Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. IV, 26 agosto 1999, n. 10212 (ud. 13 luglio 1999). Pres. Frangini - Est. Marzano - P.M. Galati (conf.) - Ric. Pisano.

Furto - Aggravanti - Concorso di più circostanze - Perseguibilità d'ufficio - Concorso di attenuanti - Ritenuta prevalenza o equivalenza - Irrilevanza.

La perseguibilità d'ufficio del reato di furto, determinata dalla presenza di circostanze aggravanti, non viene meno per il fatto che ad esse si contrappongano circostanze attenuanti ritenute equivalenti o prevalenti. (Mass. redaz.). (C.p., art. 624; L. 25 giugno 1999, n. 205) (1).

    (1) Non risultano editi precedenti giurisprudenziali in termini.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il 3 aprile 1997 il Pretore di Isernia condannava Pisano Michele a pena ritenuta di giustizia, per reati di invasione di terreno e furto pluriaggravato continuato, unificati sotto il vincolo della continuazione e riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva ed alle aggravanti contestati (con la stessa sentenza veniva dichiarato non doversi procedere in ordine a reati di cui all'art. 20, lett. c), L. n. 47/1985, art. 1 sexies L. n. 431/1985, e art. 734 c.p., perché estinti gli stessi per prescrizione, e l'imputato veniva assolto da altro reato ex art. 20, lett. c), L. n. 47/1985, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato).

Sul gravame del procuratore generale e dell'imputato, la Corte di appello di Campobasso, il 15 ottobre 1998, confermava la decisione impugnata.

Come desumesi da tale sentenza, il Pisano, nel procedere ad attività estrattiva da una cava autorizzata, aveva sconfinato dal sito assentito col provvedimento autorizzativo ed aveva invaso, al fine di occuparlo e trarne profitto, un adiacente suolo comunale, impossessandosi del materiale calcareo estratto da tale area di sconfinamento e di una massa legnosa, ivi esistente, di circa 430 quintali.

  1. - Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, ed a sostegno dello stesso deduce (richiamando ritenute emergenze processuali): che erroneamente i giudici del merito avevano ritenuto integrati gli elementi oggettivo e soggettivo del reato di cui agli artt. 633, 639 bis c.p., laddove a diverse conclusioni avrebbero dovuto condurre, quanto alla materialità dei fatti ed al richiesto dolo specifico, il corretto apprezzamento delle planimetrie relative ai luoghi, la circostanza del pregresso sfruttamento della cava da parte di altri soggetti, la esatta individuazione di tracce conseguenza di movimento franoso di quelle che erano state invece ritenute «fronti di scavo recenti», la impossibilità di ricondurre all'attuale ricorrente episodi di sconfinamento nella zona in questione sulla scorta di un precedente episodio del 1984, la mancanza di segnali lapidei; la mancanza anche degli elementi costitutivi del reato di furto, atteso che i lavori eseguiti nella zona di sconfinamento attenevano alla realizzazione di una pista, e non al prelevamento di materiale legnoso, la inattendibilità o insufficienza di acquisite dichiarazioni testimoniali, la mancanza di prova della riconducibilità del fatto ad esso ricorrente.

    Il ricorso è infondato (Omissis).

  2. - Giova rilevare che, nella specie, non trova applicazione il disposto degli artt. 12 e 19, secondo comma, della recente L. 25 giugno 1999, n. 205 (G.U. 28 giugno 1999): è, infatti, contestato all'imputato il reato di furto pluriaggravato e il giudizio di equivalenza tra tali aggravanti e le riconosciute attenuanti generiche non rende perseguibile il reato a querela di parte. Ed invero, ove il reato sia perseguibile a querela di parte nella sua normativa previsione con circostanziata ed, invece, perseguibile di ufficio per la ricorrenza di aggravanti, il giudizio di equivalenza, o di sub-valenza, di tali aggravanti, ai sensi dell'art. 69 c.p., avendo lo scopo di adattare la pena in misura più consona al caso concreto ed alla reale entità del fatto, nella integrale valutazione del fatto medesimo e della personalità dell'imputato (secondo il criterio generale dettato dall'art. 133 c.p.), e rilevando, quindi, solo quoad poenam, non influisce sulla ontologica sussistenza del fatto di reato, come circostanziato dalle indicate aggravanti, e non rende, quindi, il reato medesimo, così circostanziato, perseguibile a querela di parte, per tale giudizio espresso solo ai fini suindicati (Omissis).

    @CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 3 agosto 1999, n. 2358 (c.c. 24 giugno 1999). Pres. Tonini - Est. Onorato - P.M. Meloni (conf.) - Ric. Belcari.

    Acque pubbliche e private - Inquinamento - Scarichi - Disciplina di cui al D.L.vo n. 152/1999 - Incidenza sul concetto di scarico indiretto. Inquinamento - Rifiuti - Smaltimento - Rifiuti pericolosi - Disciplina transitoria di cui all'art. 57, comma 1, del D.L.vo n. 22/1997 - Operatività - Disciplina sulla tutela delle acque - Applicabilità - Esclusione. -Inquinamento - Rifiuti - Smaltimento - Rifiuti liquidi - Disciplina di cui al D.L.vo n. 22/1997 - Disciplina di cui alla L. n. 319/1976 - Ambito di applicazione.

    Alla luce di quanto dispone il D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152, si può ritenere scomparso il concetto di scarico indiretto, ovvero la sua trasformazione in rifiuto liquido; più esattamente ora se per scarico si intende il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido. (Mass. redaz.). (D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152).

    Dopo l'entrata in vigore del D.L.vo 22/97, per effetto della norma transitoria di cui all'art. 57, comma 1, del medesimo decreto (che equipara i rifiuti tossici e nocivi della normativa precedente con i rifiuti pericolosi della normativa vigente) restano sempre esclusi dalla disciplina sulla tutela delle acque i rifiuti pericolosi. (Mass. redaz.). (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 57). Page 726

    In caso di rifiuti liquidi, il criterio di discrimine fra la disciplina di cui al D.L.vo 22/97 (relativa ai rifiuti) e quella di cui alla L. 319/76 (relativa alle acque) non è tanto nella qualità della sostanza, ma nella diversa fase del processo di trattamento della sostanza, in quanto è riservata alla disciplina della tutela delle acque solo la fase dello «scarico», cioè quella della immissione diretta nel corpo ricettore. (Mass. redaz.). (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22; L. 10 maggio 1976, n. 319).

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con provvedimento del 27 gennaio 1999 il Gip della Pretura di Pisa disponeva il sequestro preventivo di un impianto di immissione di reflui extrafognari, prodotti da terzi, presso il depuratore della Piaggio V.E. Spa, gestito dall'Azienda Speciale Cerbaie (A.S.C.) di Pontedera.

    Con decreti del 2 febbraio 1999 lo stesso Gip della pretura pisana disponeva il sequestro preventivo di altre linee di immissione di rifiuti liquidi extrafognari negli impianti di depurazione gestiti dalla predetta A.S.C. in Ponsacco, Calcinaia, Fornacette e Cascina.

    Il direttore e legale rappresentante della A.S.C., Mario Belcari, era sottoposto a indagini per il reato di cui all'art. 51, comma primo, lett. a) del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, per aver esercitato senza la prescritta autorizzazione regionale attività di raccolta, smaltimento e recupero di rifiuti liquidi extrafognari - anche pericolosi - prodotti da terzi.

    In precedenza l'A.S.C., con nota del 18 settembre 1997, aveva chiesto all'Amministrazione provinciale di Pisa se l'attività da essa svolta ricadesse ancora nell'ambito della legge 319/1976 ovvero rientrasse nella sfera di applicazione del D.L.vo 22/1997; e l'amministrazione aveva risposto, con nota del 6 settembre 1997, che per detta attività era sufficiente rispettare i parametri previsti dalla legge 319 sull'inquinamento idrico, senza necessità di ulteriori autorizzazioni.

  3. - I difensori del Belcari presentavano istanza di riesame avverso i provvedimenti di sequestro.

    Il Tribunale di Pisa, con ordinanza del 15 febbraio 1999, confermava i sequestri. Con un'articolata motivazione, infatti, ravvisava l'astratta configurabilità del reato ipotizzato - salva la valutazione del giudice di merito sull'elemento psicologico, in relazione al parere espresso dall'amministrazione provinciale. Inoltre riteneva sussistere l'esigenza cautelare, considerato che gli impianti sequestrati convogliavano anche rifiuti pericolosi, sicché non bastava a escludere il rischio ambientale l'asserito rispetto dei limiti di accettabilità imposti dalla normativa vigente sull'inquinamento delle acque.

  4. - Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Belcari, deducendo due motivi di censura, molto articolati e puntuali.

    3.1. - Col primo deduce erronea applicazione dell'art. 51, comma 1, del D.L.vo 22/1997. Attraverso una diffusa analisi della giurisprudenza di legittimità e della Corte costituzionale, nonché della dottrina, sostiene che, in materia di rifiuti liquidi, la disciplina sui rifiuti si applica alle fasi antecedenti allo scarico, cioè alle operazioni di raccolta, stoccaggio e trasporto, mentre la fase dello scarico finale è ancora regolata dalla legge 319/1976.

    Per conseguenza - secondo il ricorrente - nel caso di specie andava applicata quest'ultima legge, in relazione alla quale l'A.S.C., gestrice del depuratore, era perfettamente in regola.

    3.2. - Col secondo motivo deduce violazione dell'art. 321, comma 1, c.p.p. Sostiene che la mancanza dell'autorizzazione prescritta dalla normativa sui rifiuti, quando l'intero ciclo di produzione, trasporto, depurazione e scarico nel recapito finale era sottoposto al controllo amministrativo previsto dalla legge 319/1976, non poteva offendere l'integrità ambientale, sicché era difficile ipotizzare che la libera disponibilità degli impianti sequestrati potesse aggravare o protrarre le conseguenze del reato ipotizzato.

    3.3. - Con motivo nuovo (ritualmente depositato in cancelleria) il...

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