente ed illogica motivazione.

Ciò premesso, ritiene la corte assorbente ribadire la inapplicabilità del secondo comma dell'art. 328 c.p. ai rapporti tra pubbliche amministrazioni.

In proposito si è dedotto da parte di questo giudice di legittimità (cfr. Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 1998, n. 2351, Schilizzi) che argomenti letterali, sistematici e di interpretazione compatibile con il dettato costituzionale, convergono per detta inapplicabilità della norma in parola, il cui novellato tenore è inequivocamente finalizzato ad apprestare sostanziale tutela all'interesse del privato cittadino che formalmente rivolga richiesta al pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio di adempimento di un atto del suo ufficio e, comunque, di risposta per notiziare le ragioni del ritardo, fissando un dato temporale (trenta giorni) ed uno formale (richiesta in forma scritta), collegati dalla ricezione della richiesta stessa da parte del destinatario.

In tal modo, il legislatore, con l'espressione «chi vi abbia interesse» ha rinviato al soggetto privato la tutela dell'interesse a fronteggiare, attraverso mezzi penalmente efficaci, l'eventuale inerzia operativa o anche meramente informativa della P.A., in violazione dei principi di trasparenza dell'operato delle autorità, rispetto al diritto del cittadino alla protezione di tale interesse.

Estendere la portata del secondo comma dell'art. 328 cit. anche ai rapporti tra pubbliche amministrazioni, varrebbe, infatti, a contrastare con il canone della tipicità degli atti della P.A., poiché le richieste previste da tale norma potrebbero inserirsi, in maniera anche imprevedibile, in qualunque fase dell'attività amministrativa, nonostante che le Page 156 scansioni di queste fasi siano compiutamente disciplinate quanto alla partecipazione delle amministrazioni coinvolte.

D'altra parte, l'equiparazione tra la posizione del cittadino e quella dell'ufficio pubblico, anche ai fini della rispettiva tutela, sarebbe del tutto irragionevole, dato che la situazione del singolo dinanzi all'autorità ha motivi di protezione completamenti diversi da quelli che, a volta a volta, sono alla base della composizione dei pubblici interessi.

Ad ulteriore conferma dei termini di «lettura» del secondo comma dell'art. 328 c.p., resta da dire dell'adeguatezza di un sistema che equiparasse privati ed amministrazioni nel reato di omissione.

In proposito questa stessa corte ha puntualizzato che tale adeguatezza «va intesa come riduzione all'indispensabile dell'incriminazione della fattispecie (secondo quanto traggono dall'art. 25 della Costituzione le sentenze nn. 487 del 1989 e 282 del 1990 della Corte costituzionale) e in relazione ad essa, allo strumento dell'art. 328 c.p. si oppone a ben vedere il criterio della proporzionalità, che ne è il corollario: la tutela delle amministrazioni che, in quanto dotate di competenza ed in posizione sopraordinata, sono realmente legittimate alla richiesta, è assicurata da istituti ben più difficili, sol che si intenda attuarli, come interventi sostitutivi, surrogatori e simili, i quali, in via immediata, realizzano l'interesse pubblico.

Di converso, per le amministrazioni "minori", sebbene titolari di potestà e di competenze nella materia richiesta, non è l'obbligo della risposta quello che conta, quanto ottenere il provvedimento, donde ancora la inadeguatezza del secondo comma dell'art. 328 c.p. che, in definitiva, solo una risposta garantisce.

Nella specie, per le considerazioni che precedono, cui si accompagna il difetto di prova di una formale «messa in mora» dell'ufficio richiesto da parte dell'ufficio richiedente, come esattamente rilevato dalla difesa del ricorrente, ed a prescindere dalle argomentazioni da essa dedotte per la procedura regolante la materia de qua e gli aspetti censori della ritenuta sussistenza del dolo nella condotta del Fusco, ritiene questa corte che il reato ascritto al predetto non sia, pertanto, configurabile, di guisa che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 19 gennaio 1999, n. 1 (ud. 16 dicembre 1998). Pres. Scorzelli - Est. Canzio - P.M. Fiore (diff.) - Ric. Cellammare.

Truffa - Momento consumativo del reato - Individuazione - Natura del reato - Configurabilità. -Truffa - Elemento oggettivo - Ingiusto profitto - Nozione - Danno - Artifici e raggiri - Assunzione dell'obbligo di dazione di un bene economico - Da parte del soggetto passivo - Mancato conseguimento del bene da parte dell'agente - Truffa consumata - Esclusione - Truffa tentata - Configurabilità. -Truffa - Estremi - Truffa finalizzata all'assunzione nel pubblico impiego - Momento consumativo del reato - Costituzione del rapporto impiegatizio - Condizioni.

La truffa è reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo. (C.p., art. 640) (1).

Nel delitto di truffa, mentre il requisito del profitto può comprendere in sè qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la «cooperazione artificiosa della vittima» che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione...

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