Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 8 giugno 1999, n. 9 (c.c. 28 aprile 1999). Pres. Bile - Est. Silvestri - P.M. Abbate (diff.) - Ric. Bacherotti ed altri.

Esecuzione in materia penale - Procedimento di esecuzione - Ambito di applicazione - Accertamento della confiscabilità di un bene - Avviso per l'udienza camerale dell'Amministrazione dello Stato - Necessità - Omissione dell'avviso - Nullità generale a regime intermedio - Sussistenza - Fattispecie. - Misure di sicurezza - Patrimoniali - Confisca - Confisca di cose costituite in pegno a favore di terzi - Estinzione del diritto di garanzia - Esclusione - Limiti - Doveri dell'ufficio giudiziario anche ai fini della tutela del diritto di prelazione del creditore - Sussistenza - Fattispecie.

Nel procedimento di esecuzione avente ad oggetto la confiscabilità di un bene, l'amministrazione dello Stato è titolare di un interesse alla decisione dalla quale può derivarle, in modo diretto e immediato, un pregiudizio o un vantaggio giuridicamente apprezzabile; alla predetta amministrazione compete pertanto l'avviso dell'udienza in camera di consiglio fissata per la deliberazione dell'incidente, posto che il termine «parti» che figura nell'art. 666, comma 3, c.p.p., deve essere inteso in senso sostanziale e non in senso formale, e dunque riferito a tutti i soggetti titolari di posizioni giuridiche sulle quali la decisione è idonea ad esplicare diretta incidenza. Dall'omessa notificazione dell'avviso di udienza deriva una nullità generale a regime intermedio di cui all'art. 178, lett. c), c.p.p., come tale soggetta al regime di rilevabilità e deducibilità di cui agli artt. 180 e 182 c.p.p. (Nel caso di specie la Corte ha escluso, ai sensi dell'art. 182, comma 1, c.p.p., che la nullità derivante dall'omissione predetta potesse essere eccepita dal condannato i cui beni erano stati confiscati, in quanto soggetto privo di interesse all'osservanza della disposizione violata; ed ha ritenuto altresì, ai sensi dell'art. 180 c.p.p., che la rilevabilità d'ufficio nel giudizio di cassazione di tale invalidità dovesse considerarsi preclusa in quanto, inerendo essa ad attività preparatorie dell'udienza in camera di consiglio, avrebbe potuto essere rilevata dal giudice dell'esecuzione, indipendentemente dall'eccezione di parte, sino al momento della deliberazione). (C.p., art. 240; c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 180; c.p.p., art. 182; c.p.p., art. 666) (1).

L'applicazione della confisca non determina l'estinzione del preesistente diritto di pegno costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quando costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall'altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole. In siffatta ipotesi la custodia, l'amministrazione e la vendita delle cose pignorate devono essere compiute dall'ufficio giudiziario e il giudice dell'esecuzione deve assicurare che il creditore pignoratizio possa esercitare il diritto di prelazione sulle somme ricavate dalla vendita. (Nell'affermare detto principio la Corte - giudicando in fattispecie di usura - ha altresì precisato che la tutela del diritto di pegno e la sua resistenza agli effetti della confisca non comporta l'estinzione delle obbligazioni facenti capo al condannato, che in tal modo trarrebbe comunque un vantaggio dall'attività criminosa, bensì determina la sola sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio in virtù delle disposizioni sulla surrogazione legale di cui all'art. 1203 c.c., dato che al creditore garantito subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore-reo per conseguire le somme che non ha potuto acquistare perché destinate al creditore munito di prelazione pignoratizia). (C.p., art. 240; c.p., art. 644; c.p.p., art. 666) (2).

    (1) Non si rinvengono precedenti che abbiano affrontato la stessa questione.

(2) La sentenza in epigrafe ha risolto, in senso negativo, il contrasto giurisprudenziale sorto in merito alla questione relativa alla possibilità o meno della confisca prevista dall'art. 644, ultimo comma, c.p., di determinare l'estinzione del diritto reale di garanzia del terzo sulle cose confiscate. Per riferimenti in argomento, v. Cass. pen., sez. un., 3 dicembre 1994, Longarini, in Arch. nuova proc. pen. 1995, 93; Cass. pen., sez. I, 23 agosto 1994, Moriggi, in questa Rivista 1995, 837, 838 e Cass. pen., sez. I, 25 luglio 1991, Mendella, ivi 1992, 129. In dottrina, v. R. LI VECCHI, Le banche al cospetto del nuovo delitto di usura tra problematiche ed interrogativi senza una risposta, ivi 1998, 929.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con sentenza pronunciata il 7 ottobre 1996, il Pretore di Pisa, su concorde richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p., applicava a Bruno Bacherotti la pena di diciotto mesi di reclusione e di lire 3.600.000 di multa, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva e ritenuta la continuazione tra tutti i contestati reati di usura, disponendo la confisca del denaro e di tutti i valori in sequestro.

Il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso la sentenza di applicazione della pena veniva dichiarato inammissibile con ordinanza di questa corte n. 2701 dell'11 aprile 1997.

Divenuta irrevocabile la sentenza, anche per il capo riguardante la misura di sicurezza patrimoniale, il Pretore di Pisa dava inizio all'azione esecutiva sui beni confiscati, provvedendo, in particolare, alla liquidazione di taluni certificati di deposito appartenenti al condannato: nel corso della procedura di liquidazione, la Cassa di Risparmio di San Miniato, la Cassa di Risparmio di Carrara e la Cassa di Risparmio di Firenze proponevano incidente di esecuzione chiedendo la revoca della confisca sul rilievo che tale provvedimento non poteva pregiudicare il diritto di pegno su detti certificati, del quale gli istituti bancari erano titolari, né poteva prevalere sulle garanzie reali che assistevano i loro crediti verso il Bacherotti.

Con ordinanza dell'8 giugno 1998, il Pretore di Pisa, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigettava le istanze delle Casse di risparmio, osservando che i certificati di deposito dati in pegno alle banche erano stati oggetto di confisca, a norma dell'art. 644, sesto comma, c.p., quale provento di attività usuraria e che se essi erano, comunque, confiscabili ai sensi dell'art. 12 sexies del D.L. n. 306/1992, convertito Page 634 nella L. n. 356/1992, non avendo il Bacherotti fornito alcuna giustificazione circa la loro provenienza in relazione ai propri redditi. Il giudice dell'esecuzione precisava che la disposta confisca dovesse prevalere sui diritti reali di garanzia delle banche per la duplice ragione che queste non potevano considerarsi «estranee» al reato e che non era configurabile alcuna tutela delle altrui situazioni soggettive incidenti su cose qualificate dalle norme repressive dell'usura come illecite in modo assoluto ed intrinsecamente criminose, la cui unica destinazione, per volontà espressa del legislatore, è costituita dall'utile pubblico: in caso contrario - aggiungeva il pretore - si finirebbe per attribuire un vantaggio all'autore dell'usura, in quanto, ammettendo che le banche possano far valere la prelazione sui beni dati in pegno, si renderebbe possibile l'estinzione delle obbligazioni del Bacherotti, il quale conseguirebbe, così, quell'illecito profitto che la legge penale intende negargli.

  1. - Avverso l'ordinanza in data 8 giugno 1998 proponevano ricorso per cassazione la Cassa di Risparmio di Firenze, la Cassa di Risparmio di Carrara e Bacherotti Bruno.

    La Cassa di Risparmio di Firenze denunciava l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 240, secondo comma n. 1 e terzo comma c.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, deducendo che il giudice dell'esecuzione - in contrasto con il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità - ha erroneamente ritenuto che rispetto alle cose confiscate, sulle quali gravava il diritto reale di garanzia, non sussistessero le situazioni di «appartenenza» e di «estraneità al reato», pur essendo incontestato che nessun addebito di compartecipazione nell'attività delittuosa era stato mosso ad organi delle banche. L'istituto ricorrente lamentava altresì la mancata limitazione degli effetti della confisca ai soli diritti spettanti sulle cose al Bacherotti, una volta soddisfatti i diritti dei creditori pignoratizi.

    Analoghe censure venivano sviluppate nel ricorso della Cassa di Risparmio di Carrara, la quale denunciava, inoltre, che il giudice dell'esecuzione aveva illegittimamente mutato il titolo della confisca qualificando i certificati di deposito come «provento» del reato di usura, mentre nella sentenza di applicazione della pena concordata erano stati considerati come «prezzo» del reato, e riconducendo la misura di sicurezza patrimoniale anche alla disposizione di cui all'art. 12 sexies del D.L. n. 306/1992, pur essendo mancato qualsiasi accertamento in ordine alla sproporzione del valore dei beni confiscati in riferimento al reddito dell'imputato.

    Nel ricorso proposto nell'interesse del Bacherotti venivano prospettate la violazione dell'art. 666 c.p.p. in dipendenza dell'omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell'amministrazione finanziaria dello Stato nonché contraddittorietà e carenza di motivazione in relazione alla ritenuta prevalenza della confisca sui diritti reali di garanzia delle banche.

  2. - Nella sua requisitoria scritta, il procuratore generale presso questa corte ha concluso per il rigetto dei ricorsi, rilevando che - benché nel concetto di «appartenenza» debbano intendersi inclusi, oltre al diritto di proprietà, anche i diritti reali di garanzia e quantunque le banche debbano ritenersi estranee al reato - la confisca prevista per i gravi delitti di cui all'art. 12 sexies del D.L. n. 306 del 1992 costituisce una sorta di...

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