Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine993-1034

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 19 settembre 2000, n. 9786 (ud. 2 giugno 2000). Pres. Papadia - Est. Novarese - P.M. Izzo (conf.) - Ric. P.

Violenza sessuale - Elemento oggettivo - Palpeggiamento di glutei con esibizione del pene - Configurabilità del reato.

In tema di reati sessuali, posto che l'illiceità dei comportamenti dev'essere valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana e dell'attitudine degli stessi a offendere la libertà di determinazione del soggetto passivo nella sfera sessuale (intesa in senso prevalentemente oggettivo), deve ritenersi idoneo a configurare il reato di violenza sessuale un comportamento consistente nel palpeggiamento dei glutei della persona offesa, accompagnato dall'esibizione del pene. (Mass. redaz.). (C.p., art. 609 quater) (1).

    (1) Per utili riferimenti in tema, cfr. Cass. pen., sez. III, 4 maggio 2000, P.M. in proc. S.D.D., in questa Rivista 2000, 687, secondo cui i c.d. «toccamenti o palpeggiamenti» delle natiche integrerebbero il delitto di violenza sessuale, eventualmente nella forma attenuata dei «casi di minore gravità».


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - P.W. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, emessa in data 11 maggio 1999, con la quale veniva condannato per i delitti di violenza sessuale ed atti osceni per aver costretto a subire una palpazione dei glutei e per aver mostrato il pene ad una minore, deducendo quali motivi l'erronea applicazione dell'art. 609 c.p., poiché un fugace toccamento dei glutei su parti coperte del corpo non costituisce violenza sessuale, la manifesta illogicità e carenza di motivazione circa l'individuazione del colpevole, la sua responsabilità per i reati contestati, la cui integrazione è controversa, giacché si tratta di semplici molestie sessuali, e la violazione dell'art. 527 c.p., in quanto l'esibizione del pene non rientrerebbe più nella nozione di osceno, e la mancanza della pericolosità sociale del ricorrente, non valutata dalla corte di merito nella sua attualità, e sollevando questione di legittimità costituzionale dell'art. 609 bis c.p. in relazione agli artt. 3, 13 e 25 Cost. per l'unificazione del reato di atti di libidine violenti e quello di violenza carnale nel delitto di violenza sessuale e per l'irrazionale esonero della parte offesa dal riferire i fatti.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il ricorso appare infondato, sicché deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, dichiarandosi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata.

Occorre ribadire che esula dai poteri del giudice di legittimità una rilettura degli elementi di fatto, su cui si fonda la decisione, essendo detta valutazione riservata al giudice di merito, mentre la Corte di cassazione deve accertare se quest'ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l'iter argomentativo seguito, delle ragioni poste a fondamento della decisione (Cass., sez. un., 29 maggio 1996, n. 930, Clarke, rv. 203428 cui adde Cass. civ., sez. un., 16 dicembre 1999, n. 24, Spina, rv. 214793) nei limiti stabiliti dall'art. 606 lett. e) c.p.p. cioè se il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato.

Ed invero la mancanza di motivazione va rilevata nell'assenza di necessari passaggi o di argomentazioni, indefettibili al fine di renderlo verificabile ovvero quando sia stato omesso il punto sottoposto all'esame del giudice oppure la motivazione sia solo apparente, dovendo tali vizi risultare «dal testo del provvedimento impugnato».

Pertanto appaiono inammissibili tutte quelle argomentazioni in fatto che mirano ad una differente ricostruzione e valutazione del materiale probatorio, tanto più che la Corte meneghina ha evidenziato non solo il riconoscimento da parte della vittima, ma anche le parziali ammissioni del ricorrente ed ha valutato la pericolosità sociale dell'imputato alla luce della perizia e dei numerosi precedenti penali, rinviando ovviamente al giudice di sorveglianza ogni ulteriore indagine per accertare la permanenza della pericolosità sociale prima di eseguire la condanna alla misura dell'ospedale psichiatrico giudiziario irrogata nel minimo.

Esclusa ogni rilevanza a dette censure, non può sostenersi la mancanza di violenza nell'episodio in esame, perché non solo non si richiede la c.d. vis atrox, ma è sufficiente una violenza idonea a vincere la concreta resistenza di chi ne è oggetto, anche solo limitando la sua libera determinazione al riguardo (cfr. ex plurimis nel vigore della pregressa normativa Cass., sez. III, 8 febbraio 1991, n. 1778, Moisè) e la violenza può essere anche morale e determinata dall'agire improvviso e di sorpresa.

Inoltre, sebbene la nuova disciplina introdotta dalla legge n. 66 del 1996 non può essere esclusa da detta nozione il palpeggiamento dei glutei.

A tal proposito la comprensione del baricentro dell'incriminazione di cui all'art. 609 bis c.p. deve partire dalla differente collocazione di questi reati fra i delitti contro la persona invece che tra quelli contro la moralità pubblica ed il buon costume e dall'intitolazione della legge n. 66 del 1996 alla violenza sessuale, sicché la sfera della sessualità cessa di appartenere al generico patrimonio collettivo della moralità o del buon costume e diviene diritto della persona umana di gestire liberamente la propria sessualità e la violazione di detto diritto costituisce offesa alla dignità della persona.

Pertanto l'illiceità dei comportamenti deve essere valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana e della loro attitudine ad offendere la libertà di determinazione della sfera sessuale (cfr. in termini Cass., sez. III, ud. 15 novembre 1996, dep. 6 febbraio 1997, n. 1040, Coro, rv. 207298 cui adde Cass., sez. III, ud. 13 novembre 1997, dep. 4 dicembre 1997, Quattrini), sicché è disancorata dall'indagine sul loro impatto nel contesto sociale e culturale in cui avvengono, in quanto punto focale è la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona, che ne è titolare.

Inoltre l'intervenuta equiparazione tra violenza carnale ed atti di libidine violenti è conseguenza dell'affermazionePage 994 che la violenza sessuale è reato contro la persona, mentre la nuova espressione «atti sessuali» assume connotati diversi nel senso che, in primis, è eliminato ogni riferimento moraleggiante contenuto nel termine libidinoso (cfr. Cass., sez. III, 11 novembre 1996, Rotella) ed, in generale, l'aggettivo sessuale attiene al sesso dal punto di vista anatomico, fisiologico o funzionale, ma non limita la sua valenza ai puri aspetti genitali del rapporto interpersonale giacché devono includersi nella nozione di atti sessuali tutti quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo ed ad entrare nella sua sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica.

La connotazione sessuale dell'atto fa assumere alla nozione un significato prevalentemente oggettivo e non soggettivo come, invece, avveniva per quella di atti di libidine, e determina un restringimento dell'area di rilevanza penale di alcuni aspetti marginali dei c.d. atti di libidine, giacché il riferimento al sesso comporta un rapporto corpore corpori che, però, non deve necessariamente limitarsi alle zone genitali, ma comprende anche tutte quelle ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica ed antropologico-sociologica erogene tali da dimostrare l'istinto sessuale con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare (ex.gr. bacio delle scarpe), sicché il toccamento dei glutei o della mammella costituiscono atti sessuali, tanto più ove una simile azione, seppure fugace, venga accompagnata dall'esibizione del pene.

La nozione più restrittiva di «atti sessuali» rispetto a quella di atti di libidine assume rilievo in alcune ipotesi controverse quale il bacio non profondo e non diretto a zona erogena, alcuni toccamenti fuggevoli in zone non erogene ed atti esibizionistici non comportanti alcun rapporto intercorporale, le quali, se non possono essere qualificate come violazioni dell'art. 660 c.p. (molestia e disturbo alle persone) o dell'art. 527 c.p. (atti osceni), finiscono con l'essere penalmente irrilevanti, ma non scrimina nella concreta fattispecie in esame così come descritta dai giudici di merito.

Pertanto deve affermarsi che, avuto riguardo alla differente collocazione ed al diverso bene giuridico protetto dai reati di cui agli artt. 609 bis ss. c.p. rispetto a quelli precedentemente contemplati agli artt. 519 ss. c.p. 1930, la nozione di atti sessuali, a differenza di quella di atti di libidine violenti, è disancorata dall'indagine sul loro impatto nel conteto sociale e culturale in cui avviene, in quanto punto focale è la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona, che ne è titolare.

Inoltre, poiché l'aggettivo sessuale attiene al sesso dal punto di vista anatomico, fisiologico o funzionale, ma non limita la sua valenza ai puri aspetti genitali del rapporto interpersonale, devono includersi nella nozione di atti sessuali tutti quelli, indirizzati verso zone erogene, che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo ed ad entrare nella sua sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica, sì da assumere un significato prevalentemente oggettivo e non soggettivo come, invece, avveniva per gli atti di libidine con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare (ex.gr. bacio delle scarpe).

Alla luce dei principi su esposti e delle modalità dei fatti come ricostruite dai giudici di merito...

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