Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 11 gennaio 2000, n. 237 (ud. 22 novembre 1999). Pres. Caso - Est. De Roberto - P.M. Mura (parz. diff.) - Ric. Trigili ed altri.

Associazione per delinquere - Concorso di persone nel reato - Concorso esterno in delitto associativo - Configurabilità - Protezione di soggetti latitanti appartenenti al sodalizio - Condotta funzionale al superamento della condizione di difficoltà del sodalizio - Necessità.

Ai fini della configurabilità del c.d. «concorso esterno» nell'associazione per delinquere di tipo mafioso, in luogo del favoreggiamento aggravato ai sensi dell'art. 7 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. con modif. in legge 12 luglio 1991 n. 203, non può considerarsi sufficiente che taluno abbia fornito con continuità aiuto ed assistenza a soggetti appartenenti al sodalizio criminoso, durante il loro stato di latitanza, quando non risulti che detta condotta sia stata funzionale al superamento di una fase di emergenza propria del sodalizio stesso e non solo di quei singoli associati. (Mass. redaz.). (C.p., art. 110; c.p., art. 416 bis) (1).

    (1) Importante sentenza che interviene su un tema particolarmente dibattuto. Sostanzialmente conforme, nel senso di escludere che si possa ascrivere al favoreggiamento condotte che si traducano in un contributo causalmente rilevante per il permanere del sodalizio, purché vi sia la consapevolezza di ciò da parte dell'agente, v. Cass. pen., sez. VI, 13 giugno 1997, Dominante, in questa Rivista 1998, 283. Nel senso di ravvisare l'ipotesi di favoreggiamento ex art. 7, D.L. n. 152/1991, quando la condotta per proteggere la latitanza di un esponente di un'associazione per delinquere di tipo mafioso contribuisca ad evitare la crisi funzionale dell'organismo criminale, v. Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1998, Pecoraro, ivi 1999, 110 e Cass. pen., sez. I, 6 agosto 1996, Piazzere, in Rep. La Tribuna 1997, 638. Per utili riferimenti in tema di configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, si richiama inoltre la citata sentenza Cass. pen., Sez. un., 28 dicembre 1994, Demitry, pubblicata ivi 1995, 326.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con sentenza del 23 febbraio 1998 il Tribunale di Palermo condannava Trigili Giovanni e Giordano Sebastiano, applicata la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p., perché ritenuti responsabili del reato contemplato dagli artt. 110 e 416 bis c.p. (sotto il profilo, quindi, del concorso «esterno»), per avere contribuito sistematicamente alle attività ed agli scopi dell'associazione criminosa denominata «cosa nostra», in particolare fornendo a Zanca Carmelo e ad Alfano Paolo Giuseppe, appartenenti, con ruolo di particolare caratura, al sodalizio ed entrambi latitanti perché condannati, fra l'altro, per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso, apporti logistici al fine di salvaguardarne lo stato di latitanza e di svolgere attività riconducibili all'organizzazione mafiosa e comunque mantenendo i contatti con appartenenti all'associazione allo scopo di agevolare il perseguimento dei fini dell'associazione medesima; delitto aggravato ai sensi del quarto e del quinto comma dell'art. 416 bis, essendo «cosa nostra» un'associazione armata composta di più di dieci persone.

Con la stessa sentenza Giordano Bruno veniva condannato per i reati di cui agli artt. 378 e 390 c.p., uniti dal vincolo della continuazione, per avere aiutato l'Alfano ad eludere le investigazioni dell'autorità ed a sottrarsi alle ricerche ed alla esecuzione della pena, allo scopo di agevolare il perseguimento dei fini dell'associazione «cosa nostra».

  1. - Appellata da tutti gli imputati, la decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Palermo con sentenza del 12 febbraio 1999.

    Secondo la Corte territoriale era stato accertato, a seguito dell'arresto dell'Alfano: che costui era in possesso di un'auto intestata a Giordano Rosalia ma fornita dal Giordano Sebastiano; che la non casuale persistenza di rapporti tra l'Alfano, il Trigili e il Giordano Sebastiano emergeva da una serie di contatti telefonici e di intercettazioni ambientali, nonché dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia.

    Dalle ora ricordate dichiarazioni e dalle ammissioni degli stessi imputati deriverebbe, poi, la responsabilità per i fatti riguardanti i rapporti con lo Zanca.

    Più in particolare, Grigoli Salvatore ha precisato di aver conosciuto personalmente il Trigili e di aver constatato che lo stesso, negli anni 1994, 1995 agevolava lo stato di latitanza dello Zanca, accompagnandolo con un'autovettura; il collaborante ha aggiunto che, durante la sua latitanza, il Trigili lo aveva condotto presso Gaspare Spatuzza, capo mandamento di Brancaccio, all'epoca anch'egli latitante, al fine di discutere di affari di «cosa nostra». Giovanni Ciaramitaro ha riferito di aver conosciuto il Trigili nel 1988, 1989, in varie occasioni insieme allo Zanca, mentre questi era latitante. Carra Pietro ha indicato nel Trigili la persona che avrebbe dovuto fornire documenti in bianco allo Zanca.

    Relativamente all'«appoggio» fornito dal Trigili all'Alfano, il giudice a quo precisa la valenza probatoria dei tabulati telefonici, delle intercettazioni ambientali eseguite nel carcere, nonché delle dichiarazioni dei collaboranti. Quanto a questi ultimi si sottolineano le propalazioni di Spataro Salvatore che vide l'Alfano a bordo di un'autovettura condotta dall'imputato; del Ciaramitaro il quale ha riferito che, dopo l'arresto dello Zanca, il Trigili era vicino all'Alfano ed a qualche altro esponente di Corso dei Mille; aggiungendo che era alla guida dell'autovettura a bordo della quale si trovava l'Alfano che approvvigionava di generi alimentari quando il latitante era nascosto.

    Nessun dubbio, secondo la Corte territoriale in ordine alla riconducibilità dei fatti ascritti nell'area del concorso esterno in reato di associazione mafiosa; infatti, tali condotte, «reiterate nel tempo e comunque di particolare rilevanza, da parte di soggetti non affiliati, oggettivamente riferibili al delitto associativo», non potrebbero mai essere qualificate come atti di favoreggiamento continuato; anche perché la condotta agevolatrice era intervenuta non dopo la consumazione del reato ma mentre questo era in corso.

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    Quanto alla posizione del Giordano Bruno, la sua responsabilità sarebbe stata riscontrata dal rinvenimento in possesso dell'Alfano di una patente di guida rilasciata all'imputato, sulla quale era stata sostituita l'originaria fototessera, di un tesserino riportante il codice fiscale e di una dichiarazione sostitutiva di un certificato di residenza rilasciati sempre al Giordano Bruno.

  2. - Hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati, il Giordano Sebastiano, peraltro, senza presentare i motivi.

    2.1. - Il Trigili lamenta violazione della legge penale e processuale penale. Secondo il ricorrente le dichiarazioni dei collaboranti sarebbero prive di ogni riscontro relativamente ai rapporti fra l'imputato e lo Zanca. Mentre, con riferimento alla sua posizione nei confronti dell'Alfano, sarebbe, al più, ipotizzabile il delitto di favoreggiamento.

    2.2. - Il Giordano Bruno deduce manifesta illogicità della motivazione in merito alla valenza probatoria dei dati documentali acquisiti, non essendosi, fra l'altro, fornita un'adeguata risposta alle censure del ricorrente circa la riferibilità ad un suo consapevole contegno dei fatti a lui addebitati.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 3. - Il ricorso del Trigili è in parte fondato.

    Nella motivazione in diritto, riferibile sia al Trigili sia al Giordano Sebastiano, allorché la sentenza impugnata procede a designare i caratteri differenziali fra concorso «esterno» in associazione di tipo mafioso e favoreggiamento personale aggravato ex art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991 n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, sono contenuti taluni errori di diritto in grado di coinvolgere, alla stregua dell'art. 587 c.p.p., stante il carattere non strettamente personale delle doglianze, aventi ad oggetto dati di qualificazione comuni ad entrambi i ricorrenti, anche la posizione dell'imputato il cui ricorso andrebbe altrimenti dichiarato inammissibile a norma degli artt. 581 e 591 dello stesso codice.

    Il giudice a quo incentra la motivazione in diritto su un preciso postulato teoretico: l'ipotizzabilità di «situazioni di contiguità» che, pur non traducendosi in un vincolo di affiliazione nei confronti dell'organizzazione, si concretizzano in un rapporto che, per la sua rilevanza o per la continuità temporale o, ancora, per il suo concreto atteggiarsi, non potrebbe essere designato quale condotta di favoreggiamento, essendo sussumibile, dal punto di vista oggettivo, nell'area della fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p., differenziandosene solo per la mancata adesione formale al sodalizio criminoso e, dunque, per definirsi quale contributo alla realizzazione del reato associativo, sotto il profilo del concorso esterno.

    Le argomentazioni paiono però articolate con un ampio margine di approssimazione dovendo tutte quelle concernenti il concorso esterno ricondursi al concetto di rilevanza i cui sintomi rivelatori dovrebbero essere costituiti dal dato temporale o dal «concreto atteggiarsi» della condotta; formule entrambe prive della necessaria determinatezza sotto l'aspetto descrittivo. La distinzione andrebbe, semmai, operata tra la condotta di chi agisce (senza che sia indispensabile l'esistenza del dolo specifico) per gli scopi dell'associazione (intesi nella loro oggettività) e chi agisce, invece, per «favorire» uno o più associati. Pure se tale precisazione appare anch'essa sprovvista di sufficiente rigore qualificativo perché il concorso esterno non può tradursi se non in una condotta atipica che richiami la condotta tipica del «far parte» della associazione di tipo mafioso con il conseguente avvalersi, dall'esterno, della forza di intimidazione del vincolo associativo di...

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