Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 17 marzo 1999, n. 3465 (ud. 19 gennaio 1999). Pres. Teresi - Est. Macrì - P.M. Ranieri (parz. diff.) - Ric. P.G. in proc. Zumbo ed altri.

Concorso di persone nel reato - Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti - Concorso anomalo - Configurabilità - Presupposti - Omicidio commesso nel corso di una aggressione - Responsabilità dei compartecipi - Sussistenza.

Alla stregua del principio secondo cui per la configurabilità del c.d. concorso anomalo di cui all'art. 116 c.p. è necessario e sufficiente che il concorrente che volle il reato meno grave sia stato in grado di prevedere in concreto la commissione, da parte di altro concorrente, del reato più grave, come sviluppo logico della concordata azione criminosa, deve ritenersi che, qualora sia stata decisa un'aggressione, con uso di armi improprie, nei confronti di taluno, il quale rimanga poi ucciso a seguito di un colpo di pistola sparato da uno degli aggressori, anche gli altri debbano rispondere, a titolo di concorso anomalo, del più grave reato di omicidio, nulla rilevando che essi ignorassero il possesso dell'arma da parte del soggetto che poi se ne servì, dal momento che l'aggressione concordata già implicava l'accettazione della prospettiva che l'aggredito riportasse lesioni e che, degenerato lo scontro, si potesse giungere a cagionare un evento letale, indipendentemente dalle specifiche modalità di produzione di tale evento e dagli specifici mezzi adoperati. (Mass. redaz.). (C.p., art. 116) (1).

    (1) In tema di responsabilità concorsuale anomala, v. Cass. pen., sez. V, 10 marzo 1998, Preite, in questa Rivista 1998, 712; Cass. pen., sez. I, 12 marzo 1997, Vicino, ivi 1997, 760; Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1996, Campanella, ivi 1996, 1373; Cass. pen., sez. I, 25 maggio 1996, Caccavo, ivi 1996, 1264; Cass. pen., sez. I, 15 maggio 1996, Angeloni, ibidem e Cass. pen., sez. I, 28 marzo 1995, Parolisi, ivi 1995, 1491.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza in data 1 marzo 1997 la Corte di assise di Reggio Calabria dichiarava Francesco Romeo, Carmelo Romeo e Giovanni Zumbo colpevoli del reato di omicidio per avere cagionato la morte di Paolo Berton e mediante l'esplosione di numerosi colpi d'arma da fuoco, di tentato omicidio in danno di Carmelo Mafrici e di detenzione e porto illegali di arma da sparo clandestina e, in concorso di attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante dei motivi abietti e futili, condannava Francesco Romeo alla pena di anni 25 di reclusione e Carmelo Romeo e Giovanni Zumbo a quella di anni 18 di reclusione.

La corte d'assise ricostruiva i fatti sulla base del racconto fornito da Carmelo Mafrici, sopravvissuto all'aggressione.

Nel pomeriggio del 3 dicembre 1994 il Mafrici, titolare di una ditta di spurgo di pozzi neri, e Paolo Bertone, operaio alle sue dipendenze, si stavano recando sul camion di proprietà del primo, presso l'abitazione di tale Francesco Romeo (solo omonimo di uno degli imputati), quando a un certo punto il camion, per la ristrettezza della carreggiata, urtava una Peugeot 205 ferma sulla destra della strada.

Il camion si arrestava e sul luogo sopraggiungeva un uomo che, qualificatosi proprietario dell'auto, ingiungeva agli investitori di denunziare il sinistro ai fini assicurativi per il risarcimento del danno.

Alla risposta negativa del Mafrici, motivata dalla modestia dei danni, l'interlocutore tentava di buttare giù dalla cabina dell'autocarro i due interlocutori, ma veniva respinto.

Il Mafrici e il Bertone ripartivano, raggiungendo l'abitazione del committente e dando inizio al loro lavoro.

Mentre il Mafrici era intento a scoperchiare la botola di un pozzo nero, sopraggiungeva una Fiat Uno di colore bianco con a bordo tre persone, che si dirigevano verso i due.

Uno dei tre si avventava sul Bertone sferrandogli dei pugni, ma il Bertone riusciva a scansarlo, fino a che sopraggiungeva una seconda persona, che lo colpiva con un bastone.

A questo punto interveniva il Mafrici, il quale riusciva a disarmare l'aggressore e a difendersi dal terzo aggressore, togliendo anche a costui di mano un bloccasterzo di cui lo stesso si era dotato. Nel fare ciò perdeva l'equilibrio cadendo a terra.

A questo punto uno degli aggressori apriva il fuoco contro il Bertone e poi rivolgeva l'arma verso il Mafrici, fermandolo.

Subito dopo i tre si allontanavano a bordo della Fiat Uno, mentre il Bertone e il Mafrici venivano condotti all'ospedale di Melito Porto Salvo, ove il primo decedeva per le ferite riportate.

All'udienza dibattimentale dell'11 novembre 1996 il Mafrici aveva identificato lo sparatore in Francesco Romeo, l'aggressore armato di bastone in Romeo Carmelo e quello armato del bloccasterzo nell'imputato Giovanni Zumbo. Francesco Romeo ammetteva di avere sparato.

La corte di primo grado riteneva la versione resa dal Mafrici pienamente credibile, ma riteneva che l'apporto di Carmelo Romeo e dello Zumbo all'azione dell'omicida dovesse essere valutato secondo i criteri di cui all'art. 116 c.p. Secondo i giudici di primo grado obiettivo del terzetto era quello di dar corso a una spedizione punitiva, ma non vi era alcuna prova che Carmelo Romeo portasse con sè un'arma.

Proponevano appello il P.M. e gli imputati Carmelo Romeo e Giovanni Zumbo, essendo l'altro imputato Francesco Romeo deceduto in data 3 ottobre 1997, e la Corte di assise di appello di Reggio Calabria.

Con sentenza in data 13 luglio 1998, derubricava i reati di omicidio e di tentato omicidio rispettivamente in lesioni volontarie e tentate lesioni aggravate dall'uso dell'arma e dai motivi futili e concesse a entrambi gli imputati le attenuanti generiche subvalenti, li condannava alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ciascuno. Li assolveva dal reato di detenzione e porto d'arma per non aver commesso il fatto (Omissis). Page 330

Passando alla definizione giuridica del concorso del Carmelo Romeo e dello Zumbo nella condotta di reato posta in essere da Francesco Romeo la corte territoriale riteneva che le emergenze processuali non fossero tali da consentire di ravvisare un'ipotesi di concorso ex art. 110 c.p.

A tale proposito rilevava in sintesi che l'obiettivo perseguito era quello di «dare una lezione», che la condotta posta in essere dagli agenti, conformemente a tale scopo, era quella di far valere pesantemente le loro ragioni e che nessuno dei due aveva la consapevolezza della detenzione dell'arma da parte dello sparatore, il cui proposito omicida era subentrato in un secondo tempo. Era, pertanto, da escludere che i due fossero stati in grado di prevedere in concreto l'evento omicidiario come sviluppo logico della loro condotta sulla base di norme di comune esperienza.

L'apporto di Carmelo Romeo e dello Zumbo andava, quindi, inquadrato nell'ambito del concorso anomalo di persone nel reato previsto dall'art. 116 c.p. per cui, non ravvisandosi un rapporto di causalità psichica, i due dovevano essere ritenuti responsabili di lesioni volontarie in danno del Bertone e di tentate lesioni nei confronti del Mafrici, ipotesi aggravate dall'uso dell'arma e dai motivi futili (Omissis).

Hanno proposto ricorso per cassazione il procuratore generale di Reggio Calabria, Giovanni Zumbo e Carmelo Romeo.

Il primo ha dedotto violazione dell'art. 116 c.p., assumendo in sintesi che l'utilizzo dell'arma da fuoco da parte di Francesco Romeo non poteva essere considerato un evento atipico, insorto in virtù di circostanze eccezionali, posto che regole di comune prudenza, specie in presenza di una spedizione punitiva, richiedevano che tra i correi fossero ben chiari i limiti dell'azione e le modalità. Carmelo Romeo e lo Zumbo avrebbero, dunque, dovuto rispondere del reato effettivamente commesso per inosservanza delle regole di prudenza, essendosi affidati alla condotta di Francesco Romeo per realizzare il proposito criminoso concordato (Omissis).

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il ricorso del P.G. si palesa fondato e va, pertanto, accolto.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte per la sussistenza del concorso anomalo previsto dall'art. 116 c.p. è necessario che ricorrano tre requisiti:

a) l'adesione psichica del soggetto a un reato concorsuale meno grave;

b) la commissione da parte di altro concorrente di un reato diverso e più grave;

c) un nesso psicologico in termini di prevedibilità tra la condotta dell'agente compartecipe e l'evento diverso e più grave in concreto verificatosi. Per la sussistenza del terzo requisito non è sufficiente un rapporto di causalità materiale tra la condotta dell'agente e l'evento più grave, ma è necessario che sussista un rapporto di causalità psichica nel senso che il reato diverso e più grave commesso dal compartecipe possa rappresentarsi alla psiche dell'agente come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto.

Pertanto, in conformità dell'indirizzo espresso dalla sentenza n. 42 del 1965 della Corte costituzionale la responsabilità penale del compartecipe va affermata nel caso che egli, nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti nuovi, sia stato in grado di prevedere in concreto l'evento come sviluppo logico della sua condotta sulla base di norme di comune esperienza (cfr., ex pluribus, sez. I, 23 febbraio 1995, Parolisi, rv. 200699; sez. I, 9 novembre 1995, Fortebraccio, rv. 203347).

Ai detti fini il mero motivo che ha determinato il concorrente a realizzare l'evento non voluto - in presenza di tutti gli elementi connotanti il rapporto psichico - non assume alcun rilievo in ordine alla prevedibilità in concreto da parte dell'agente, posto che non ha alcuna incidenza sull'oggetto del suo atteggiamento psicologico, per essere rimaste immutate le circostanze di svolgimento del reato voluto (sez. I, 9 novembre 1995, cit.).

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei sopra menzionati principi di diritto.

Infatti il fatto stesso, certo, che gli altri concorrenti, e cioè il Romeo Carmelo e lo Zumbo, avessero accettato di...

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