Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine457-484

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 20 marzo 2000, n. 3557 (ud. 16 febbraio 2000). Pres. Papadia - Est. Grillo - P.M. Passacantando (conf.) - Ric. P.G. in proc. Hees.

Atti contrari alla pubblica decenza - Nozione di pubblica decenza - Elementi costitutivi - Fattispecie.

Vanno qualificati come atti contrari alla pubblica decenza quelli che, a differenza degli atti osceni, non toccano la sfera degli interessi sessuali ma ledono semplicemente le regole etico sociali attinenti al normale riserbo ed alla elementare costumatezza, sì da produrre, se non anche disgusto, quanto meno disagio, fastidio e riprovazione, avuto riguardo ai comuni parametri di valutazione, rapportati allo specifico contesto ed alle particolari modalità di ogni fatto. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto che fosse da qualificare come contrario alla pubblica decenza il comportamento di un soggetto il quale, su una spiaggia non appartata ed in presenza di altre persone, si era completamente denudato, con esposizione, quindi, degli organi genitali, atteso che una tale esposizione non poteva essere assimilata a quella del seno nudo femminile, entrata ormai da vari lustri nel novero dei comportamenti comunemente accettati). (Mass. redaz.). (C.p., art. 726; c.p., art. 527) (1).

    (1) Conf., con riferimento ad analoga fattispecie, v. Cass. pen., sez. III, 20 novembre 1982, Selmin, in questa Rivista 1983, 569 e Trib. Pesaro 6 maggio 1980, Paci, in Foro it. 1980, 601. In senso contrario sembrerebbe poi porsi Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 1997, Gallone, in questa Rivista 1998, 85, la quale ritiene che l'esibizione degli organi genitali, al di fuori di determinate eccezioni, configura il delitto di atti osceni, poiché mira al soddisfacimento della libido. Sulla nozione di atto contrario alla pubblica decenza, v. Cass. pen., sez. VI, 15 aprile 1975, Modesti, in Rep. La Tribuna 1974, 49 e Cass. pen., sez. VI, 8 marzo 1974, Randazzo, ivi 1975, 240. In dottrina, per utili riferimenti di carattere generale, cfr. E. APRILE, Brevi note in tema di differenze tra il reato di atti osceni e quello di atti contrari alla pubblica decenza, in Nuovo dir. 1992, 810.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con la sentenza indicata in premessa, il Tribunale di Massa assolveva «perché il fatto non costituisce reato», Hees Rudiger Herbert dalla contravvenzione di cui all'art. 726 c.p., accertata il 21 agosto 1995, «per avere compiuto in luogo pubblico atti contrari alla pubblica decenza denudandosi sulla spiaggia al cospetto di più persone».

Secondo il giudicante, tale condotta non era penalmente censurabile in quanto «la persona nuda in stato di quiete... non costituisce in base ai moderni costumi di vita atto contrario alla pubblica decenza».

Propone ricorso il procuratore della Repubblica, lamentando l'erronea interpretazione della legge penale e l'illogica motivazione della gravata decisione, avendo il giudicante confuso la condotta integrante il delitto di atti osceni con quella richiesta per la configurazione della contravvenzione in questione, giacché «la pubblica decenza va riferita all'atto turpe o sconcio che si pone in contrasto con le più elementari regole di educazione».

All'odierno dibattimento il P.G. conclude come riportato in epigrafe.

Il ricorso è fondato.

La linea di demarcazione tra gli atti osceni e quelli indecenti, non sempre di facile individuazione, ha fornito agli interpreti la possibilità di affermare che i primi offendono la verecondia sessuale, suscitando nell'osservatore sensazioni di ripugnanza o di desideri erotici, ma sempre comunque toccando la sfera degli interessi sessuali lato sensu, mentre i secondi ledono semplicemente quel complesso di regole etico-sociali attinenti al normale riserbo ed alla elementare costumatezza, potendo generare - se non anche disgusto - quanto meno disagio, fastidio, riprovazione.

È indispensabile, quindi, ai fini della determinazione delle categorie dell'osceno e degli atti contrari alla pubblica decenza, che il giudice individui il vero sentimento della collettività in un determinato momento, in conformità alla progressiva evoluzione del modo di pensare della maggior parte dei cittadini.

Orbene, nel compiere tale accertamento - ad avviso del collegio - ben possono essere utilizzati come parametri di valutazione del modificarsi dei costumi sul territorio nazionale, contrariamente a quanto affermato da qualche decisione ormai datata di questa Corte, i mezzi di comunicazione ed informazione (televisione, giornali, cinema) ed anche le mode, intese come costumi o comportamenti diffusi e generalmente accettati o tollerati, in quanto «specchio del comune sentire». Peraltro tali parametri non vanno considerati astrattamente, ma devono necessariamente essere rapportati allo specifico contesto in cui è accaduto il fatto ed alle particolari modalità di esso.

Per quanto concerne il «nudo integrale», oggetto del presente procedimento, ovviamente non accompagnato da atteggiamenti erotici o pruriginosi di chi lo esibisce, si osserva che esso - con riferimento al sentimento medio della comunità, ai valori correnti della coscienza sociale ed alle reazioni dell'uomo medio normale - si presta a differenti valutazioni proprio a seconda del contesto in cui si pone. È evidente che non può considerarsi indecente, ad esempio, la nudità integrale di un modello o di un artista in un'opera teatrale o cinematografica, ovvero in un contesto scientifico o didattico, o anche di un naturista in una spiaggia riservata ai nudisti o da essi solitamente frequentata, mentre invece suscita certamente disagio, fastidio, riprovazione chi fa mostra di sè, ivi compresi gli organi genitali, in un tram, in strada, in un locale pubblico, o anche in una spiaggia frequentata da persone normalmente abbigliate.

In particolare, l'esibizione su una spiaggia non appartata degli organi genitali, benché in stato di «quiete», secondo la colorita definizione del giudicante, diversamente da quella del seno nudo femminile, che ormai da vari lustri è comportamento comunemente accettato ed entrato nel costume sociale, costituisce sicuramente, secondo questa Corte, un atto lesivo dell'attuale comune sentimento di riserbo e costumatezza. Tant'è vero che, nella fattispecie in esame, fu-Page 458rono proprio gli altri bagnanti a sollecitare l'intervento della polizia, certamente disturbati dalla visione che ad essi si presentava.

Pertanto, nonostante la prossimità del termine prescrizionale del contestato reato, la decisione gravata deve essere annullata (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 9 marzo 2000, n. 2925 (ud. 18 novembre 1999). Pres. Trojano - Est. Milo - P.M. Veneziano (parz. diff.) - Ric. Baragiani.

Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice - Provvedimento concernente l'affidamento dei minori - Soggetto ingiunto - Necessità di un comportamento collaborativo per l'adempimento degli obblighi ingiunti - Inosservanza - Configurabilità del reato ex art. 388 c.p. - Sussistenza - Fattispecie.

Pur dovendosi ritenere che, di regola, la semplice inattività non possa costituire la condotta «elusiva» dei provvedimenti del giudice in materia di affidamento di minori, prevista come reato dall'art. 388, secondo comma, c.p., deve tuttavia riconoscersi la configurabilità di tale reato quando, richiedendosi da parte del soggetto tenuto all'osservanza degli obblighi ingiunti con taluno dei suddetti provvedimenti una certa attività collaborativa, questa venga ingiustificatamente negata. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C., dopo aver posto in luce il «ruolo centrale che assume il genitore affidatario nel favorire gli incontri dei figli minori con l'altro genitore», ha affermato che: «Il rifiuto di fatto opposto dal genitore affidatario alla richiesta - verbale o scritta - dell'altro genitore di esercitare il diritto di visita dei figli concreta l'elusione del provvedimento giurisdizionale che regolamenta tale rapporto, proprio perché l'atteggiamento omissivo dell'obbligato finisce con il riflettersi negativamente sulla psicologia dei minori, indotti così a contrastare essi stessi gli incontri col genitore non affidatario perché non sensibilizzati ed educati al rapporto con costui dall'altro genitore»). (Mass. redaz.). (C.p., art. 388) (1).

    (1) Per ragguagli in riferimento alla fattispecie esaminata dalla sentenza in annotazione, v. Cass. pen., sez. VI, 20 ottobre 1997, Perri, in questa Rivista 1998, 401; Cass. pen., sez. VI, 13 giugno 1996, Sapienza, ivi 1996, 1386 e Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 1980, Guidi, ivi 1981, 28.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - La Corte di appello di Salerno, con sentenza 7 maggio 1999, confermava quella in data 21 gennaio 1997 del Pretore di Salerno - sez. Roccadaspide - che aveva dichiarato Angelo Antonio Baragiani colpevole del reato di cui all'art. 388, secondo comma c.p. e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e mesi sei di reclusione.

Si era addebitato all'imputato di essersi sottratto all'adempimento degli obblighi derivanti da tre ordinanze del giudice civile, concernenti l'affidamento delle figlie minori, avendo impedito alla moglie di vederle nei giorni stabiliti dai predetti provvedimenti.

La corte di merito riteneva di ravvisare, nella condotta tenuta dall'imputato, gli estremi del reato contestatogli, avendo posto la moglie nella condizione di dovere interrompere ogni rapporto con le figlie e di dovere ricorrere ripetutamente all'intervento del giudice, proprio per gli ostacoli frapposti dal marito all'esercizio del diritto di incontro con le figlie, senza - per altro - che la predetta raggiungesse lo scopo.

Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l'imputato e, nel sollecitare l'annullamento della decisione ha dedotto: 1) difetto di...

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